Suolo e Salute

Mese: Ottobre 2017

Ecomondo 2017, torna a Rimini la fiera della Green Economy

Ecomondo 2017, torna a Rimini la fiera della Green Economy

385mila aziende italiane operano nella Green Economy. 190,5 miliardi il valore del comparto solo in Italia (pari al 13% dell’economia nazionale). Quasi 200mila i nuovi posti di lavoro creati in Italia dall’economia circolare. Sono questi i numeri nel nostro Paese dell’economia ‘verde’. Numeri che posizionano l’Italia tra i primi posti in Europa per green e circular economy. Per fare il punto del settore e riunire operatori, aziende, cittadini, da 21 anni si svolge in Italia la Fiera Internazionale del Recupero di Materia ed Energia dello Sviluppo Sostenibile. In due parole: Ecomondo 2017.

Come ogni anno, l’evento sarà ospitato a Rimini, presso il Quartiere Fieristico. Appuntamento dal 7 al 10 novembre. In contemporanea con l’evento, anche Key Energy, la fiera delle “Energies for climate” e quindi soluzioni per l’efficienza energetica e nuovi modelli per le energie rinnovabili. Al centro della riflessione, come sempre dal 2009 a oggi, anche il modello ideale di Città Sostenibile: durante la fiera è presente uno spazio espositivo con i più innovativi modelli di urbanizzazione, mobilità e tecnologie per lo sviluppo sostenibile del territorio.

Ecomondo 2017: gli highlight di questa edizione

Gli organizzatori di Ecomondo 2017 elencano anche gli highlight, i punti focali di questa edizione. Oltre ai temi ‘classici’ già citati, a cui si affianca il discorso sui raw materials e la circular industry, quest’anno l’attenzione sarà focalizzata su:

  • Crescita e opportunità del nuovo mercato del biometano: insieme alla Piattaforma Nazionale del Biometano, già presente all’edizione 2016, si definiranno i prossimi step e le iniziative dell’industria del gas naturale;
  • Rischio idrogeologico, management e prevenzione dei disastri: rischio climatico, inondazioni, erosione delle coste saranno al centro della riflessione sul tema;
  • In partnership con Anfia, a Ecomondo quest’anno c’è anche il Sal.Ve, Salone biennale del Veicolo per l’Ecologia, con un’esposizione di 6mila metri quadri con veicoli industriali e speciali per la raccolta dei rifiuti.

Green Economy: gli Stati Generali

Particolare interesse c’è intorno agli Stati Generali della Green Economy, che si terranno a Ecomondo 2017, per la VI edizione, il 7 e l’8 novembre. Il titolo dell’appuntamento è “Green Economy: una sfida per la nuova legislatura”.

L’appuntamento sarà l’occasione per fare il punto sul settore in Italia: sarà infatti illustrata la terza Relazione sullo stato della Green Economy, così come il Programma per la transazione alla GE. Sul secondo punto, in particolare, saranno invitate a confrontarsi le forze politiche di diverso schieramento, in vista delle prossime elezioni politiche previste per il 2018.

Saranno in particolare 5 le aree tematiche affrontate:

  • Rete delle Green Cities in Italia
  • Il futuro dell’Accordo di Parigi e le politiche energetiche nazionale
  • Economia circolare: recepimento e attuazione delle Direttive Europee sui rifiuti
  • La mobilità futura: less, electric, green and shared
  • La Green economy e le politiche industriali

Spazio anche allo scenario internazionale, con una sessione plenaria dal titolo “Europa, Cina e Usa: il futuro della Green Economy nei nuovi equilibri mondiali”.

Per partecipare all’evento è necessario registrarsi online, entro il 30 ottobre: http://www.statigenerali.org/partecipa/

Ecomondo 2017: focus sul biogas agricolo

Tra gli appuntamenti di Ecomondo 2017 da segnare in agenda, due focus interessanti sul biogas. Entrambi si terranno il 9 novembre (Area Forum CIB, padiglione D5).

Il primo appuntamento è con “La valorizzazione del potere fertilizzante del digestato agricolo”. A cura del CIB (Consorzio Italiano Biogas), l’incontro si terrà a partire dalle 10 e fino alle 12. I relatori si soffermeranno in particolare sui vantaggi della gestione ottimale del digestato in favore dell’ambiente: riduzione della CO2 in atmosfera, miglioramento della qualità dell’aria, incremento della fertilità del suolo agrario e così via.

Il secondo evento, invece, verterà su “L’utilizzo agronomico del digestato in agricoltura biologico”. Organizzato dal CIB in collaborazione con FederBio, partirà alle 12:15 e riguarderà gli utilizzi attuali e le potenzialità future del digestato in agricoltura biologica in Italia.

FONTI:

http://www.ecomondo.com/

http://www.italiafruit.net/DettaglioNews/41648/mercati-e-imprese/ecomondo-green-economy-in-200-convegni-a-rimini

http://www.statigenerali.org/cms/wp-content/uploads/2017/10/Programma_evento_stati_generali_green_economy_2017.pdf

http://www.feder.bio/agenda.php?nid=1238

http://www.feder.bio/agenda.php?nid=1237

Bandi Psr Puglia: in arrivo due bandi da 42 milioni per il reimpianto degli ulivi

Bandi Psr Puglia: in arrivo due bandi da 42 milioni per il reimpianto degli ulivi

Dopo l’ok di Bruxelles al reimpianto degli ulivi è il momento di mettere in campo strategie operative. Il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, e il suo Assessore alle Risorse Agroalimentari, Leonardo Di Gioia, annunciano le prime misure. In particolare, a breve dovrebbero partire due bandi, nell’ambito del Psr Puglia, per ricostruire in parte il patrimonio olivicolo distrutto durante l’ emergenza Xylella.

Ecco tutte le ultime novità.

Psr Puglia: pronti due bandi per il reimpianto degli ulivi

I primi 12 milioni di euro dovrebbero arrivare a breve dal Dipartimento regionale all’Agricoltura. Si tratta di fondi messi a disposizione per le aziende agricole colpite da calamità naturale. Sono state circa 1.600 le domande presentate al settembre 2015.

A questi andranno ad affiancarsi i finanziamenti messi a disposizione tramite il Psr Puglia 2014-2020. Come spiegano Emiliano e Di Gioia, si tratta “dei bandi che riguardano la misura 5.2, che servirà al ripristino del potenziale produttivo, e il bando 4.1c, che servirà a finanziare le piantumazioni, ma che dovrà essere di nuovo sottoposto al controllo del comitato di sorveglianza del Psr”.

Complessivamente parliamo di circa 42 milioni di euro, da utilizzare per ricostruire il patrimonio olivicolo perduto. Nel dettaglio, per la misura 4.1c sono disponibili 32 milioni di euro, mentre i restanti 10 arriverebbero dalla dotazione finanziaria della 5.2.

I due rappresentanti istituzionali annunciano inoltre l’attivazione di “una misura per gli investimenti aziendali specifica per le aziende olivicole salentine colpite da Xylella fastidiosa”.

Xylella: ora si cercano cultivar resistenti per il reimpianto degli ulivi

La possibilità di reimpianto e la disponibilità di fondi nell’ambito del Psr Puglia sono due buone notizie per i coltivatori salentini dopo anni di disastri. Ma c’è ancora tanto da lavorare per il rientro definitivo dell’emergenza, come avverte Dario Stefàno, capogruppo in Commissione Agricoltura al Senato:

«Il reimpianto rappresenta una scommessa di cui non conosciamo con certezza i risultati di lungo periodo: prudenza vuole di non considerarlo un traguardo definitivo ma solo un avanzamento. È un successo iniziale che libera in parte anche il sistema vitivinicolo da vincoli insopportabili e che ci deve spronare ad accelerare nello sviluppo di soluzioni, supportate sul piano scientifico, per risolvere presto questa drammatica situazione».

Il primo nodo riguarda le cultivar resistenti al batterio. Il nuovo piano Ue, infatti, consente di impiantare tutte le specie sensibili alla Xylella fastidiosa, ma questo percorso è ovviamente impraticabile. Nessuno, in Salento e dintorni, vuole infatti ripercorrere l’incubo vissuto negli ultimi anni.

Nel recepire la modifica regolamentare comunitaria, il Governo nazionale e la Regione Puglia dovranno quindi sciogliere tale nodo, consentendo il reimpianto di quelle cultivar ritenute più tolleranti o resistenti. In questo senso, è possibile che il Psr Puglia preveda fondi stanziati solo per queste ultime. Essenziale in questa fase sarà il ruolo della ricerca scientifica, come sottolineano ancora Emiliano e Di Gioia:

«La ricerca ha in questo percorso di rilancio un ruolo imprescindibile: servono nuove cultivar resistenti in grado di convivere con la fitopatia senza intaccare l’economia del territorio».

FONTI:

http://psr.regione.puglia.it/-/xylella-da-bruxelles-il-via-libera-al-reimpianto

https://www.quotidianodipuglia.it/regione/xylella_pronti_i_bandi_per_il_reimpianto_in_arrivo_42_milioni-3318599.html

http://www.cno.it/news/notizie/item/2363-xylella-stefano-misto-ok-a-reimpianto-e-buona-notizia-ora-accelerare

http://www.suoloesalute.it/ulivi-del-salento-via-al-reimpianto-arriva-lok-bruxelles/

Glifosato: non c’è l’accordo, slitta ancora il voto Ue

Glifosato: non c’è l’accordo, slitta ancora il voto Ue

Il 25 ottobre era atteso, per la seconda volta dopo il rinvio di inizio mese, il voto definitivo per la ri-autorizzazione del diserbante glifosato nel continente. Ma nemmeno stavolta i Paesi membri non sono riusciti a raggiungere un accordo. Anche perché, poche ore prima, l’Europarlamento aveva proposto un bando all’erbicida in un percorso di 5 anni, esteso fino al 2022.

Intanto arrivano nuovi studi allarmanti dagli USA sulla presenza della sostanza negli esseri umani. Vediamo tutte le ultime informazioni.

Glifosato: il no dell’Europarlamento

Ancora una fumata nera per il diserbante glifosato. Il 25 ottobre era atteso il voto definitivo sul rinnovo dell’autorizzazione decennale per l’impiego dell’erbicida in Europa. Ma il Paff, il comitato per piante, animali, alimenti e mangimi Ue, non ha raggiunto un accordo sulla deliberazione.

Questo, malgrado il tentativo di mediazione svolto dalla Commissione per arrivare a un’approvazione limitata nel tempo, tra i 5 e i 7 anni. Escludendo quindi di fatto l’atteso rinnovo di 10 anni, fino al 2027. Il tentativo era stato annunciato da Margaritis Schinas, capo portavoce dell’esecutivo europeo, a 24 ore dalla riunione del Paff:

«Il collegio – spiegava Schinas – ha istruito i rappresentanti della Commissione che domani parteciperanno al Comitato con gli esperti dei Paesi Ue a lavorare per cercare il consenso più ampio su una proposta di rinnovo dell’autorizzazione tra cinque e sette anni». 

La era stata resa necessaria anche a seguito del voto dell’Europarlamento che a larga maggioranza – 355 voti favorevoli, 204 contrari e 111 astenuti – approvava una risoluzione presentata dai Verdi per eliminare gradualmente i prodotti in commercio che contengono l’erbicida. Una proposta che vede una timeline di 5 anni, da qui al 2022, per l’eliminazione definitiva della sostanza dai campi europei.

Diserbante glifosato: il voto slitta ancora

Ma i governi dei Paesi membri, rappresentati nel Paff, non sono riusciti a trovare la ‘quadra’. Le nazioni favorevoli al rinnovo sono numerose: Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Spagna e Ungheria. Insieme, esse compongono il 55% degli Stati membri, una soglia necessaria per approvare il rinnovo.

Alcuni no pesanti però – in primis quelli di Francia e Italia –, insieme all’importante astensione della Germania, impediscono di trovare una maggioranza. Già perché è richiesto che i Paesi favorevoli debbano rappresentare almeno il 65% della popolazione dell’Unione, per rendere valida la votazione. Insomma, si conferma lo stallo: una nuova riunione del Paff è ora prevista per il 6 novembre.

Le istituzioni di Bruxelles, intanto, prendono tempo:

«Ora si riflette su come procedere – dichiara la portavoce dell’esecutivo Ue per la Salute – si cerca una soluzione condivisa e che tuteli al massimo la salute dei cittadini. La Commissione ha preso atto delle posizioni delle diverse delegazioni degli stati membri su cui rifletterà e annuncerà prossimamente la data della prossima riunione».

Esultano le organizzazioni ambientaliste

Sul mancato rinnovo dell’autorizzazione, esprimono soddisfazione le sigle ambientaliste riunite nella Coalizione #StopGlifosato:

«Il glifosato è dappertutto e i suoi pericoli sono noti – ha commentato Franziska Actherberg, responsabile Politiche alimentari di Greenpeace Europa, membro della Coalizione – Oggi la Commissione ha fallito per la quinta volta consecutiva nel tentativo di ottenere il sostegno al rinnovo della licenza del glifosato. Se la Commissione non sostiene un divieto, continuerà a fallire».

Maria Grazia Mammuccini, portavoce della Coalizione, alla vigilia del voto aveva inoltre ricordato come anche un periodo di transizione di 5-7 anni verso il bando definitivo del diserbante glifosate fosse uno smacco di fronte alle “preoccupazioni degli europei”:

«La Commissione Ambiente aveva approvato nei giorni scorsi un documento in cui si chiedeva una fase di eliminazione delle scorte, fissata da qui al 2020. Andare oltre questa ipotesi non è accettabile».

Glifosato: esposizione aumentata del 500% in 23 anni

Mentre infuria il dibattito in Europa, negli USA viene pubblicato sulla rivista scientifica Jama, uno studio dei ricercatori della University of California San Diego School of Medicine che attesta la massiccia diffusione del diserbante.

«I [nostri] dati – commenta Paul J. Mills, autore della ricerca, con parole riportate da Wired – mettono a confronto i livelli di glifosato e del suo metabolita, l’acido aminometilfosfonico, nel corpo umano durante un periodo di 23 anni a partire dal 1993, cioè poco prima dell’introduzione delle colture geneticamente modificate negli Stati Uniti».

I livelli di esposizione, secondo gli studiosi, sono aumentati in California di circa il 500% durante tale periodo. In valori assoluti, il livello medio di residuo di glifosato nelle urine dei partecipanti è passato da 0,203 μg / L nel 1993-1996 a 0,449 μg / L nel 2014-2016.

FONTI:

http://www.informatoreagrario.it/ita/News/scheda.asp?ID=3553

http://www.informatoreagrario.it/ita/News/scheda.asp?ID=3545

http://www.ow7.rassegnestampa.it/RassegnStampaCia/PDF/2017/2017-10-25/2017102537359064.pdf

http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Monsanto-bacio-della-morte-Europa-proteste-contro-produttore-mondiale-Glifosato-349d6e0c-cd89-431a-a96f-a59ce29e9149.html#foto-1

http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/inquinamento/2017/10/25/glifosato-voto-ue-su-rinnovo-autorizzazione-rimandato_829f9120-1e0c-4728-9b15-0a877bc32944.html

http://www.eunews.it/2017/10/25/glifosato-non-ce-maggioranza-qualificata-salta-ora-rinnovo-delle-licenze/95602

http://www.eunews.it/2017/10/24/parlamento-ue-commissione-no-al-rinnovo-dellautorizzazione-glifosato/95489

https://www.wired.it/attualita/ambiente/2017/10/25/glifosato-esposizione-erbicida-aumentata/

Il nuovo erbicida naturale: l’Università di Pisa ne sviluppa uno ricavato dalle ‘erbacce’

Il nuovo erbicida naturale: l’Università di Pisa ne sviluppa uno ricavato dalle ‘erbacce’

«Nessuno sino ad ora aveva pensato di usare gli oli essenziali estratti dalle “erbacce” per combattere le stesse erbacce». A parlare è Stefano Benvenuti, ricercatore dell’Università di Pisa che, insieme ai suoi colleghi, ha sviluppato un erbicida naturale ricavato proprio dalle stesse ‘erbacce’. Avevamo parlato in precedenza infatti di un altro tipo di diserbante naturale.

La scoperta è finita sulla rivista Weed Research e potrebbe rappresentare un’interessante alternativa ai diserbanti chimici convenzionali.

Erbicida naturale dalle erbacce

I ricercatori dei dipartimenti di Scienze Agrarie e Farmacia dell’UniPi hanno realizzato e testato un erbicida naturale, con il quale limitare l’impatto sull’ambiente e i rischi per la salute dell’uomo dei diserbanti tradizionalmente impiegati in agricoltura.

L’idea è nata quando i ricercatori hanno immaginato una serie di prodotti per combattere le piante infestanti in maniera ecologicamente sostenibile. Un’idea che si rende sempre più necessaria “soprattutto alla luce dei progressivi divieti e/o limitazioni di usare alcuni erbicidi convenzionali (in particolare il ben noto glifosate)”, scrivono dall’Università.

La ricerca pubblicata su Weed Research è durata 3 anni, ed è stata condotta sia in laboratorio che in serra. In particolare, i risultati migliori sono stati ottenuti applicando gli oli essenziali estratti da 5 specie:

  • Achillea (Achillea millefolium)
  • Assenzio annuale (Artemisia annua)
  • Assenzio dei fratelli Verlot (Artemisia verlotiorum)
  • Santolina delle spiagge (Otanthus maritimus)
  • Nappola (Xanthium strumarium)

La particolarità? Le piante impiegate sono a loro volta spontanee. I loro oli essenziali, estratti in laboratorio, possono però essere utili come diserbanti.

L’ erbicida naturale economico ed efficace

A commentare i risultati della ricerca, lo stesso Benvenuti. Che spiega come la soluzione adottata “presenterebbe anche dei vantaggi dal punto di vista economico”. Si tratta infatti “di piante che hanno costi agronomici limitati”, essendo spontanee. Non richiedono, per esempio, grandi ‘investimenti’ dal punto di vista idrico: in un momento in cui la siccità ha colpito pesantemente le coltivazioni nazionali, è fondamentale. Le 5 specie spontanee individuate, “ancora prive di una utilità”, possono quindi paradossalmente “divenire amiche dell’uomo e dell’ambiente”.

Le possibili modalità di impiego del nuovo erbicida naturale? Sia in campagna che in città:

«Questi erbicidi naturali – spiega ancora Benvenuti – possono essere usati come quelli tradizionali, sia nella fase di pre-impianto della coltura, senza problemi di selettività nei confronti di una coltura ancora assente, sia localizzandone la distribuzione in presenza della coltura stessa. Tuttavia, l’impiego di maggiore innovazione potrebbe essere quello in città: dai marciapiedi ai bordi stradali, per finire a tutte le aree spesso colonizzate da specie indesiderate».

FONTI:

https://www.unipi.it/index.php/lista-comunicati-stampa/item/10981-dagli-oli-essenziali-delle-erbacce-un-erbicida-naturale-contro-le-erbacce

http://www.freshplaza.it/article/94545/Dagli-oli-essenziali-delle-infestanti-un-erbicida-naturale

http://onlinelibrary.wiley.com/journal/10.1111/(ISSN)1365-3180

Semi derivati da fusione cellulare: ecco come rimpiazzarli in agricoltura bio

Semi derivati da fusione cellulare: ecco come rimpiazzarli in agricoltura bio

Dopo un percorso interno all’organizzazione, IFOAM – Organics International, federazione che riunisce gli stakeholder del settore bio a livello mondiale, ha deciso di rivedere la propria posizione su determinate tecniche di ingegneria genetica. La prima definizione in materia creata dall’organizzazione, non includeva infatti le tecniche di fusione cellulare. Una discussione successiva ha invece portato alla revisione di tale assunto e all’inserimento di tali tecniche nella più ampia definizione di ingegneria genetica, da cui deriva come risultato la produzione di Organismi Geneticamente Modificati.

Questo pone un problema pratico ai coltivatori biologici. Come informa la stessa IFOAM, infatti, “l’utilizzo decennale di questa tecnologia per la riproduzione di determinate cultivar ha come conseguenza il fatto che l’intera catena commerciale delle sementi siano derivate da essa”. Sarebbero, quindi, scarse le alternative per i produttori bio.

Un problema che diventa ancora più acuto a causa di “molte aziende di sementi che sono poco trasparenti sulla storia riproduttiva dei propri prodotti”. Si impone quindi una strategia per ovviare a tali difficoltà. Ecco perché IFOAM ha diffuso un documento intitolato “Situation Analysis and Strategy for Replacing Cell Fusion Cultivars in Organic Systems”. Il report ha quindi l’obiettivo di analizzare la situazione attuale e implementare strategie per rimpiazzare le cultivar da fusione cellulare nei sistemi biologici.

Fusione cellulare: definizione

Come accennato, le tecniche di fusione cellulare non erano state inizialmente incluse da IFOAM tra quelle di ingegneria genetica. Questo perché il dibattito pubblico sugli OGM è stato spesso focalizzato più sul DNA ricombinante che sulle tecnologie cellulari. Ma la riflessione è stata recentemente capovolta:

«Da un punto di vista biologico – spiega IFOAM – le cellule sono la più piccola entità della vita auto-organizzata. Un intervento tecnologico al di sotto di tale soglia, come accade nelle tecniche di fusione cellulare, non è in linea con i valori dell’agricoltura biologica».

Tale tecnologia è infatti impiegata per “ibridare le piante attraverso la rimozione delle pareti cellulari di specie diverse”. Specie che, in condizioni naturali, non si accoppierebbero. La tecnologia invece, “impiegata dagli allevatori sin dagli anni ‘80” permette di fondere i contenuti delle loro cellule.

Fusione cellulare: il problema per i coltivatori bio

Una volta stabilita l’incompatibilità di tali sistemi con le tecniche agricole biologiche, si pongono una serie di problemi pratici per i coltivatori. La tecnica è stata infatti estremamente pervasiva. Nel corso di oltre 30 anni di applicazione, ha finito per essere estesa alla quasi totalità della fornitura di sementi a livello globale. In questo modo ha lasciato, anche agli agricoltori bio, scarse possibilità alternative.

«Il problema – sottolinea IFOAM – è particolarmente acuto a livello globale su determinate cultivar di crocifere: broccoli, cavolfiore, cavolo rapa, e altri tipi di cavolo, e per la colza».

Per tali verdure, gli agricoltori bio sono stati spesso lasciati “senza forniture alternative” rispetto a quelle ottenute tramite fusione cellulare. Le alternative vanno però via via instaurandosi, grazie anche a una nuova consapevolezza diffusa sul tema.

Fusione cellulare: le alternative dall’Europa

«Diversi progetti europei per rimpiazzare le cultivar da fusione cellulare nella catena del valore bio hanno creato modelli utili».

Gli esperti di IFOAM hanno raccolto nel documento le buone pratiche europee per la sostituzione di sementi proveniente da tali tecniche di ingegneria genetica. È il caso per esempio della Germania, dove già dal 2013 si è posto il problema: oggi i prodotti cell fusion free sono relativamente semplici da trovare. Anche perché le associazioni di categoria (Bioland, Demeter, Naturland e così via) hanno escluso tali cultivar dai propri standard produttivi.

Sono stati diversi i progetti europei in tema, che IFOAM cita come esempi di buone pratiche: da Fair Breeding, in cui alcuni dettaglianti hanno deciso di supportare in prima persona le produzioni biodinamiche, all’italiano Bioverita.

Da tali esempi, IFOAM ha tratto alcuni principi pratici su cui basare la propria strategia. In primo luogo, si punta alla creazione di network regionali per coordinare e spingere le azioni strategiche necessarie in specifiche catene valoriali bio; IFOAM può invece mantenere un ruolo globale nel supportare il movimento.

Nello specifico, i due network saranno impegnati nell’adozione di una serie di attività:

  • Stimolo della consapevolezza negli operatori di settore
  • Creazione di coltivazioni alternative
  • Accesso degli agricoltori a tali alternative
  • Accettazione da parte dei consumatori
  • Revisione delle norme e dei regolamenti biologici

FONTI:

https://www.ifoam.bio/en/news/2017/10/19/ifoam-organics-international-releases-strategy-replacing-cell-fusion-cultivars

https://www.ifoam.bio/sites/default/files/cell_fusion_replacement_strategy_2017_for_website_upload.pdf

https://it.wikiversity.org/wiki/Organismi_geneticamente_modificati

 

Origine del pomodoro: arriva con decreto l’obbligo in etichetta

Origine del pomodoro: arriva con decreto l’obbligo in etichetta

Dopo latte e riso, anche l’ origine del pomodoro finisce in etichetta. I Ministri dell’Ambiente, Maurizio Martina, e dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, firmano il decreto interministeriale che sancisce l’obbligo in etichetta di indicare l’origine dei prodotti derivati dal pomodoro.

Come nei casi citati, nella prima fase di attuazione è previsto un periodo di sperimentazione. Due anni nel corso dei quali conserve e concentrato di pomodoro, così come i sughi e le salse composti per almeno il 50% da derivati del pomodoro, dovranno prevedere l’origine in etichetta.

Le diverse misure approvate sull’obbligo di origine in etichetta nascono da un’esigenza espressa dai cittadini. Secondo un’indagine svolta dal Ministero delle politiche agricole sul proprio sito web, l’82% dei cittadini italiani considera infatti importante conoscere l’origine delle materie prime. In ballo, infatti, ci sono gli standard di sicurezza alimentare e trasparenza.

Vediamo le ultime novità.

Origine del pomodoro: tutte le novità del decreto

Come nei casi citati di riso e prodotti lattiero-caseari, anche per il decreto sull’ origine del pomodoro c’è una sorta di “data di scadenza”. Il governo italiano, infatti, sottolinea ancora una volta come l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento 1169/2011 Ue non sia ancora pienamente attuato.

La norma comunitaria prevede infatti i casi obbligatori in cui vanno espressamente indicati in etichetta il Paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario dei prodotti agroalimentari. Ma gli atti di esecuzione del regolamento, che ne darebbero piena attuazione, non sono ancora stati emanati. I decreti italiani, dunque, decadrebbero nel caso in cui la Commissione approvasse definitivamente tali provvedimenti.

Nel frattempo, scopriamo le novità introdotte dalla normativa italiana.

Derivati del pomodoro, sughi e salse prodotte in Italia dovranno avere, obbligatoriamente, in etichetta queste diciture:

  • Paese di coltivazione del pomodoro;
  • Paese di trasformazione del pomodoro.

Solo nel caso in cui tutte le operazioni avvengano nel nostro Paese, allora potrà utilizzarsi la dicitura “Origine del pomodoro: Italia”. Se invece le due fasi, coltivazione e trasformazione, avvengono in più territori, i produttori possono utilizzare una delle seguenti diciture:

  1. Paesi UE
  2. Paesi NON UE
  3. Paesi UE E NON UE

Tali indicazioni saranno poste in etichetta in punti evidenti, in modo tale da essere facilmente riconoscibili, chiaramente leggibili e indelebili.

Origine del pomodoro in etichetta, Martina: “Norma da estendere in Ue”

Maurizio Martino, ministro alle Politiche Agricole, ha commentato l’adozione del provvedimento lanciando un nuovo appello alla Comunità europea:

«Rafforziamo il lavoro fatto in tema di etichettatura in questi mesi – ha dichiarato – Come ho ribadito anche oggi al Commissario europeo Andriukaitis crediamo che questa scelta vada estesa a livello europeo, garantendo la piena attuazione del regolamento europeo 1169 del 2011. Il tema della trasparenza delle informazioni al consumatore è un punto cruciale per il modello di sistema produttivo che vogliamo sostenere. L’Italia ha deciso di non attendere e fare in modo che i cittadini possano conoscere con chiarezza l’origine delle materie prime degli alimenti che consumano. Soprattutto in una filiera strategica come quella del pomodoro, l’etichetta aiuterà a rafforzare i rapporti tra chi produce e chi trasforma».

Origine del pomodoro in etichetta: favorevoli i produttori

Molti sono stati i pareri favorevoli al decreto interministeriale, anche da parte dei produttori.

Giorgio Mercuri, presidente dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari, ha sottolineato come “l’obbligo di etichettatura sia un ottimo strumento per la tutela dell’eccellenza Made in Italy”. Ribadisce inoltre l’importanza dei controlli:

«Bisogna alzare i livelli di controllo nel settore agroalimentare. C’è ancora una fetta di irriducibili delinquenti che sfuggono e raggirano i controlli con pesanti penalizzazioni per i lavoratori e per le imprese che rispettano le regole. Non possiamo condannare chi rispetta le regole a pagare ingiusti tributi economici e reputazionali per colpa di chi alimenta lavoro nero e caporalato».

Positivo anche il parere di Coldiretti che spiega come l’etichettatura d’origine obbligatoria sia una strada ormai “tracciata per tutto quello che arriva sugli scaffali”. Mauro Tonelloparla, presidente dell’associazione per l’Emilia Romagna, rivendica l’approvazione come un “successo dell’azione Coldiretti per contrastare l’incremento di pomodoro cinese sulle tavole italiane”.

Per Antonio Ferraioli, presidente di Anica, il decreto “completa il percorso già avviato dalle aziende Anicav in materia di trasparenza e sicurezza alimentare, rendendo obbligatorio ciò che volontariamente, nella quasi totalità dei casi, le imprese già fanno”.

Soddisfatta anche Simona Caselli, assessore regionale all’Agricoltura in Emilia Romagna e presidente Areflh:

«Garantire la provenienza e il processo di lavorazione del pomodoro significa tutelare i consumatori e dare ulteriore valore ad una filiera che, nella nostra regione, rappresenta un’importante realtà produttiva».

FONTI:

https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11834

http://www.italiafruit.net/DettaglioNews/41656/non-solo-fresco/indicazione-dorigine-sui-derivati-del-pomodoro-coro-di-si