Si è tenuta il 17 e 18 novembre scorsi a Parigi la conferenza europeo sul biologico organizzata da IFOAM UE-Group insieme all’associazione francese Synabio. All’incontro hanno preso parte rappresentanti delle associazioni del settore di Germania, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Inghilterra, Svizzera, Finlandia, Spagna e di diversi altri Stati membri dell’UE. I 125 delegati, dopo un giorno e mezzo di dibattito si sono trovati d’accordo su un punto fondamentale: è opportuno ritirare la versione del regolamento biologico europeo proposta dalla UE nella sua interezza o di modificare alcuni punti importanti. Secondo i partecipanti all’incontro di Parigi, anziché riscrivere interamente le normative sul biologico sarebbe al contrario utile utilizzare il regolamento in vigore a partire dal 2007, modificandolo con una serie di nuovi apporti e contributi. Per giungere a queste conclusioni, i tavoli di confronto sono stati organizzati in sei gruppi di lavoro distinti e paralleli che hanno approfondito, analizzato e discusso diverse parti della proposta.
Nel corso della sua dichiarazione conclusiva, il direttore dell’associazione olandese Bionext, Bavo van den Idsert, ha così riassunto l’esito dei lavori: “Non abbiamo bisogno di più regole, ma di attuare al meglio ill regolamento già esistente.” E, rivolgendosi al rappresentante dell’Unità Bio della DG Agricoltura UE, Manuel Rossi-Prieto, ha dichiarato: “Siamo lieti che la Commissione europea sia disposta a lavorare con noi per affrontare i problemi e le questioni emerse: avviamo una nuova fase di dialogo.
L’avvocato Hans-Peter Schmidt, che teme che una valanga di problemi si abbattano sul settore del biologico europeo, ha invitato Rossi-Prieto, anziché sostituire completamente l’attuale regolamento, ad integrare la normativa vigente con le nuove modifiche emerse in fase di dibattito.
Dal canto suo, Rossi-Prieto, parlando a nome della Commissione europea, ha chiarito e ribadito che l’intenzione della rigorma è quella di semplificare e migliorare la normativa di settore, spiegando uno dei motivi principali per cui si è deciso di arrivare a questa proposta: “È molto importante agire contro le frodi nel biologico, perché ne va della credibilità di tutto il comparto. L’anno prossimo sarà avviato un programma anti frode chiamato “Tracce”, che permetterà di controllare direttamente i certificati bio on-line”
Il punto forse più dibattuto nel corso dell’intera conferenza ha riguardato la possibilità di perdita di certificazione nel caso di presenza di residui di sostanze non consentite nel biologico. Mentre la Commissione e un piccolo numero di partecipanti da un lato vorrebbero soddisfare in pieno le aspettative dei consumatori, premendo per avere alimenti completamente privi di ogni contaminazione, la stragrande maggioranza dei partecipanti si è detta convinta del fatto che questo è un pio desiderio. “Il biologico non esiste su un’isola, ma nel bel mezzo di un mare di agricoltura convenzionale e di un ambiente contaminato da pesticidi e loro residui,” è stato il senso di diversi contributi sul tema. Non è accettabile, questo in sostanza il senso dell’obiezione, che un agricoltore debba temere la persecuzione e l’onere della prova dimostrando che non è lui il responsabile di una contaminazione proveniente magari da un’altra fonte. A questa idea è stato opposto invece il principio del “Chi inquina paga”, ovverosia una posizione che individua nell’agricoltore che ha utilizzato il pesticida il responsabile degli eventuali danni provocati.
Sul tema, un caso emblema tic è stato portato dall’agricoltore biologico francese Dominique Marion: la sua associazione di produttori ha dovuto pagare 5.000 € per le prove di laboratorio, perché vi era il sospetto di una contaminazione da glifosato.
Anche Hans Braekman, responsabile dello sviluppo e del supporto tecnico presso Fytolab, laboratorio di analisi in Belgio, ha spiegato che spesso capita imbattersi in risultati contraddittori provenienti da diversi laboratori e che in Europa meno della metà dei 150 laboratori autorizzati fornisce risultati davvero attendibili. Ribadendo così che la buona reputazione del settore biologico, ne caso di una scelta improntata alla “tolleranza zero” potrebbe davvero trovarsi nelle mani di pochi laboratori. Con risultati in grado di determinare il destino di lotti interi e raccolti. Il concetto di “falso positivo” infatti è stato uno dei termini chiave che preoccupavano i partecipanti alla conferenza. E’ un’evenienza che è accaduta in passato e che accadrà anche in futuro: un laboratorio sostiene di aver trovato residui nei prodotti biologici, ma, quando quegli stessi campioni vengono esaminati da un altro laboratorio, i risultati non vengono confermati. Nel frattempo però magari il problema è già divenuto di pubblico dominio, con seri danni d’immagine, accuse ingiustificate e intere partite di merci ritirate frettolosamente dal mercato.
Un ulteriore aspetto della questione ha riguardato il problema dei residui di veleni persistenti come il DDT, sostanze che si sono accumulate nel terreno per decenni e che hanno tempi di degradazione molto lenti.
Il punto è delicato: tutti concordano sul fatto che non deve essere punito il singolo agricoltore bio che suo malgrado incappa in una contaminazione “vecchia” di questo tipo: se la contaminazione rientra entro i limiti di legge, deve giustamente essere tollerata. Ma con l’ipotesi “tolleranza zero” passasse senza modifiche, significherebbe che sempre, in presenza di residui di questo genere, l’intero lotto di materie prime o, peggio ancora, dei prodotti trasformati vedrebbero revocato il loro status biologico. Con conseguenze facilmente prevedibili. Per alcuni, questo potrebbe essere in futuro l’ordine del giorno: una situazione a rischio di concreta in gestibilità.
Inoltre, ciò consegnerebbe a tutti i detrattori e “nemici” dell’agricoltura biologica un potente strumento in grado di promuovere azioni di richiamo di prodotti del commercio al dettaglio. E il regolamento di compensazione previsto dalla UE, i governi nazionali hanno la possibilità (ma non l’obbligo) di recepire, beneficerebbe solo i produttori e non i commercianti, che subirebbero per intero il danno. Con il rischio concreto della chiusura di intere attività che difficilmente potrebbero reggere un impatto di questo tipo.
A complicare le cose, resterebbe anche la possibilità del ritiro delle licenze, nel caso di ritrovamento di residui di pesticidi. Come ha ricordato il presidente di Ifoam UE-Group Christopher Stopes, “questo è il vero motivo per cui è fondamentale che venga chiarita la nostra posizione complessiva sulle questioni ancora aperte che riguardano il settore biologico”. Per Stopes “l’agricoltura biologica è un continuum che parte dalla fertilità del suolo e delle sementi e arriva allai trasformazione, no né una semplice domanda di prodotto finale incontaminato.
Un altro punto controverso discusso a Parigi ha riguardato i criteri da applicare per il futuro riguardo le importazioni nell’Unione. Finora è stato applicato il principio di equivalenza del regolamento biologico, ma in futuro invece dovrebbe valere il principio di conformità delle norme e dei regolamenti. Un’innovazione che vede la decisa oppozionione del gruppo IFOAM-UE: ” non crediamo nell’idea di linee guida completamente omogenee e non vogliamo un approccio neo-coloniale al problema”, ha dichiarato sempre Stopes, sottolineando che esistono innumerevoli sistemi di tutto il mondo e che le differenze dovrebbero essere eliminate poco a poco.
Jean Verdier, presidente dell’associazione di trasformatori Synabio, ha detto che vi è la necessità di una certa armonizzazione anche in Europa: “Si tratta di far convergere i vari approcci per creare un punto di vista comune. In Francia, stiamo già lavorando con diverse organizzazioni come la Coop de France. Non siamo contro una riformain linea di principio, ma deve essere una riforma coerente.
“Qui a Parigi è condivisa l’idea che le ispezioni annuali dovrebbero continuare in futuro. L’UE aveva proposto che, al fine di ridurre la burocrazia, in settori non rischio ispezioni ogni due anni sarebbero sufficienti”, aggiungendo che a suo avviso “ciò che è davvero importante è che le piante vengano coltivate sul terreno e non su altro substrato, cosa che la Commissione istituita per nuovo regolamento organico non proibisce in maniera chiara. Gerald Herrmann, di ORganic Services, ha sottolineato invece la necessità di predisporre misure preventive per combattere le frodi tramite banche dati on-line. Per queste ragioni l’azienda di Monaco ha sviluppato il programma CheckOrganic che potrebbe aiutare in questo sforzo. Avere a disposizione un database aiuterebbe perché si potrebbe accedere allo stato attuale di un attestato di controllo. “Su questo punto, le linee guida del Regolamento biologico UE non sono neanche lontanamente sufficienti per combattere più efficacemente la le future frodi del settore biologico”, ha detto Herrmann.
Bavo Van Den Idsert, dall’associazione Bionext, si è detto a favore dell’ulteriore sviluppo di un approccio basato sul rischio al fine di prevenire le frodi. “Non solo i trasformatori, ma anche gli Organismi di Controllo e le autorità hanno bisogno di poter effettuare controlli incrociati”, ha detto Van Den Idsert. “In definitiva, abbiamo bisogno di una migliore attuazione delle linee guida esistenti e non una completa riscrittura del regolamento biologico.”
Altro punto di dissenso tra i rappresentanti del mondo del bio e la Commissione europea riguarda la possibilità che in futuro sia contemplata la possibilità di avere aziende agricole in cui coesistano terreni convenzionali e bio, visto il rischio che fertilizzanti e altre sostanze finiscano per mescolarsi.
Secondo Luc Maurer, del Ministero dell’Agricoltura francese, non c’è nessun problema nel controllare due differenti tipi di produzione, perché diverse colture vengono coltivate. Secondo Maurer l’abolizione delle colture convenzionali è un obiettivo nobile, ma irrealizzabile sul breve periodo.
Sono stati molti altri i punti discussi sia dai gruppi di lavoro che in riunione plenaria, e hanno riguardato i materiali di imballaggio, la gestione dell’ambiente e la sostenibilità, la qualità e i controlli obbligatori per tutti quei punti vendita nell’UE che attualmente vendono prodotti biologici. I delegati hanno convenuto circa l’opportunità che non vengano al momento introdotti nuovi controlli obbligatori per i prodotti biologici preconfezionati: il timore dei partecipanti è che l’eventuale introduzione di controlli più rigorosi porterebbe molti piccoli esercizi (negozi che vendono bevande, chioschi etc.) a eliminare dalle loro forniture i prodotti biologici per evitare di sostenere costosi oneri economici per il loro controllo
In conclusione, quello di Parigi è stato un incontro che ha dato vita ad uno scambio molto importante e fruttuoso di opinioni da parte di moltissimi operatori del settore biologico: agricoltori biologici, trasformatori, commercianti e organizzazioni bio, anche se gli organizzatori non hanno nascosto la loro delusione per la presenza di un unico membro della Commissione Europea.
Ciò che è importante è che il settore biologico in Europa parli con una sola voce e che le richieste rivolte alla Commissione non diano l’impressione di un settore disunito e pieno di contrasti al proprio interno. . La direzione tracciata dall’incontro di Parigi è quello di una piattaforma comune, affinchè il mondo del biologico possa portare chiaramente le proprie istanze a Bruxelles in una fase cruciale di trasformazione dell’intero biologico europeo.
Fonte: Organic Market