In una nota FederBio, Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica, esprime la propria posizione in seguito alla puntata di Report del 14 dicembre 2014 intitolata “I biofurbi” e dedicata al mondo del biologico e della biocosmesi: “i prodotti da agricoltura e da allevamento biologici, disponibili nei negozi specializzati, nella grande distribuzione organizzata e in altri canali di vendita diretta non hanno nulla a che vedere con i cosmetici bio. L’agricoltura biologica è normata a livello europeo attraverso il Regolamento n 834/2007 e successivi, il quale sottolinea: ‘La produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali. Il metodo di produzione biologico esplica pertanto una duplice funzione sociale, provvedendo da un lato a un mercato specifico che risponde alla domanda di prodotti biologici dei consumatori e, dall’altro, fornendo beni pubblici che contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali e allo sviluppo rurale’.
Dunque la coltivazione biologica anche del riso non si limita solo a evitare l’impiego dei diserbati ma anche dei concimi chimici e dei pesticidi di sintesi, oltre a applicare una corretta pratica agronomica come la rotazione delle colture e la presenza di elementi naturali a tutela della biodiversità naturale. Nulla a che vedere quindi con la cosmesi biologica, per la quale invece manca una definizione “legale” (lo stesso vale anche per la cosmesi cosiddetta naturale). In questo specifico ambito esistono due standard privati internazionali, NaTrue, (www.natrue.org) , e CosmOS (www.cosmos-standard.org) che, nella citata assenza di un quadro normativo europeo, garantiscono l’assoluta conformità a standard collettivi precisi e riconosciuti a livello internazionale (diverso, ovviamente, è il caso di riferimenti a pretese caratteristiche “naturali” o addirittura “biologiche” senza il rifermento in etichetta al controllo di organismi qualificati).
Non comprendiamo quindi per quale motivo i due argomenti siano stati accostati nella medesima trasmissione, con il rischio di dare allo spettatore un messaggio confuso e fuorviante anche se apprezziamo che anche la trasmissione Report si sia fatta parte attiva nel sollecitare l’adozione di una normativa almeno nazionale sulla cosmesi “biologica” e naturale. In generale il settore della produzione agroalimentare biologica (agricoltura, allevamento e trasformazione) è quello più controllato: ai controlli delle diverse Autorità pubbliche ogni anno vengono aggiunte migliaia di ispezioni e di analisi per la ricerca di prodotti chimici di sintesi non ammessi nel metodo di coltivazione bio, che hanno proprio l’obiettivo di portare alla luce eventuali casi da seguire o di criticità che vanno affrontate con il massimo rigore e trasparenza. Le analisi sono sempre più spesso effettuate in campagna nei periodi critici della coltivazione e sempre meno sul prodotto finito. Come ha bene evidenziato l’inchiesta di Report le analisi per la ricerca dei residui sui prodotti destinati al consumo non sempre consentono di identificare eventuali frodi.
I prodotti biologici continuano a essere quindi i più controllati e sicuri per i consumatori, la Federazione tuttavia conviene che è necessario non abbassare mai la guardia, specie ora che il mercato è in forte crescita e così i prezzi alla produzione. Quelli che la trasmissione ha definito i cosiddetti “bio furbi” devono essere denunciati, a tutela delle oltre 50.000 aziende bio italiane che lavorano onestamente e che nutrono un comparto vitale per l’agroalimentare italiano, l’unico che registra una crescita costante e importante dal 2005 ad oggi. Per questo FederBio si è dotata di un Codice Etico e di uno sportello per le segnalazioni (http://www.federbio.it/Segnalazioni_e_Reclami.php) e svolge da tempo un’attività specifica di indagine e di denuncia, oltre che di monitoraggio del sistema di certificazione e del mercato. Per questo ci siamo messi fin dal primo momento a disposizione anche della redazione di Report e siamo già impegnati a lavorare sulle incongruenze che sono state segnalate nell’inchiesta (ad esempio i dati sulle superfici e sulle rese per ettaro di superficie, evidentemente incongruenti).
In Italia ogni azienda bio riceve un controllo circa ogni 9 mesi (nel 2013 il rapporto visite effettuate sul numero totale di aziende è stato pari a 1,35 – elaborazione FederBio). La coltivazione biologica del riso è sicuramente molto impegnativa e richiede un lavoro più accurato anche per la presenza di aziende che non sono interamente convertite al bio. Sulla base delle elaborazioni di FederBio sui dati degli ultimi 5 anni (2010 – 2014) messi a disposizione dagli organismi di certificazione queste aziende sono state controllate in media 2,15 volte, valore quasi doppio rispetto alla media italiana delle aziende biologiche. Se è vero che le aziende risicole risultano mediamente più soggette a infrazioni rispetto alla media totale in Italia (4,74% contro il 3,92%) è altrettanto vero che ogni minima infrazione viene notificata alle Autorità pubbliche, per i loro adempimenti del caso e che alle aziende responsabili vengono comminate le sanzioni del ritiro della certificazione e dell’espulsione. Per quanto riguarda il controllo analitico emerge che nel quinquennio indicato il rapporto analisi di laboratorio/aziende controllato è doppio nel comparto riso rispetto al dato del bio italiano il 40,81% delle aziende risicole subiscono annualmente analisi, contro il 21,24% delle aziende bio in generale. Malgrado la maggiore pressione analitica le analisi sulle aziende risicole da cui risultano non conformità (dolose o accidentali quindi involontarie per contaminazioni da parte di aziende vicine che non adottano le misure necessarie a evitare la diffusione nell’ambiente dei principi attivi ) sono mediamente più basse rispetto a quelle dell’intero settore, attestandosi al 7,23% contro 8,43%. Naturalmente gli esiti delle analisi conducono, quando sia accertata l’intenzionalità dell’uso di prodotti non consentiti, alla sospensione della certificazione o all’esclusione del produttore, secondo criteri e con sanzioni non decise dagli organismi di controllo, ma precisamente e dettagliatamente previsti dalla legge.
“FederBio è venuta a conoscenza della denuncia dei giovani agricoltori di Confagricoltura (ANGA) già da qualche settimana, purtroppo non direttamente e con notevole ritardo non certo per nostra indisponibilità al confronto. Abbiamo infatti immediatamente attivato una unità di crisi e riunito tutti gli organismi di certificazione per analizzare i dati reali della coltivazione e del controllo del riso bio in Italia e predisporre un piano d’azione per superare le criticità. – dichiara il Presidente di FederBio Paolo Carnemolla – Su questa base abbiamo incontrato la presidenza di ANGA e la dirigenza di Confagricoltura nazionali, condividendo i punti sui cui avviare alcune azioni comuni, a conferma che c’è una volontà condivisa di denunciare i “biofurbi” e tutelare i coltivatori di riso bio onesti, che sono la grande maggioranza. FederBio sta inoltre lavorando anche per attivare una piattaforma informatica per la tracciabilità delle produzioni e delle transazioni dei cereali bio, proprio per evitare quella confusione sui dati e sulle rese produttive che ha messo in evidenza l’inchiesta di Report.” conclude Carnemolla.
Fonte: FederBio