I consumatori europei confusi sul mercato del pesce biologico
Un sondaggio tra i consumatori in Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia dimostra che la maggior parte della gente non sa che cosa si intende per “pesce biologico”.
Come parte del progetto OrAqua nell’UE, l’indagine ha avuto 500 partecipanti provenienti da ciascuno dei più grandi mercati di pesce biologico in Europa, che ha fornito le loro risposte attraverso un questionario on-line.
“L’acquacoltura biologica non è una novità, ma è stata solo di recente oggetto di una regolamentazione specifica a livello dell’UE. Da quanto ci rivelano le idee dei consumatori di pesce biologico, possiamo vedere che non sono in linea con la normativa “, ha detto il ricercatore Nofima Pirjo Honkanen
Per molti intervistati, “naturalità” è la definizione più importante di biologico. Ma nella produzione pratica, è una storia completamente diversa.
“La definizione di acquacoltura biologica è per molti versi simile a quello che accade in agricoltura. Si tratta di mantenere il pieno controllo della produzione, nessun farmaco o pesticidi, e la rigorosa regolamentazione delle condizioni di produzione e qualità delle acque “, ha detto Honkanen.
Si tratta del processo per il quale il pesce biologico sarà ancora immaginato in una vasca, ma non può nuotare liberamente come fa un pesce selvatico.
I consumatori intervistati affermano che mangiano farine biologiche una volta per due volte al mese, ortaggi biologici da due a quattro volte al mese, e il pesce biologico da una a tre volte al mese.
Il consumo di pesce biologico ha il consumo più alto in Italia, e il più basso in Germania. È anche emerso che la Gran Bretagna e la Germania hanno il maggior numero di consumatori che non mangiano pesce biologico.
“Sono molto pochi quelli che sono consapevoli del marchio biologico ufficiale dell’UE, la foglia verde formata dalle stelle dei paesi europei. L’etichetta è stata lanciata per rendere più facile per i consumatori per trovare i prodotti biologici, ma pochi non si rendono davvero conto di ciò che il simbolo significa “, ha detto Honkanen.
Cop 21: accordo storico con l’occhio al picco delle emissioni
Si è conclusa nei giorni scorsi la Cop21, la Conferenza internazionale che ha visti radunati a Parigi 195 Paesi per trovare un accordo che salvi il Pianeta. Con difficoltà, l’accordo è stato raggiunto. C’è chi parla di un “risultato storico”, chi invece che ci sia davvero poco da festeggiare.
Così, i singoli Stati, che si chiamano INDC “Intended Nationally Determined Contributions”, hanno prodotto dei documenti dove indicano i loro piani operativi per ridurre le emissioni di gas serra a livello nazionale.
Ma sta qui parte dei limiti dell’accordo: non c’è nessun obbligo per gli Stati di mantenere le loro promesse e, comunque, anche se lo facessero, siamo lontani dal raggiungere gli obiettivi di abbattimento delle emissioni. I 29 articoli dell’accordo, infatti, si limitano a raccomandare alle nazioni di tenere comportamenti virtuosi ma non prevedono sanzioni in caso contrario.
Nel frattempo, comunque, il presidente della Cop21, Laurent Fabius, ha descritto in questo modo il testo: “Questo accordo è necessario per il mondo intero e per ciascuno dei nostri paesi. Aiuterà gli stati insulari a tutelarsi davanti all’avanzare dei mari che minacciano le loro coste; darà mezzi finanziari all’Africa, sosterrà l’America Latina nella protezione delle sue foreste e appoggerà i produttori di petrolio nella diversificazione della loro produzione energetica. Questo testo sarà al servizio delle grandi cause: sicurezza alimentare, lotta alla povertà, diritti essenziali e alla fine dei conti, la pace. Siamo arrivati alla fine di un percorso ma anche all’inizio di un altro. Il mondo trattiene il fiato e conta su tutti noi“.
Ma vediamo, in sintesi, cosa è stato deciso. Come abbiamo accennato, l’obiettivo focale del patto è il contenimento della temperatura: rimanere ben al di sotto dei 2 gradi centigradi entro il 2020, forse fino agli 1,5 gradi.
Poi, ci sono i 100 miliardi di dollari da destinare ai paesi in via di sviluppo, da qui al 2020. Un nuovo obiettivo finanziario sarà fissato più tardi nel 2025.
Infine, le emissioni nocive: i piani nazionali per il taglio dei gas serra saranno sottoposti a revisione ogni cinque anni. Comunque, è richiesto che le parti “puntino a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile“, e di proseguire con “rapide riduzioni dopo quel momento” per arrivare a “un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo“.
La preoccupazione per la nostra “casa comune” è alla base anche dell’enciclica di Papa Francesco, pubblicata quest’anno, “Laudato Sì”. Un’esortazione affinchè la politica mondiale prenda a cuore la necessità di proteggere il nostro pianeta sia dal punto di vista ambientale che sociale. L’enciclica sottolinea, infatti, come senza giustizia sociale, e soprattutto verso i più poveri, non sia possibile proteggere le varie forme di vita che caratterizzano la nostra terra, le materie prime di cui noi stessi siamo fatti. Occorre cambiare i nostri atteggiamenti di dominatore, di consumatore o mero sfruttatore di risorse naturali, incapace di porre un limite agli interessi immediati. Viceversa, è necessario assumere il ruolo di buoni amministratori di ricchezze naturali che ci sono state concesse temporaneamente in gestione per tramandarle ai posteri. Una preoccupazione che deve alimentare i cervelli e i cuori di chi responsabilmente partecipa alla COP 21 ed ha il compito di definire le tappe per raggiungere l’obiettivo “planetario”.
In molte occasioni abbiamo definito la sostenibilità e le modalità per raggiungerla, ne abbiamo fatto motivo professionale ed ogni giorno cerchiamo di alimentarla con il nostro impegno. Un impegno che può vederci personalmente coinvolti perché i grandi obiettivi si possono raggiungere anche con le scelte personali che quotidianamente ognuno di noi compie.
fonti: http://www.ccpb.it/blog/2015/12/11/cop-21-laudato-si-sostenibilita-passando-per-biologico/
http://ambientebio.it/cop21-accordo-sul-clima-possiamo-veramente-dirci-soddisfatti/
Psr Ue: approvati 118 programmi per un valore di oltre 99 miliardi di euro
Ue: pronti a partire i 118 Psr validi per il periodo 2014-2020. Previsti per il rilancio del settore 99,6 miliardi di euro prelevati dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). A questi vanno ad aggiungersi altri 60,6 miliardi di euro cofinanziati dai fondi pubblici nazionali o regionali o da investimenti privati.
L’approvazione del Psr della Grecia, avvenuta lo scorso 11 dicembre, conclude l’iter europeo di selezione.
I programmi aiuteranno le zone e le comunità rurali europee a far fronte alle attuali sfide sul piano economico, ambientale e sociale, cogliendo le opportunità previste e rafforzando i punti di forza locali.
Nel commentare la conclusione di questa prima tappa, il commissario europeo all’Agricoltura Phil Hogan ha dichiarato: “Il programma di sviluppo rurale significa lavoro, crescita, investimenti e competitività per l’Europa rurale. L’obiettivo è mettere le zone e le comunità rurali in condizione di affrontare il vasto numero di sfide e di opportunità che le attendono nel XXI secolo sotto il profilo economico, sociale e ambientale. Grazie ad investimenti intelligenti e strategici, i PSR favoriranno il rinnovo generazionale e imprimeranno dinamismo all’economia rurale, alla società e all’ambiente. La XXI conferenza delle parti (COP 21) attualmente in corso a Parigi mette inevitabilmente in evidenza l’entità della sfida che il clima rappresenta: il programma di sviluppo rurale deve svolgere un ruolo importante nel contribuire ad affrontarla e a vincere“.
I piani per lo sviluppo rurale sono un pilastro fondamentale della politica agricola comune. Mettono a disposizione degli Stati membri un budget unionale da gestire a livello nazionale o regionale nell’ambito di programmi pluriennali cofinanziati.
Per coordinare le azioni in modo più efficiente e massimizzare le sinergie con gli altri fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE), ogni Stato membro firma un accordo di partenariato, che illustra a grandi linee la strategia per gli investimenti strutturali finanziati dall’UE.
Il territorio europeo è occupato per il 52% da regioni prevalentemente agricole. In queste aree vivono 112,1 milioni di persone. Le zone sono però profondamente diverse tra di loro. Per questo, la Commissione offre agli Stati membri maggiore flessibilità affinché il sostegno possa adattarsi alle specificità di ogni regione.
Gli Stati membri possono costituire programmi nazionali o regionali propri, basandosi su almeno quattro delle sei priorità comuni: conoscenza e innovazione, competitività, migliore organizzazione della filiera alimentare, tutela degli ecosistemi, efficienza delle risorse e inclusione sociale.
Le autorità polacche, ad esempio, hanno deciso di stanziare un terzo dei fondi del Psr per rafforzare la redditività e la competitività delle aziende agricole, offrendo sostegni agli investimenti per circa 200.000 aziende e più di 1 800 associazioni di produttori.
L’Austria ha assegnato il 71% del sostegno per migliorare la gestione delle risorse naturali e stimolare pratiche agricole sostenibili.
Il PSR irlandese sarà finalizzato soprattutto a ripristinare e valorizzare gli ecosistemi connessi all’agricoltura e alla silvicoltura.
In Italia, il programma della Calabria contribuirà all’integrazione sociale e allo sviluppo economico nelle zone rurali grazie al miglioramento delle infrastrutture a banda larga per circa il 48% della popolazione agricola.
Fonti:
Xylella fastidiosa: Bruxelles avvia una procedura d’infrazione contro l’Italia
L’Italia entra nel mirino di Bruxelles. Lo scorso 10 dicembre, l’Ue ha inviato al ministro per le Politiche agricole, Maurizio Martina, una lettera di messa in mora, primo passo della procedura d’infrazione. L’oggetto del richiamo da parte della Commissione Europea è la vicenda inerente il contenimento della Xylella fastidiosa, il batterio che ha portato all’essiccazione di centinaia di piante di ulivo in Salento.
Secondo l’Ue, l’Italia non starebbe rispettando pienamente gli obblighi previsti dal piano di eradicazione della Xylella.
La decisione si basa sui risultati dell’ispezione effettuata dall’Ufficio veterinario europeo lo scorso novembre, che saranno diffusi nei prossimi giorni, e sulla valutazione della Commissione europea.
La lettera di messa in mora formalizza la procedura a carico dell’Italia che ora rischia pesanti sanzioni, anche finanziarie. Secondo quanto si apprende in ambienti della Commissione “l’iniziativa va letta alla luce della grande preoccupazione che c’è nell’Esecutivo Ue per le prossime sentenze dei Tribunali amministrativi italiani che potrebbero imprimere nuovi stop alle azioni previste per il contenimento del batterio, primo fra tutti l’abbattimento degli ulivi”.
L’Italia ora ha 60 giorni di tempo per rispondere alla lettera di messa in mora. Se la procedura andrà avanti, nei prossimi mesi sarà inviato un parere motivato. Successivamente, si arriverà alla formalizzazione dei rilievi che, in assenza di risposte da parte dello Stato membro, farà pervenire l’intera questione dinanzi alla Corte di Giustizia Ue.
Come fa sapere Bruxelles: “Questa prima lettera di messa in mora è una richiesta di intervento e nulla toglie che di fronte a una forte presa di posizione e assunzione di responsabilità da parte dello stato membro che l’intera procedura possa essere sospesa“.
Non è tardato il commento della Coldiretti secondo cui “l’Unione Europea colpisce l’Italia per coprire i propri errori di fronte ad emergenze fortemente sottovalutate. Sulla Xylella Bruxelles ha a lungo tentennato sull’attuazione di norme sanitarie a protezione dei confini dal contagio della malattia che proveniva da paesi extra-Ue“.
Come ricorda Il Fatto Quotidiano, in molti ambienti del settore si ritiene che l’abbattimento degli alberi sia superfluo, una soluzione troppo impattante, soprattutto nei territori in cui la Xylella si è insediata da tempo. Proprio per questo motivo, la Regione Puglia ha dato vita ad una task force di esperti di diversa estrazione, per cercare soluzioni di convivenza con il patogeno, non potendo più essere possibile la sua eradicazione.
Alcune sperimentazioni hanno già dato risposte importanti sulla capacità di ripresa degli ulivi. Questi alberi per il Salento rappresentano la storia, l’economia, il turismo, la cultura e il paesaggio del territorio. Una cosa che bisognerà cercare di far comprendere a Bruxelles, se si vorranno evitare grosse sanzioni.
Fonti:
Organic 3.0: quale sarà il futuro del movimento biologico
Il futuro dell’agricoltura biologica parla un linguaggio innovativo, sostenibile ed è capace di rispondere alle sfide che il nostro pianeta e la nostra specie gli pongono dinanzi. È questa la definizione di Organic 3.0 data da IFOAM, la Federazione Internazionale dei Movimenti per l’Agricoltura Biologica.
Ma siamo realmente pronti a effettuare il passaggio a un tipo di agricoltura biologica 3.0?
Secondo un recente documento presentato da IFOAM durante l’Esposizione Internazionale del Biologico tenutasi a Goesan, in Corea nel mese di ottobre, il mondo è sulla buona strada ma ancora troppo lontano dall’obiettivo.
Il rapporto, che si intitola proprio Organic 3.0-for truly sustainable farming & consumption propone il lancio mondiale di una nuova fase del movimento biologico.
Dalla fase visionaria dell’agricoltura biologica del 20esimo secolo (denominata Organic 1.0) avviata da numerosi pionieri, che si sono accorti della necessità di attuare un cambiamento radicale nel settore ad oggi (Organic 2.0), il movimento dell’agricoltura biologica ha raggiunto diversi ambiziosi obiettivi. Al 2015, 82 paesi hanno attuato norme per potenziare il settore biologico. Nel 2013, il mercato globale dei prodotti biologici è stato valutato per 72 miliardi di dollari.
Nonostante questi risultati, però, l’agricoltura biologica rappresenta attualmente meno dell’1 per cento del territorio e della produzione alimentare mondiale.
Il rapporto diffuso da IFOAM sostiene che il mondo ha bisogno di entrare in un nuovo paradigma, denominato Organic 3.0, capace di affrontare e risolvere le carenze del movimento attuale.
L’obiettivo di questa nuova fase del movimento biologico è quello di spingere l’agricoltura biologica fuori dal suo ruolo attuale “di nicchia”, verso una accettazione diffusa delle pratiche sostenibili, lungo ogni nodo della catena di fornitura.
Organic 3.0 propone uno sforzo globale verso il raggiungimento di un sistema produttivo moderno, innovativo e che ponga i risultati e gli impatti dell’agricoltura in primo piano.
Il rapporto sottolinea ripetutamente l’idea di “una vera sostenibilità”, ammettendo che i sistemi biologici attuali lottano per affrontare questioni come prezzi equi, nuove tecnologie di allevamento e l’importante ruolo dei piccoli contadini.
Sono state inoltre definite sei caratteristiche chiave, con obiettivi specifici, per operare questo processo evolutivo:
Cultura dell’innovazione
Miglioramento continuo verso pratiche migliori
Trasparenza
Inclusione di interessi diversi legati alla sostenibilità
Potenziamento olistico del processo dal produttore al consumatore
Valore reale e prezzi equi
Il rapporto IFOAM si propone di creare questo cambiamento per affrontare le diverse problematiche del settore, come la trasparenza delle catene del valore, le distorsioni dei prezzi, l’uso di tecnologie appropriate.
Le idee presentate nella relazione IFOAM sono così volte a “ispirare e alimentare il dibattito sul futuro dell’agricoltura biologica” e prenderanno corpo in proposte che dovranno essere approvate da un’assemblea virtuale di leader del movimento biologico a fine 2016.
Fonti:
http://foodtank.com/news/2015/12/the-future-of-the-organic-movement-organic-3.0
http://www.ifoam.bio/en/value-chain/organic-30-next-phase-organic-development
http://www.ifoam.bio/sites/default/files/organic_3.0_discussion_paper.pdf