Suolo e Salute

Anno: 2015

28 Aprile: Tavolo Tecnico FederBio sul fenomeno della Xylella in Puglia

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INCONTRO TECNICO SU METODOLOGIE DI PREVENZIONE E DI DIFESA DEL COMPLESSO DEL DISSECCAMENTO RAPIDO DELL’OLIVO ( CoDiRo) NEL TERRITORIO DELLA REGIONE PUGLIA

FederBio in qualità di organizzazione interprofessionale del settore biologico ha ritenuto necessario attivarsi per tutelare gli interessi delle imprese biologiche del territorio pugliese e per dare un contributo fattivo alla gestione di tale particolare emergenza organizza un incontro tecnico presso:

Sala Kalì Zoì – c/o Palazzo Granafei – via Eugenio Perrone -Sternatia (LE)

28 aprile 2015 -ore 18.00

All’incontro interverranno esperti indicati dalle organizzazioni dei produttori agricoli, dagli organismi di certificazione autorizzati, dall’associazione dei produttori di mezzi tecnici biologici e dal mondo scientifico e della ricerca.
Saranno illustrate le attività e le tecniche di prevenzione e difesa del CoDiRO compatibili con il metodo biologico ad oggi disponibili e di quelle in corso di sperimentazione.

Programma

§ Saluti di Massimo Manera Sindaco del Comune di Sternatia
§ Saluti di Paolo Carnemolla Presidente di FederBio
§ Relazione tecnica sulla diffusione del CoDiRo: Francesco Porcelli, professore associato di Entomologia presso l’UNIBA
§ Le proposte di FederBio per fronteggiare il CoDiRO con metodi biologici
§ Le richieste dei produttori Biologici e Biodinamici: Pino Mele UPBio – Antonello Russo Demeter Italia
§ I mezzi tecnici a disposizione per il biologico: Massimo Benuzzi IBMA
§ La gestione dell’emergenza e il sistema di certificazione biologico: rappresentante Sezione Soci Organismi di Certficazione Federbio
§ Intervento di un funzionario della Regione Puglia
La partecipazione è libera e si prega di divulgare l’evento
Per informazioni contattare FederBio
Tel. 051.4210272 info@federbio.it www.federbio.it
COSA E’ SUCCESSO NEL TERRITORIO? I PARAOCCHI DELL’EUROPA e LE SOLUZIONI ALTERNATIVE DEGLI STUDIOSI
Altissima la preoccupazione degli ultimi mesi relativi ai danni causati dal batterio Xylella Fastidiosa ( subspecie pauca ceppo CoDiRO) che ha colpito numerosi alberi della regione Puglia. In particolare, sono allarmanti le misure imposte dall’Europa che costringono l’Italia allo sterminio di numerosi esemplari di ulivi, anche secolari; una misura che, a detta di molti, potrebbe essere inutile.
Ma l’Europa sembra ferma nella sua decisione potrebbe imporre la rimozione di tutti gli alberi colpiti dal batterio, pena l’avvio di una procedura d’infrazione comunitaria. Un incubo per il territorio, visto che la Xylella non attacca solamente gli alberi di ulivo, ma anche altre piante, appartenenti almeno a 150 specie.
Secondo quanto stabilito dal commissario straordinario nominato dal governo, Giuseppe Silletti, comandante regionale del Corpo Forestale dello Stato, le operazioni sono partite, per essere completate entro il mese di maggio. Il suo piano è stato già sottoposto all’approvazione del Dipartimento della protezione civile.
Un diktat ben preciso che prevede, come abbiamo accennato prima, delle sanzioni dure e interventi in sostituzione da parte dell’agenzia regionale Arif per quanti si opporranno a questa strage. Non andrà meglio per chi non effettuerà le arature entro aprile e per chi si rifiuterà da maggio di usare insetticidi chimici.
Un bel dilemma da affrontare e al quale il convegno proposto da Federbio si propone di dare delle risposte concrete.
Nel frattempo, vari artisti, associazioni e gruppi ambientalisti si sono fatti avanti per opporsi a questo scempio.
Ma ormai la macchina di distruzione si è messa in moto: a poco vale il fatto che non sia nemmeno sicuro che a far morire gli alberi sia Xylella.
Lo ha ripetuto Kristos Xiloyannis, ordinario dell’Università di Foggia e nome di punta nel campo dell’agricoltura sostenibile, che ha affermato: “L’esperienza in tutte le altre parti del mondo ci insegna che, di fronte a batteri come questo, l’abbattimento delle piante è inutile. Nel Lazio, dopo aver distrutto mille ettari di kiwi, ci si è fermati perché si è capito che era tutto superfluo”.
Nel frattempo ciò che preoccupa non sono solamente gli interventi imposti dall’Europa, ma anche le reazioni dei diversi stati membri. La Francia, ad esempio, per mano del ministro dell’agricoltura Stephane Le Foll, ha varato il divieto che impedisce le importazioni delle piante a rischio Xylella fastidiosa.
“In attesa dell’attuazione di un dispositivo europeo – riporta il Fatto Quotidiano – il ministro ha deciso di adottare misure nazionali. Un decreto è stato firmato oggi e verrà pubblicato domani al fine di interdire l’importazione in Francia di piante che possono essere infettate dalla Xylella fastidiosa e provenienti dallezone colpite dal batterio. Questo divieto riguarda il commercio intra-europeo dalla regione Puglia e le importazioni da zone infette da paesi terzi interessati”. Un duro colpo all’economia pugliese, ma anche ai diversi rapporti di commercio agroalimentare presenti tra Italia e Francia.

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Ma non finisce qui: fonti ministeriali confermano al IlFattoQuotidiano.it la possibilità di nuovi blocchi in arrivo sull’esportazione di piante ornamentali dai vivai di altre regioni italiane, come, ad esempio, quelli di Jesi.
Nel frattempo l’Italia promette reazioni dure contro “queste azioni di concorrenza sleale”. Secondo Enzo Lavarra, consigliere del ministro Martina, “è inaccettabile che l’Ue avalli la posizione francese e al contempo imponga misure drastiche per contenere la Xylella, senza far nulla per finanziare la ricerca e riconoscere un adeguato ristoro di danni che sono enormi, visto che ha anche la responsabilità di un deficit di controllo alle frontiere”.
Ma un’alternativa all’eradicazione di tutte le piante malate ci sarebbe e come.
Del resto, lo stesso CNR ha affermato che abbattere tutte le piante sarebbe non solo un’impresa titanica, ma anche del tutto inutile.
Una delle alternative sarebbe quella di effettuare delle eradicazioni sulla parte più avanzata dell’epidemia, intervenendo poi sull’insetto vettore della malattia. Come afferma Donato Boscia, responsabile dell’Istituto di Virologia del Cnr di Bari, “Il Ceppo presente in Puglia è stato individuato in Costa Rica e si diffonde grazie a un insetto, la Sputacchina, un insettino innocuo che ha la capacità di contaminarsi di questo batterio, quando si nutre su piante malate, contaminando poi le piante sane. Per contenere l’insetto è necessario ricorrere a trattamenti insetticidi meccanici che consistono nella pratica dell’erpicatura e aratura perché in questa fase l’insetto si trova sull’erba (all’interno di una schiuma).
Un’altra soluzione sarebbe quella profilata dai primi risultati di uno studio realizzato dalle Università di Bari, Foggia e Lecce, dal Cnr e dal Centro di ricerca Basile Caramia di Bari: nanovettori pieni di prodotti tradizionalmente usati nell’agricoltura biologica, come ioni rame, ioni zinco, solfato di rame. Queste sostanze, una volta inoculate negli ulivi infetti sarebbero capaci di raggiungere velocemente e colpire selettivamente la xylella laddove si annida, ovvero negli xilemi.
L’obiettivo è il risanamento delle piante che si trovano in uno stato iniziale dell’infezione. Una soluzione che tutelerebbe il patrimonio olivicolo e paesaggistico della Puglia, limitando il ricorso a insetticidi.
Resta il dubbio che Bruxelles decida di ascoltare la voce degli agricoltori italiani, evitando il rischio di desertificare zone di grande bellezza e storia.
Nel frattempo, la battaglia prosegue anche attraverso le vie legali. Durante una causa intentata da due proprietari terrieri di Oria contro il Piano Silletti, sono stati posti dei paletti importanti.
Pur dichiarando di non essere competente sul caso, e rimandando la decisione al Tribunale amministrativo del Lazio, il giudice leccese Antonio Cavallari ha depositato una sentenza che rigetta alla base il piano del Commissario: gli abbattimenti degli ulivi sarebbero infatti non motivati, dal momento che sarebbero basati solo su un esame ispettivo delle piante e non su analisi approfondite. Come sostengono i proprietari terrieri, non ci sarebbero dunque prove sufficienti che giustifichino l’eradicazione degli alberi.

Glifosato: le associazioni chiedono al governo di bandirlo

Gli ambientalisti e gli agricoltori biologici chiedono al Governo di mettere al bando il glifosato, uno degli erbicidi più utilizzato in agricoltura. Il gruppo Go Organic Davao  definisce il glifosato una sostanza chimica pericolosa per la salute e per l’ambiente. L’Agenzia Internazionale dell’Oms per la Ricerca sul Cancro (Iarc) ha pubblicato il rapporto presentato da un gruppo di lavoro di 17 esperti provenienti da 11 Paesi che hanno valutato la cancerogenicità di cinque insetticidi e erbicidi, tra cui il glifosato. Inoltre la valutazione dell’Oms sugli effetti  negativi per la salute del glifosato utilizzato come erbicida convalida ciò che i sostenitori della salute e gli operatori dell’agricoltura biologica hanno sostenuto a lungo. Malgrado tutto questo la Monsanto, multinazionale che produce l’erbicida RoundUp, a base di glifosato,  ha criticato aspramente il rapporto della IARC definendo “scienza spazzatura” e scatenando le ira degli ambientalisti. Eppure nel rapporto non veniva solo confermata la cancerogenicità del prodotto ma anche una  correlazione con la vulnerabilità al linfoma non Hodgkin di molti lavoratori esposti. Una cosa alquanto grave, visto che il glifosato è contenuto in circa 750 prodotti utilizzati per l’agricoltura. In questi giorni, il tavolo delle associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica, di cui fanno parte 14 sigle nazionali, ha denunciato la pericolosità di una manovra che il Governo di appresta a compiere. Dalle agenzie di stampa si legge: “Invece di avviare la procedura per mettere al bando il glifosato, dopo che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ne ha decretato la ‘probabile cancerogenicità’, il nostro Governo si avvia a discutere e mettere in atto un piano di azione nazionale ‘per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari’ che ne prevede ampio uso anche per pratiche definite ‘sostenibili’ e che saranno finanziate dai nuovi Psr”.

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Il glifosato è il fitofarmaco più utilizzato nelle coltivazioni, associato agli OGM e che negli ultimi venti anni, il suo uso è aumentato di 140 volte solo negli Stati Uniti. Ecco il motivo della forte risposta della Monsanto, una reazione che la portavoce del tavolo delle associazioni, Maria Grazia Mammuccini, ha giustificato proprio con gli enormi interessi economici che la multinazionale ha con la vendita del prodotto. Ma secondo la Mammuccini, l’Italia e, più in generale, l’Unione Europea, devono rispondere a ben altri interessi, differenti da quelli della Monsanto: “gli interessi di milioni di agricoltori esposti direttamente all’uso del glifosato e alle centinaia di milioni di cittadini che nel continente consumano prodotti trattati con questo pesticida”.

Le associazioni lamenterebbero anche il fatto che nel Piano d’azione nazionale non sono previste azioni concrete per ridurre l’uso di pesticidi, favorendo la diffusione di pratiche come l’agricoltura biologica e biodinamica. Niente che sostenga gli agricoltori ad abbracciare la conversione a un metodo di produzione più sicuro. Si continua, secondo il tavolo delle associazioni, a garantire solo l’obbligo di rispettare le prescrizioni in etichetta, con un approccio che alla fine porterà come sempre un nuovo peso economico e burocratico sulle spalle degli agricoltori senza eliminare nessun pesticida.

Un’altra accusa è il fatto che al convegno “Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari: coordinamento, ricerca e innovazione”, organizzato dai ministeri delle Politiche agricole, della Salute e dell’Ambiente con Cnr e previsto per il 14 aprile, non siano state rappresentate le associazioni agricole.

Un’assenza importante, visto che, secondo l’Ispra, l’Italia è il maggiore consumatore, tra i Paesi dell’Europa occidentale, di pesticidi per unità di superficie coltivata, con valori doppi rispetto a quelli della Francia e della Germania. Eppure, l’uso di pesticidi incide pesantemente anche sulla salute delle acque. Secondo il rapporto Ispra 2014, nel 2012 sono state ritrovate nelle acque italiane 175 tipologie di pesticidi a fronte dei 166 del 2010 e di 118 del biennio 2007-2008. Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono il glifosato e i suoi metaboliti, il metolaclor, il triciclazolo, l’oxadiazon, la terbutilazina.

 

Farmageddon la vera faccia degli allevamenti intensivi

Ben più di una riflessione ne nasce dopo aver letto il libro Farmageddon  –  il vero prezzo della carne economica di Philip Lymbery, dove ne evince un’indagine globale sul resoconto delle devastanti modalità di produzione di carne e pesce, e dell’impatto anche a livello ambientale. Viene spontaneo a chiedersi qual è l’impatto che la produzione massiccia di carne ha sull’ambiente? Quale il reale costo? E proprio a queste domande ha cercato di rispondere  nel suo libro Philip Lymbery, direttore generale della ong CIWF-Compassion in World Farming, scritto in collaborazione con la giornalista Isabel Oakeshott.

Gli allevamenti intensivi risultano essere devastanti per gli animali, per l’uomo, per il Pianeta, la loro espansione nel suolo terrestre e nei mari genera effetti devastanti. All’interno di questo raccapricciante scenario finiscono la metà degli antibiotici fabbricati al mondo e buona parte delle monocolture di cereali e soia.  Nello specifico secondo quanto rivelato dal Ciwf oltre il 50% dei cereali prodotti in Italia è utilizzato per nutrire gli animali (stime basate su dati Faostat); il 71% degli antibiotici venduti in Italia è destinato agli animali (fonte: Ecdc/Efsa/Ema). E ancora, il nostro Paese è il terzo maggiore utilizzatore di questi medicinali negli animali da allevamento in Europa, dopo Spagna e Germania (European Medicines Agency).

E le emissioni? Il 79% delle emissioni di ammoniaca prodotte in Italia proviene dall’allevamento come il 72% delle emissioni di gas serra generate dall’agricoltura (Ispra).

Operazioni decisamente insostenibili, soprattutto se si pensa che questi numeri sono di gran lunga superiori, rapportati alla produzione mondiale di carne.

allevamenti intensivi

Con la sua indagine, Lymbery ha solo dato conferma di quanto gli allevamenti intensivi rechino sofferenza agli animali e danno alle comunità locali. Animali rimpinzati di cibo eppur costretti a vivere in spazi angusti, in cui è difficile muoversi. Malattie causate dallo stress e dal sovraffollamento degli allevamenti, curate con antibiotici e farmaci vari che causano la proliferazione di superbatteri antibiotico resistenti. Come afferma lo stesso Lymbery: “Ciò nonostante il sistema intensivo continua a prevalere. Sono in gioco enormi interessi che permettono introiti straordinari grazie a una formula pensata proprio per i grandi profitti, anziché per  nutrire le persone in modo dignitoso. I governi perseguono apparenti successi sul breve periodo, senza prendere atto del danno a lungo termine: l’allevamento intensivo non è sostenibile per nessuno“.

Poi c’è anche il problema dello smaltimento degli escrementi, che in Paesi come il Perù, a esempio, vengono semplicemente buttati in mare o nel terreno dove, ovviamente, inquinano. Altro discorso grave collegato agli allevamenti intensivi sono le coltivazioni di mangime che rubano spazi e risorse alla Terra. Si disbosca, si distrugge, come se non dovesse esserci un domani, come se ciò che dobbiamo avere oggi sia più importante di ciò che i nostri figli non avranno in un futuro neanche troppo lontano.

Ecco un passaggio raccapricciante : “La corsa cinese alla produzione suina è carica di orrore fantascientifico. Stipulato nel 2011 un accordo d’oro con la Gran Bretagna, interi Boeing 742 affittati al costo di 420mila euro a viaggio hanno portato migliaia di maiali vivi e fertili  “di prima qualità” negli stabulari orientali, dove tutto è così automatizzato che un uomo solo può gestire tremila animali spingendo qualche bottone. Seguendo la politica della più sregolata quantità si sono selezionati esemplari così grassi da non potersi reggere sulle fragili zampe, imbottiti di sostanze pericolose, e  interi laghi sono tanto contaminati dai loro liquami che l’acqua non è più potabile“.

Sono tante ormai le persone che hanno preso consapevolezza dell’insostenibilità degli allevamenti intensivi e dello sfruttamento animale. Per scelte etiche e di amore, sempre più persone hanno abbracciato la dieta vegana o vegetariana. Lymbery propone un compromesso: “Sostenere una produzione di cibo che sia in grado di rimettere gli animali all’aria aperta, al pascolo, anziché dentro capannoni; un allevamento estensivo connesso alla terra, in grado di fornire cibo più nutriente con metodi che risultano migliori sia per il territorio che per il benessere animale. I governi di tutto il mondo possono contribuire a migliorare la salute delle loro nazioni e salvaguardare le future scorte alimentari basandosi su risorse naturali come i pascoli. Cibo che insomma provenga da fattorie, e non da fabbriche“.

 

Tutto Food 2015: al via la fiera dell’alimentazione

Suolo e Salute si prepara a partecipare al grande evento presente a Rho Fiera dal 3 al 6 maggio;  aprirà i battenti infatti il Salone biennale dell’Agroalimentare, TuttoFood, nella sua quinta edizione, parallelamente alla prima settimana di apertura dell’Expo. Paolo Borgio, l’Exhibition Manager, ci comunica alcuni numeri: “Avremo oltre 7mila marchi, circa 3mila espositori, di cui 450/500 internazionali, 43 paesi presenti. Abbiamo circa 20mila visitatori internazionali e ci aspettiamo 50mila italiani. Ci aspettiamo anche per i visitatori un’opportunità in più che è quella di poter visitare di giorno Tuttofood e a partire dalle 19 poter andare a Expo a visitare l’Esposizione”.

Noi come Suolo e Salute saremo presenti al Padiglione 1 Stand R16 S15.

I segnali di un notevole miglioramento rispetto all’edizione precedente ci sono tutti, il comparto Carne e Salumi ad esempio è cresciuto del 40% rispetto all’edizione del 2013, quello del dolciario ha visto raddoppiare il numero di espositori, mentre sono cresciute rispettivamente del 50 e del 130% le aziende del settore acque minerali e birra. In questa edizione ci sarà come novità un settore  dedicato alla distribuzione automatica e un settore ittico.

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Oltre alla sezione Green Food che è stata notevolmente ampliata, trova spazio tra i dieci padiglioni una sezione dedicata al gluten free, vista la cresce attenzione in materia, in più tra le varie occasioni vi si svolgerà un campionato speciale dove pizzaioli e pasticcieri si sfideranno a colpi di panificazioni salate e dolci preparate esclusivamente con farine prive di glutine.

All’interno dell’evento la presenza dei consorzi di tutela delle produzioni italiane, Dop e Igp sarà compatta, e si vedrà la presenza di Aceto Balsamico di Modena Igp, il Grana Padano Dop, il Gorgonzola Dop, il Taleggio Dop, la mozzarella di bufala Campana Dop e di molti altri.

TuttoFood 2015 si è fatto ambasciatore dei valori legati  al rispetto della tradizione ma allo stesso tempo alla capacità di innovarsi e di trovare nuove nicchie di mercato. La fiera è dedicata agli operatori del settore e rispetterà i seguenti orari per il pubblico: dalle 8.30 alle 17.30 del 3,4,5 e 6 maggio 2015.

I 10 prodotti biologici più venduti in Germania

L’Italia risulta essere il primo paese Europeo per esportazione di prodotti biologici, e il primo mercato di sbocco è la Germania, dove l’alimentazione biologica è ormai un’abitudine radicata e dove il fatturato medio annuo arriva  ad un terzo del valore complessivo del comparto Ue. Parlando di dati alla mano con la Germania il fatturato medio risulta essere di 6 miliardi di euro con un notevole margine di crescita secondo l’Ice di 13 miliardi di euro, considerando che tra le imprese del biologico internazionalizzate nove su dieci esportano proprio in Germania. Nel 2014 l’incremento dei consumatori tedeschi nell’acquisto di cibo biologico è stato del 4,8% rispetto all’anno precedente, quindi sempre in continua crescita. Tra i primi dieci cibi biologici più venduti troviamo uova, verdure e latticini. Con i dati del periodo del 2014, riusciamo a stilare una lista degli alimenti più venduti.

1)Uova biologiche

Con 9,7 per cento registrato le uova possiedono ancora la quota maggiore del mercato totale.  L’incremento nell’acquisto è stato maggiore e le vendite rispetto allo scorso anno sono aumentate del 13%. A causa di una maggiore produzione interna solo il 7% delle uova biologiche commercializzate sono ora importate.

2)Farine biologiche e verdure fresche

Entrambe occupano il secondo posto con una percentuale del 5,8 % del mercato biologico, la vendita della farina biologica è aumentata rispetto all’anno precedente del 7%, mentre le verdure fresche hanno registrato un guadagno del 3%.

3)Latte biologico

Malgrado occupi il 3° posto della classifica e occupi il 5,4% del mercato del biologico, il latte  rispetto all’anno precedente è diminuito leggermente del 2,5%.

4)Frutta fresca

La frutta occupa il 4° posto nella classifica con il 4,9% della quota di mercato, le vendite rispetto all’anno precedente sono aumentate di un punto in percentuale rispetto all’anno precedente.

Bioprodukte nur selten mit Pestiziden belastet

5)Patate fresche

Le patate biologiche hanno una quota di mercato del 4,8 per cento organico. Nel 2014, il fatturato è diminuito notevolmente questo perché i consumatori consumano l’11% in meno patate fresche

6)Yogurt biologico

Occupa il 4,5% della fetta di mercato biologico ed è in aumento rispetto allo scorso anno del 2,7%.

7)Pane biologico

Il pane è rimasto un prodotto biologico molto diffuso, la sua quota copre il 4,1% aumentando la vendita di poco più di un punto rispetto all’anno precedente.

8)Burro biologico

Occupa il 2,4% della fetta di mercato  e malgrado ci sia stato un leggero calo nelle vendite è aumentato di 4 punti rispetto all’anno precedente.

9)Formaggio biologico

Il formaggio biologico sta diventando sempre più popolare tra i consumatori tedeschi, nel 2014 le vendite sono cresciute dell’8%, e la quota di mercato occupa il 2%.

10)Carne biologica

Con 1,5% delle fetta di mercato è al decimo posto della classifica. Il volume di affari è aumentato considerevolmente rispetto all’anno precedente, anche se la percentuale di produzione di manzo e pollame era limitata.

Premio Biol, Spagna sugli scudi

Premio Biol, Spagna sugli scudi

E’ la Spagna protagonista della Xxa edizione del Premio internazionale Biol, la kermesse internazionale riservata ai migliori oli bio, che assegna in Puglia i più importanti riconoscimenti mondiali del settore. Ai primi due posti infatti si sono piazzati rispettivamente il ‘Finca la Torre’ di Malaga, risultato il migliore assoluto del 2015 tra i 300 oli in gara provenienti da 14 Paesi, che ha vinto la concorrenza del connazionale ‘Oro del Desierto’, prodotto in Almeria. Terzo posto per l’Italia con il laziale ‘Quattrociocchi’, dell’omonima azienda di Frosinone.

Assegnati all’Italia altri due importanti riconoscimenti: il BiolPack infatti, che premia la migliore accoppiata etichetta-packaging, è andato all’Orestaforte” dell’oleificio omonimo di Gagliano del Capo, e il BiolKids, assegnato da un’apposita giuria di bambini al ‘Piantatella’ dell’azienda omonima di Statte. La proclamazione dei vincitori è avvenuta il 20 marzo al Fortino S. Antonio di Bari.

Fonte: Greenplanet