Suolo e Salute

Anno: 2018

Onu e Oms contro gli alimenti ricchi di grassi saturi: “Parmigiano e prosciutto possono nuocere gravemente alla salute”

Onu e Oms contro gli alimenti ricchi di grassi saturi: “Parmigiano e prosciutto possono nuocere gravemente alla salute”

A repentaglio un’eccellenza che vanta secoli di tradizione

l’Onu e l’Oms sono pronti a dar battaglia agli alimenti ricchi di grassi saturi, sale, zuccheri. Per i due organi i danni sono al pari di quelli di alcool e fumo. L’obiettivo è frenare il consumo, in particolare del sale, anche tramite l’utilizzo di etichette da applicare a questi prodotti (toccherebbe anche a pizza, vino e olio d’oliva) per prevenire le malattie non trasmissibili causate dal loro abuso.

La discussione è già stata avviata con l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ridurre nella nostra dieta l’apporto di questi alimenti rischia però di danneggiare tante eccellenze ‘made in Italy’ e, soprattutto, ‘made in Modena’.

“Una decisione in questo senso sarebbe assurda – esordisce Matteo Panini, proprietario dell’azienda Hombre che ‘sforna’ da anni (e con grande successo) Parmigiano biologico dop –. Stiamo parlando in un alimento genuino consigliato addirittura dai pediatri nelle diete dei bambini. Essendo un formaggio a lunga stagionatura l’uso del sale è necessario per avere un prodotto di tale livello. Paradossalmente, un’etichettatura di quel tipo andrebbe ad avvantaggiare imitazioni come il Parmesan che sono di breve stagionatura e nulla hanno a che fare con il vero Parmigiano”.

Per Panini non si può «mettere a repentaglio e in discussione un’eccellenza che vanta secoli di tradizione e una preparazione impeccabile. Ricordo che il Parmigiano viene fatto solo con latte, salo e caglio senza ulteriori aggiunte di conservanti. E’ ovvio che sono presenti dei grassi ma parlare di rischi per la salute mi sembra francamente fuori luogo. Che dire poi dei danni che subirebbero i produttori e gli stessi consumatori?».

Fonte: https://www.ilrestodelcarlino.it/modena/cronaca/panini-parmigiano-prosciutto-onu-1.4044941

Ceta: facciamo chiarezza sull’accordo di libero scambio tra Canade e Ue

Ceta: facciamo chiarezza sull’accordo di libero scambio tra Canade e Ue

Il governo gialloverde vuole bloccare il trattato, Luigi Di Maio, “un cavallo di Troia per distruggere il made in Italy

Difficile fare chiarezza tra i vantaggi, svantaggi, posizioni contrastanti e punti ancora oscuri del Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), l’accordo di libero scambio tra Canada e Unione europea entrato in vigore in via provvisoria il 21 settembre 2017 e ora in fase di ratifica da parte dei Paesi membri dell’Ue.

Se sotto il governo Gentiloni il ministero dello Sviluppo economico affermava che avrebbe creato posti di lavoro e nuove opportunità per le imprese, oggi M5S e Lega vogliono bloccare il trattato. Dure le parole in merito del ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, per cui: “Se anche uno solo dei funzionari italiani all’estero continuerà a difendere trattati come il Ceta sarà rimosso”. Posizione condivisa anche dal ministro leghista dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio: “Nessuno ha fretta di portare il Ceta in aula – ha detto – e quindi vogliamo capire con dati concreti se realmente il Ceta è vantaggioso per il nostro Paese, ad oggi ci sembra di no”.

Il Ceta è un accordo misto (mixed agreement) che comporta l’abbattimento dei dazi (con l’eliminazione delle tariffe sul 92% delle esportazioni), la tutela dei prodotti agroalimentari e la semplificazione degli investimenti, dato che apre i rispettivi mercati alle imprese canadesi ed europee. Al momento il Ceta è applicato in modo provvisorio solo per quelle parti di competenza Ue (es. l’abbattimento dei dazi), mentre è momentaneamente ferma la parte che riguarda gli investimenti e che necessita della ratifica dei 28 Stati membri (una decina quelli che hanno portato a termine l’iter) e poi dell’Unione, mentre il Canada ha già firmato. Non è cosa di poco conto, che i singoli Paesi abbiano una sorta di veto sulla piena attuazione dell’accordo perché questa è la prima volta che questo potere decisionale viene dato ai parlamenti nazionali anziché agli organi europei.

Cosa accadrà ora? L’eliminazione dei dazi dovrebbe favorire un aumento degli scambi, già molto favorevoli per l’Italia che ha importato dal Canada beni per 2,3 miliardi di dollari, mentre ha esportato al gigante del nord America beni per un valore di 8,1 miliardi di dollari. Inoltre l’accordo prevede l’apertura dei mercati, con una maggiore facilità d’ingresso in Canada per le aziende europee (e viceversa), che potranno anche partecipare alle gare per gli appalti pubblici nel Paese nordamericano. Stabilendo il reciproco riconoscimento di titoli professionali.

Attualmente, con l’applicazione parziale del ceta, le esportazioni italiane verso il Canada sono aumentate dell’8% da quando l’accordo è entrato in vigore, secondo statistiche canadesi. Mentre secondo i dati dell’Ufficio Studi Cia-Agricoltori Italiani riferiti al primo trimestre del 2018 si è registrata una discesa del 46% delle importazioni di grano canadese e un aumento del 12% delle esportazioni agroalimentari italiane verso il Canada. Con vino Made in Italy, in crescita dell’11%.

Eppure Luigi di Maio ha detto: “Il Ceta dovrà arrivare in aula per la ratifica e questa maggioranza lo respingerà”. Ed in caso di mancata ratifica dell’Italia, l’intesa salterebbe e ne verrebbe revocata anche l’applicazione provvisoria. Effettivamente già dagli inizi di luglio l’europarlamentare del Movimento 5 Stelle Tiziana Beghin avevave denunciato: “Ci sono troppe protezioni e barriere che impediscono la vendita del vino europeo oltreoceano”. Il riferimento è alle “strozzature nei canali di vendita” e “al funzionamento dei monopoli degli alcolici su base locale, che il Ceta avrebbe dovuto contribuire a cancellare”. Un trend confermato da Coldiretti (da sempre contraria all’accordo) sulla base dei dati Istat relativi ai primi quattro mesi del 2018: “Calano del 4% le bottiglie di vino made in Italy esportate in Canada”. Pareri contrastanti insomma intorno all’effettivo funzionamento dell Ceta. “L’accordo di libero scambio con il Canada (Ceta) non protegge dalle imitazioni”, denuncia Coldiretti e “non prevede nessun limite per i wine kit che promettono di produrre in poche settimane le etichette più prestigiose dei vini italiani, dal Chianti al Valpolicella, dal Barolo al Verdicchio”.

Anche in merito alle eccellenze casearie si registra un simile contrasto di dati e pareri. Per Coldiretti le esportazioni di Parmigiano Reggiano e di Grana Padano in Canada “sono diminuite del 10% nel primo trimestre del 2018”, a causa anche di un’impennata dell’italian sounding, ossia le imitazioni. Mentre per lo stesso periodo di tempo, Assolatte parla di un +3,5% per quanto riguarda tutto il comparto dei formaggi. “Gli accordi di libero scambio servono all’export agroalimentare made in Italy. Inizialmente – ha sottolineato il presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano Nicola Bertinelli – il Ceta sembrava rappresentare per i formaggi a denominazione un aumento delle quote esportabili, ma queste quote andavano meglio gestite. Senza gestione, la tutela diminuisce e si amplia la presenza di imitazioni e Parmesan”.

Il riconoscimento del principio delle indicazioni geografiche è in effetti, uno dei punti più importanti del Ceta. Un passo importante, ma non una totale vittoria per il nostro Paese, le cui specialità sono minacciate dalle imitazioni. Nulla si fa infatti per l’italian sounding, punto contestato dai detrattori del Ceta. Il coordinamento di Agrinsieme, che riunisce Cia-Agricoltori Italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari ha espresso la sua posizione in merito con un comunicato ufficiale: “Con il Ceta vengono tutelate ben 41 denominazioni italiane, pari a oltre il 90% del fatturato dell’export nazionale a denominazione d’origine nel mondo e che, soprattutto, senza questo accordo non godevano di nessuna tutela sui mercati canadesi”. Come dire, meglio di niente.

Resta critica la questione relativa agli ogm il Canada, infatti, ha standard di sicurezza sul cibo più deboli e un settore agricolo molto più dipendente da sostanze chimiche e ogm rispetto all’Unione europea, parliamo, del terzo produttore di ogm al mondo. Altra questione è quella legata agli strumenti previsti dal trattato per la risoluzione delle controversie (tecnicamente Isds) tra investitori e Stato che consente a gruppi di privati di ricorrere a un arbitrato internazionale qualora vedano i propri investimenti messi a rischio da provvedimenti varati dai governi dei vari Paesi.

Sarà creato, quindi, un tribunale permanente con giudici scelti da Canada e Unione Europea, partendo dal presupposto che difficilmente i tribunali statali tutelerebbero gli interessi di un’impresa straniera. Secondo i detrattori del Ceta così facendo, si limita la possibilità, da parte di un singolo Stato, di adottare leggi di interesse pubblico che tocchino gli affari delle aziende magari per proteggere l’ambiente o la salute dei cittadini.

Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/07/19/ceta-export-e-tutela-agroalimentare-in-chiaroscuro-sulla-bilancia-del-trattato-col-canada/4498630/

IFOAM EU incontra il business: Riunire l’industria alimentare biologica

IFOAM EU incontra il business: Riunire l’industria alimentare biologica

Il nuovo convegno organizzato dal IFOAM UE che sì terrà a Bruxelles il 30 ottobre

“IFOAM UE incontra il business – riunire l’industria alimentare biologica”, questo il titolo dell’incontro che il 30 ottobre 2018, a Bruxelles. Un’importante opportunità per IFOAM UE, il suo gruppo di interesse di trasformatori e operatori biologici (IGOP) e le aziende del mercato alimentare per discutere argomenti rilevanti del settore biologico, condividere informazioni e scambiare conoscenze pratiche. Al fine di comprendere le rispettive prospettive e, soprattutto, discutere e definire la direzione da seguire nel futuro del lavoro biologico.

Oltre alla prenotazione, sarà richiesta una quota di partecipazione per la cena del 29 ottobre (40 €), e per la partecipazione all’evento (compresi pranzi e pause caffè, 100 €).

Fonte: http://www.ifoam-eu.org/en/news/2018/07/12/ifoam-eu-meets-business-bringing-organic-food-industry-together

Sikkim: un piccolo paradiso nel cuore dell’Himalaya che dovrebbe essere da esempio per tutto il mondo

Sikkim: un piccolo paradiso nel cuore dell’Himalaya che dovrebbe essere da esempio per tutto il mondo

“Questo è un grande momento per l’India”, ha detto Radha Mohan Singh, ministro dell’agricoltura

Una mossa senza precedenti in India, e probabilmente nel mondo, iniziata 15 anni fa e fortemente voluta dal primo ministro, Pawan Kumar Chamling: quella di eliminare gradualmente i pesticidi in ogni azienda agricola dello stato. Questa è la storia recente del Sikkim, uno stato indiano al confine con Nepal, Tibet e Bhutan, di cui abbiamo già parlato approfonditamente.

Dal 2003, anno di lancio per questo esperimento rivoluzionario, il Sikkim è ora completamente libero dai pesticidi e sempre più ricco. Infatti, la preoccupazione per i pesticidi e il desiderio di cibo sano e sicuro stanno alimentando un mercato che, secondo un recente studio delle Camere di commercio e industria dell’India,  sta crescendo del 25% all’anno, più del 16% a livello mondiale. Il mercato del paese per i prodotti biologici confezionati, poi,  ha raggiunto quasi gli 8 milioni di dollari e si prevede che raggiungerà i 12 milioni entro il 2020.

Inoltre la scelta di puntare sul biologico ha fatto bene anche al turismo che ha subito un’impennata, soprattutto grazie agli eco-tour e alle vacanze in. Tra il 2016 e il 2017 il settore ha contribuito al prodotto interno lordo dello Stato passando dal 5% all’8%.

Ma non sono solo economici i risvolti positivi della rivoluzione del Sikkim. l’India, un paese i cui progressi nell’agricoltura sono stati guidati, negli anni 70-80, da un uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi per incrementare rapidamente la produzione di cibo in tutto il paese e ridurre le carestie e la dipendenza dagli aiuti esteri. Ha presto pagato il conto di questa sua scelta sommaria, sotto forma di un picco nei livelli di cancro nelle aree agricole industriali ma anche fiumi inquinati e suolo sterile.

Una scelta responsabile quella del primo ministro del Sikkim, che commenta così i risultati ottenuti in questi quindici anni: “Quando abbiamo deciso di dedicarci all’agricoltura biologica nel Sikkim, abbiamo affrontato tante sfide. Agricoltori o coltivatori non avevano idea di cosa fosse l’agricoltura biologica, quindi l’educazione era la nostra prima priorità. Lentamente, le persone hanno cominciato a capirci e a sostenerci”.

Oggi, a distanza di 15 anni, questo stato himalayano avvolto dalle nuvole sta raccogliendo tanti frutti. Negli anni successivi al passaggio al biologico, il Sikkim ha bandito pesticidi e fertilizzanti chimici, aiutato gli agricoltori a certificare circa 760mila ettari di terreni agricoli come biologici, dal 1° aprile ha vietato l’importazione di molte verdure non organiche provenienti da altri stati e sempre ad aprile i funzionari statali hanno aperto due mercati in cui gli agricoltori possono vendere i loro prodotti direttamente ai consumatori e hanno aggiunto più di due dozzine di veicoli di trasporto per aiutarli a spostare più facilmente le merci.

Un esempio per tutto il mondo, mentre il consumo di soli prodotti biologici ha generato benefici per la salute dei Sikkimesi, che ricevono cibo più nutriente, ha “ringiovanito” il suolo, salvaguardato la fauna e le popolazioni di api, minacciate dai pesticidi.

Fonte: https://www.greenme.it/informarsi/agricoltura/28260-sikkim-stato-indiano-senza-pesticidi

USA: Monsanto in tribunale per la pericolosità dei suoi diserbanti

USA: Monsanto in tribunale per la pericolosità dei suoi diserbanti

Se i giudici dovessero condannare il colosso del settore farmaceutico e chimico, quest’ultimo potrebbe essere costretto a pagare enormi somme per indennizzare i malati

Dewayne Johnson è un giardiniere californiano di 46 anni che oggi combatte tra la vita e la morte per un linfoma contratto, secondo il suo legale, a causa del glifosato contenuto in un pesticida, il Roundup, prodotto di punta della multinazionale Monsanto, a cui è stato esposto per anni.

“Il lavoro del mio cliente – ha spiegato il legale – consisteva nel trattare con il Roundup o con il Ranger Pro (altro diserbante a base di glifosato) il terreno. Ciò avveniva da 20 a 40 volte all’anno, a volte con centinaia di litri”. Il giardiniere accusa la Monsanto di aver omesso la pericolosità del prodotto, confermata dal Centro internazionale per le ricerche sul cancro, organismo dell’Organizzazione mondiale della sanità che, nel 2015, ha classificato il glifosato come ‘probabile cancerogeno’.

Nonostante, di denunce contro il Roundup negli Stati Uniti ne siano state depositate circa quattromila, secondo quanto riportato dal Guardian. Questa è la prima volta che la Monsanto viene trascinata in tribunale per rispondere del presunto legame tra il proprio prodotto e i numerosi casi di malattie insorte nella popolazione di lavoratori della terra. Questo per via di una legge californiana, infatti, permette di accelerare i procedimenti in caso di decesso imminente. Dewayne Johnson a cui la malattia è stata diagnosticata nel 2014 e che nel 2006 ha presentato denuncia, non credeva che sarebbe riuscito ad essere presente all’avvio del processo, secondo anche le stime del suo medico. Invece il giardiniere ha tenuto duro, e lunedì 18 giugno, benché visibilmente debole ha potuto confrontarsi faccia a faccia, in aula, con i rappresentanti della multinazionale produttrice del Roundup.

Fonte: http://www.greenplanet.net/glifosato-un-giardiniere-porta-monsanto-tribunale

Basta facili allarmismi sul biologico

Basta facili allarmismi sul biologico

Il settore chiede correttezza d’informazione

“C’è questo sport italiano per cui hai una cosa in cui vai bene, l’Italia è leader in Europa e secondo esportatore al mondo di prodotti biologici, abbiamo tecnici qualificati, una produzione presente negli scaffali dei supermercati di tutto il mondo, ma l’italiano fa harakiri: deve per forza esserci qualcosa di fraudolento”. Parole, queste, di Roberto Pinton, segretario di Assobio, che torna all’attacco contro la disinformazione sul mondo del biologico.

Sono un milione 300 mila le famiglie italiane in più che hanno cominciato ad acquistare prodotti biologici regolarmente, le vendite sono aumentate dal 18 al 19% negli ultimi tre anni, mentre solo i primi quattro mesi di quest’anno sono aumentate intorno all’11%. Eppure mentre il consumatore sceglie responsabilmente prodotti biologici, l’informazione ufficiale, diffusa dalle forze dell’ordine, con comunicati stampa “esuberanti”, e rilanciata senza un vero fact checking dai giornalisti, sembra voler demonizzare il biologico.

Di recente Assobio, associazione delle imprese di trasformazione e distribuzione di prodotti biologici, ha iniziato una campagna di denuncia all’allarmismo che troppo superficialmente accompagna sulla stampa alcuni casi di falso bio, a partire dai comunicati ufficiali delle forze dell’ordine per finire con i lanci di Coldiretti. Uno dei casi riguardava 11 tonnellate di arance egiziane. “Non si trattava affatto di una frode biologica – spiega Pinton – Si trattava di arance egiziane convenzionali che un operatore siciliano spacciava per arance siciliane convenzionali. Il bio non c’entrava nulla. Da questo è uscito un titolo sullo ‘scandalo’ del biologico. Gli unici prodotti che non erano in regola, citati in un comunicato che dava notizia di 50 interventi in tutta Italia, erano 22 vaschette di sardine che erano biologiche ma etichettate in modo non perfetto. Il pesce pescato non può essere biologico. Bisogna dire “sardine in olio extravergine biologico” mentre l’azienda aveva contrassegnato le sardine col marchio “Mare bio”. Erano sardine non fraudolente, ma etichettate male. Nessun consumatore è stato a rischio. È un errore sanabile con una multa”.

Il biologico certamente non è una truffa, ribadisce Pinton, contrariamente a come sembra voler lasciare intendere una certa “informazione”: “Ho i dati del Ministero della Salute I prodotti biologici che presentano residui di fitofarmaci e sostanze chimiche di sintesi rappresentano lo 0,6% di quelli che sono analizzati.Dal Ministero, non da me. Sulla frutta convenzionale è il 60% che ha residui. E nello 0,6% ci può essere anche l’agricoltore che riceve incolpevole i trattamenti del vicino. Le notizie false costruiscono la base per una cultura del sospetto. L’anno scorso è uscito un articolo in cui si diceva che avevano sequestrato due tonnellate e mezzo di legumi biologici. Due giorni dopo sono diventate due chili e mezzo. Sono cinque sacchetti da mezzo chilo etichettate male”.

“La gente si preoccupa per le uova alla diossina, la mucca pazza, il latte in polvere, i fitofarmaci, e ha mitizzato il biologico. È ovvio che se c’è una qualsiasi stupidaggine che riguarda il Giardino dell’Eden questa si vede di più. Lo sa che oltre il 10% dei prosciutti di Parma e San Daniele erano non in regola? Hanno commissariato e sciolto gli organismi di controllo. Ci sono decine di migliaia di prosciutti sequestrati e smarchiati. E li svendono come prosciutti normali. Ne ha saputo qualcosa? Lo trova sul Fatto alimentare – continua Pinton – Guai a parlar male dell’agroalimentare convenzionale, I biologici sono pochi, sono il 5% degli agricoltori italiani, sono strani, sono laureati, parlano le lingue, hanno siti internet, fanno vendita diretta, sono un agricoltore diverso da quello del mondo agricolo italiano”.

Le famiglie italiane sono sempre più attente a quello che portano in tavola, una scelta dettata dalla salute in primis, ma anche di responsabilità, di fronte a un paesaggio impoverito da quasi mezzo secolo di coltura intensiva, come spiega bene Pinton: “Il consumatore non vuole prodotti ogm, non vuole prodotti chimici, ai suoi bambini non vuole dare pesticidi. C’è già un legge che rende obbligatorio almeno il 40% di prodotti biologici nelle mense scolastiche e domani c’è una riunione per spostare questa percentuale al 60%. Il domani è già scritto. Abbiamo acque della Pianura Padana contaminate, suoli sterili, troviamo ancora nelle acque di falda DDT e atrazina, l’acqua che si beve in Italia è diventata potabile solo perché hanno aumentato di dieci volte i limiti per i contaminanti… per forza bisogna smetterla. Ci sono condizioni ambientali e di salute pubblica che impongono di cambiare. Noi non facciamo il prodotto bio per fare il senza chimica per i fighetti. La nostra è un’attività necessaria dal punto di vista ambientale. Abbiamo un ambiente compromesso. In due terzi delle acque italiane ci sono pesticidi”.

E per chi si lamenta del costo? Per tutte quelle famiglie che non possono permettersi prodotti biologici? “Non è il bio che costa troppo. È il resto che costa troppo poco – spiega Pinton – Se per avere un prodotto che costi poco mi fai lavorare schiavi, mi fai chiudere le aziende, mi inquini il territorio, siamo sicuri che questo prodotto costi davvero poco?  C’è un senso di repulsione da parte dei consumatori per questo modo di fare agricoltura. Cresce anche il commercio equo e solidale. Perché preferisco pagare le banane  dieci centesimi in più e che questi vadano a favore di chi lavora”.

Preso atto di ciò, siamo sicuri che Il prezzo del biologico rimanga comunque superiore a quello degli altri prodotti? Sostiene Pinton: “Non posso prendere come termine di paragone un prodotto agricolo ottenuto facendo lavorare schiavi nel 70% dei casi e facendo chiudere le aziende agricole perché il prezzo è troppo basso. Chi paga per disinquinare il glifosato nell’acqua? Paghiamo tutti con le tasse. Se il prezzo che serve per disinquinare l’acqua contaminata dagli insetticidi dei diserbanti realizzati per coltivare il pomodoro fosse aggiunto al prezzo del pomodoro, vedrebbe che non c’è differenza significativa. I problemi di resistenza agli antibiotici secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità sono la più grande preoccupazione di salute pubblica e derivano dal fatto che negli allevamenti si usano antibiotici in quantità industriale. La salute pubblica ha un costo? L’ambiente, il trattare le persone da schiavi ha un costo? Aggiunga tutti questi costi al prezzo di un prodotto convenzionale e vediamo se è diverso di tanto dal prodotto biologico”.

Fonte: http://www.helpconsumatori.it/alimentazione/bio__nuove_tendenze/parla-roberto-pinton-assobio-basta-allarmismo-sul-biologico/158687