Suolo e Salute

Mese: Agosto 2018

Aggiornamento: Suolo e Salute partecipa al SANA 2018

Aggiornamento: Suolo e Salute partecipa al SANA 2018

Saremo in fiera con due padiglioni: Suolo e Salute & Biocosmesi Suolo e Salute

Il Sana si terrà anche quest’anno al quartiere fieristico di Bologna (Ingressi: Ovest Costituzione, Ingresso Nord) da Venerdì 7 a Lunedì 10 Settembre 2018. Il programma, ancora più ricco di eventi, iniziative ed espositori, sarà diviso nei tre settori della manifestazione: Alimentazione biologica, Cura del corpo naturale e bio e Green lifestyle.

Suolo e Salute non potevamo certo mancare alla trentesima edizione del SANA. Venite a trovare, e a scoprire le novità che abbiamo tenuto in serbo per questa manifestazione, al Padiglione 22 area B81 C82 (Suolo e Salute) e al Padiglione 25 area B 99 (Biocosmesi Suolo e Salute).

Il SANA è il primo evento fieristico italiano del settore biologico, è da sempre il riferimento degli operatori del biologico. Suolo e Salute sarà presente anche a questa importante edizione, vi aspettiamo!

Per maggiori informazioni sull’evento potete consultare il sito ufficiale del SANA: http://www.sana.it/home/1229.html

Monsanto: emergono dati falsi nei test di sicurezza

Monsanto: emergono dati falsi nei test di sicurezza

Continua la battaglia in tribunale tra il colosso agrario e la giardiniera DeWayne Johnson

Vi avevamo già parlato della storia di DeWayne Johnson, giardiniera di 46 anni, malata di linfoma non Hodgkin, che sostiene di aver sviluppato la patologia dopo essere stata a contatto con le sostanze chimiche, in particolare il glifosato, contenuto nell’erbicida prodotto dalla Monsanto e utilizzato nei cortili delle scuole americane.

Gli ultimi aggiornamenti riguardano i dati relativi ai test di sicurezza. Adesso i legali sostengono che Monsanto abbia reso pubblici dei dati falsi all’EPA, l’autorità statunitense che si occupa di regolarizzare la vendita di sostanze come il glifosato. Gli avvocati fanno presente che i dati falsi potrebbero riguardare proprio il rapporto tra uso dell’erbicida e il rischio di sviluppare i tumori.

La vicenda: la Monsanto si sarebbe rivolta a dei laboratori di biotest industriale, per condurre delle ricerche in merito al carattere tossico del glifosato. I dati sarebbero stati richiesti proprio dall’EPA, per poter consentire o meno la vendita proprio dell’erbicida. Sulla base delle analisi, il glifosato della Monsanto è stato approvato per il commercio a partire dal 1974. Successivamente però l’EPA ha effettuato una revisione degli studi scoprendo che i laboratori a cui si era rivolta Monsanto erano noti per falsificare i dati. E che addirittura anche tre dirigenti di questi laboratori di biotest industriale sarebbero stati condannati per frode. Inoltre altri studi condotti su animali da laboratorio tra il 1981 e il 1983, dimostrerebbero i danni provocati dalle sostanze chimiche contenute nel diserbante.

A questo punto si attendono nuovi sviluppi nel processo, ma i legali della Johnson sono fiduciosi di poter smascherare il colosso e portare giustizia.

Fonte: http://www.greenstyle.it/glifosato-monsanto-accusata-dati-falsi-nei-test-sicurezza-250835.html

 

Dati Ismea: L’agroalimentare più “green” d’Europa è italiano

Dati Ismea: L’agroalimentare più “green” d’Europa è italiano

Moncalvo: “netta prevalenza accordata dagli italiani alla produzione agroalimentare nazionale per qualità, genuinità, tradizione e sicurezza”

L’agricolutra italiana è la più “green” in Europa. Questo è il risultato sottolineato dal presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, alla presentazione del “Rapporto sulla competitività dell`agroalimentare italiano” dell’Ismea. Il Made in Italy infatti vanta diversi primati: la leadership nel biologico con 72 mila operatori, la decisione di non coltivare organismi geneticamente modificati (Ogm), 40m ila aziende agricole impegnare nel salvaguardare semi o piante a rischio di estinzione e il primato della sicurezza alimentare mondiale con il maggior numero di prodotti agroalimentari in regola per residui chimici irregolari (99,4%). Si aggiungano 295 specialità Dop/Igp/Stg riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg.

Ma non è solo il punto di vista dei produttori che interessa a Moncalvo, osserva infatti sui consumatori: “la netta prevalenza accordata dagli italiani alla produzione agroalimentare nazionale per qualità, genuinità, tradizione e sicurezza, tanto che quasi 2/3 degli italiani sono disponibili a pagare almeno fino al 20% in più pur di garantirsi l’italianità del prodotto che si portano a tavola, secondo l’indagine Coldiretti/Ixè. Un apprezzamento che va tutelato con la trasparenza dell’informazione sulla reale origine degli alimenti, mentre ad oggi, nonostante i passi in avanti compiuti, quasi ¼ della spesa è ancora anonima, per via all’atteggiamento incerto e contradditorio dell’Unione europea”.

Fonte: http://www.lastampa.it/2018/07/24/economia/made-in-italy-lagroalimentare-pi-green-deuropa-5nl7NHdYuMJq9oDDZRjVkN/pagina.html

Ortofrutta marchiata al laser per ridurre gli imballaggi

Ortofrutta marchiata al laser per ridurre gli imballaggi

50 tonnellate di rifiuti in meno grazie allo smart branding ideato da  Edeka

Il progetto “smart branding“, secondo Edeka, retailer tedesco, permetterà di risparmiare circa 50 tonnellate di etichette e di plastica  da imballaggio per il packaging che, per quanto possibile, è già ridotto al minimo sulla frutta e verdura biologica.

Come funziona? Il laser ad alta risoluzione intacca solo in minima parte i pigmenti sul guscio esterno, incidendo le informazioni utile senza che il frutto ne risulti danneggiato, mantenendo le sue caratteristiche di gusto durata e aspetto esteriore.

I primi prodotti che hanno beneficiato della marchiatura a laser sono stati mango, zenzero, patata dolce e cocco, in questa seconda fase smart branding si espanderà anche avocado, i kiwi, i cocomeri, le zucche, gli agrumi e i cetrioli.

Fonte: https://www.freshpointmagazine.it/biologico/edeka-marchia-ortofrutta-laser-ridurre-imballaggi/

Maria Grazia Mammuccini risponde alla senatrice Elena Cattaneo

Maria Grazia Mammuccini risponde alla senatrice Elena Cattaneo

L’agricoltura biologica non vive di sussidi ma del mercato creato dalle scelte consapevoli dei cittadini

“Il biologico? Sì, fa bene. Ma solo a chi lo produce”, è questo il titolo dell’articolo scritto dalla senatrice a vita Elena Cattaneo e pubblicato nella sua rubrica settimanale su D Repubblica. L’articolo, come già suggerisce il titolo, attacca aspramente il settore del biologico: dai “sussidi pubblici che assicurano una rendita minimizzando i rischi” alla conclusione della Senatrice secondo cui “La Rivoluzione Verde ha dimostrato che l’agricoltura più sostenibile è quella intensiva”.

Chi segue però questo settore con attenzione, sa bene che, dati alla mano, il biologico ormai rappresenta una voce sempre più importante della spesa alimentare, coinvolge un numero di operatori e consumatori che non appartiene più ad una nicchia e stando ai tassi di crescita costanti nel fatturato, neanche una moda passeggera. Al biologico si guarda sempre con maggiore interesse e e lo sanno anche gli investitori di primo piano che nel tempo si sono affiancati ai pionieri.

Per fare chiarezza, e rispondere alle facili dicerie che ruotano intorno al mondo del biologico, pubblichiamo nella sua interezza, un esaustivo commento all’articolo della Senatrice Cattaneo, opera di Maria Grazia Mammuccini, consigliere delegato Ufficio di Presidenza FederBio e responsabile del progetto “Cambia la terra”.

“Io e mio marito siamo da sempre agricoltori e abbiamo scelto il biologico già dal 2000. Anche noi, proprio come l’imprenditore agricolo citato dalla Senatrice Cattaneo in un articolo del settimanale D di Repubblica, siamo oberati dal peso insopportabile della burocrazia sul nostro lavoro e su quello di tutti gli agricoltori in generale. Ma per i produttori biologici questo peso è ancora maggiore perché gli atti amministrativi necessari per il rispetto delle norme che regolano l’agricoltura bio si sommano a tutte le altre che gravano sulle imprese agricole sommando burocrazia a burocrazia.

La realtà è che gli agricoltori biologici pagano di più per poter coltivare con un metodo che invece produce ricadute positive per l’intera collettività in termini di fertilità del suolo, tutela della biodiversità e della qualità delle acque, miglioramento della qualità nutrizionale degli alimenti. Ma, nonostante le difficoltà della doppia burocrazia, siamo molto contenti della scelta del biologico per la nostra azienda. Dopo la fase sicuramente complessa della conversione, i risultati sul piano agronomico e ambientale (in termini di miglioramento dell’ecosistema) sono continuamente sotto i nostri occhi e questo rappresenta per noi un grande valore. Ma non solo. La scelta del biologico ci ha fatto crescere anche sul fronte della qualità dei nostri vini allargando così le opportunità di mercato dei nostri prodotti.

Ed è proprio l’espansione dei mercati, con la crescita della domanda da parte dei cittadini dei prodotti biologici, che ha determinato nel quinquennio 2012-2016 una grande aumento delle superfici coltivate in bio che, tra biologico e conversione, ha visto un +54% di estensione, mentre in viticoltura, settore tra i più dinamici e innovativi della nostra agricoltura, l’aumento delle superfici tra biologiche e in conversione si è attestato a più 80%.

E la realtà è proprio questa, esattamente opposta a quella descritta dalla Senatrice Cattaneo. L’agricoltura biologica non vive di sussidi ma del mercato creato dalle scelte consapevoli dei cittadini. Mentre da una parte assistiamo a una grande espansione dei prodotti biologici e a una crescita delle aziende biologiche, dall’altra tutti i dati a disposizione ci dicono che la maggior parte dei sussidi della politica agricola comunitaria sono destinati all’agricoltura convenzionale, basata sull’uso della chimica di sintesi: senza queste risorse non riuscirebbe più a reggere sul piano economico.

È questa l’evidenza che abbiamo di fronte oggi. L’agricoltura biologica rappresenta non solo l’approccio più efficace in termini di ricadute ambientali e della salute pubblica ma anche il più solido sul piano economico. I dati ad oggi dell’ultimo Bioreport elaborato dal CREA ci dicono che il reddito netto per unità lavorativa familiare in agricoltura biologica è il 22,1% in più rispetto al convenzionale e il lavoro sulla produzione lorda vendibile incide per il 15% nel convenzionale e il 21% nel biologico, in sostanza circa il 30% in più.

Tutto ci dice ormai che l’agricoltura nata dalla rivoluzione verde basata su sistemi monocolturali e intensivi e sull’uso della chimica di sintesi e che costa apparentemente meno solo perché esternalizza su tutti i cittadini i propri costi ambientali e sociali, è un modello superato, che non rappresenta più l’innovazione necessaria per affrontare le sfide attuali e future. Oggi la vera innovazione è costituita da un insieme di tecniche agricole fondate sulla conoscenza delle dinamiche naturali, delle specificità territoriali e basate su principi ecologici. La vera innovazione è adottare l’approccio agroecologico, di cui l’agricoltura biologica è l’applicazione concreta e più diffusa a livello globale, che magari produce qualcosa meno per unità di superficie per la singola coltura ma assai di più in termini di biomassa e di “beni comuni” nella dimensione pluriennale della rotazione, a cominciare dalla fertilità dei suoli e dal sequestro di carbonio, la tutela della biodiversità e della qualità delle acque, il miglioramento della qualità nutrizionale degli alimenti oltre al reddito degli agricoltori e a nuove opportunità di lavoro per i giovani.

Francamente non riesco a capire le ragioni per le quali una scienziata del livello della Senatrice Cattaneo si ostina ad intervenire su una materia che non conosce e di cui non si è mai occupata. E non riesco a capire come mai una persona come lei, che ricopre l’incarico di Senatrice a vita, continui a voler delegittimare le 72.000 imprese che lavorano nel biologico nel nostro Paese e che oggi rappresenta uno dei punti più avanzati di innovazione tecnica, scientifica, economica e sociale e che può dare all’agricoltura nel nostro paese ulteriori opportunità di occupazione e sviluppo economico“.

Fonte: http://www.myfruit.it/biologico/2018/07/biologico-la-risposta-di-maria-grazia-mammuccini-federbio-alla-senatrice-elena-cattaneo.html

Il 1 agosto abbiamo consumato tutte le risorse naturali che la Terra è in grado di rigenerare in un anno

Il 1 agosto abbiamo consumato tutte le risorse naturali che la Terra è in grado di rigenerare in un anno

Secondo il Global Footprint Network è come se stessimo usando 1,7 Terre

Abbiamo appena superato l’Earth Overshoot Day, ovvero il giorno in cui abbiamo consumato tutte le risorse naturali che la Terra è in grado di rigenerare in un anno. Dal 2 agosto in poi, le risorse che inizieremo a sfruttare andranno ad accrescere il, già enorme, debito ecologico che abbiamo contratto con il pianeta Terra.

Overshoot Day, il giorno del sorpasso, quest’anno era il 1 Agosto e ogni anno questa data viene anticipata, segnando un andamento sempre peggiore nello stile di vita che consumiamo. Nell’arco di circa 40 anni siamo passati dal 29 dicembre al primo agosto: nel 2000 l’Overshoot Day era arrivato a fine settembre, nel 2016 l’8 agosto e lo scorso anno il 2. Le stime indicano che quest’anno, per soddisfare il fabbisogno attuale di risorse naturali, stiamo sfruttando l’equivalente di 1,7 pianeti Terra.

La stima dell’Earth Overshoot Day viene calcolata dal Global Footprint Network, basandosi sull’impronta ecologica, ovvero, l’area necessaria per fornire a ciascuno ciò di cui ha bisogno in termini di: cibo; legname; cotone; spazio per la costruzione di strade e case e l’area forestale necessaria ad assorbire le emissioni di anidride carbonica. Secondo questi calcoli l’umanità utilizza le risorse naturali più velocemente di quanto gli ecosistemi della Terra siano in grado di rigenerare.

“In pratica è come se stessimo usando 1,7 Terre. Secondo i calcoli del Global Footprint Network il nostro mondo è andato in overshoot nel 1970 e da allora il giorno del sovrasfruttamento è caduto sempre più presto”, sottolinea Gianfranco Bologna, direttore Scientifico WWF Italia.

È in continua crescita Il deterioramento dello stato di salute degli ecosistemi e della biodiversità presenti sulla Terra, una perdita che ha un costo complessivo valutato più del 10% del prodotto lordo mondiale.

Sottolinea Bologna: “Oggi meno del 25% della superficie complessiva delle terre emerse del nostro pianeta sono in una situazione naturale. Secondo gli esperti si stima che, al 2050, questa quota potrebbe scendere al 10%, se non si agisce significativamente per invertire la tendenza attuale”.

Ma non solo le superficie emerse sono a rischio, anche gli ecosistemi marino soffrono dell’impatto dell’azione umana. Secondo una ricerca dal titolo “The Location and Protection Status of Earth’s Diminishing Marine Wilderness” apparsa su “Current Biology”, solo il 13.2% (che copre circa 55 milioni di kmq) di tutti gli oceani del mondo hanno una situazione di wilderness marina, e queste aree sono situate soprattutto nei mari aperti dell’emisfero meridionale e alle estreme latitudini.

La prospettiva futura non è certo rassicurante, per questo motivo ognuno di noi può contribuire a salvare il pianeta attraverso delle scelte consapevoli. Il Global Footprint Network individua quattro campi d’azione raccolti nel #MoveThe Date.

Il primo punto è un’alimentazione consapevole: Vanno boicottati gli allevamenti intensivi che oltre a produrre inquinamento, consumamo enormi quantità di acqua e suolo: se riducessimo alla metà il consumo di carne, l’Earth Overshoot Day potrebbe spostarsi avanti di cinque giorni, e di altri 11 se dimezzassimo gli sprechi alimentari.

È necessario inoltre riconvertire le nostre città in Smart Cities, punto già inserito nell’Agenda 2030 Per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, ovvero sviluppare infrastrutture ed edifici compatti e molto più efficienti dal punto di vista energetico.

Oggi siamo oltre 7 miliardi e mezzo e nel 2050, secondo le Nazioni Unite, saremmo ben oltre i 9 miliardi. È inevitabile che una popolazione così grande richieda enormi risorse naturali, per cui il controllo della crescita demografica è un punto fondamentale che non può semplicemente essere evitato.

Per ultimo, le emissioni di gas serra, che rappresentano il 60% della nostra impronta ecologica, sono sicuramente il primo campo d’intervento da tenere in conto, un taglio delle emissioni potrebbe ritardare l’Earth Overshoot Day di oltre tre mesi.

Fonte: https://www.greenme.it/informarsi/ambiente/28470-overshoot-day-2018