Suolo e Salute

Mese: Maggio 2021

CONVERSIONE ECOLOGICA: L’IMPATTO DEL PACKAGING SOSTENIBILE

CONVERSIONE ECOLOGICA: L’IMPATTO DEL PACKAGING SOSTENIBILE

Tra le scelte che le aziende produttrici di beni stanno affrontando, vi è senz’altro quella riguardante i rivestimenti di protezione dei loro prodotti, ovvero gli imballaggi.

Questo cambio di paradigma nasce dall’accentuarsi di minacce come il cambiamento climatico, l’inquinamento da plastica e lo smaltimento rifiuti, che non solo ha destato la sensibilità di consumatori e industrie, ma ha generato una vera e propria conversione ecologica, tale da condizionare nelle imprese, le scelte legate al packaging dei prodotti e favorire un direzionamento verso quelli ecologici o riciclabili.

Se dal punto di vista pratico, l’imballaggio è l’involucro che protegge e riveste il prodotto fino al suo utilizzo, dal punto di vista estetico questo è un’arma di marketing convincente nell’orientare il consumatore nella sua scelta.

Una nuova frontiera si è aperta: quella del packaging sostenibile. Un imballaggio composto da materie prime riciclate, minimale nel processo di produzione che comporta e in grado, attraverso il suo riutilizzo, di attivare un’economia di tipo circolare.

Ad oggi questo tipo di imballaggi è ancora poco diffuso, il 60% dei prodotti infatti, non presenta alcun riferimento rispetto al riutilizzo delle confezioni. Tuttavia è una direzione che si sta facendo spazio e che vedrà materiali di origine vegetale sempre più diffusi, con la possibilità di essere interamente riciclabili.

Sin Life in collaborazione con l’Osservatorio Packaging del largo consumo di Nomisma, ha rilevato all’interno di una ricerca conseguita, che la sostenibilità nei prodotti confezionati vale 6,5 miliardi di euro e che il rispetto per l’ambiente da parte di un’impresa, risulta essere un valore aggiunto a favore dell’acquisto, per il 36% degli italiani.

Secondo questo studio: nel 2019 solo il 21,5% delle aziende ha previsto di investire in tecnologie di tipo sostenibile, anche se il 13% ha investito in sistemi di economia circolare e il 56% delle imprese ha adottato comportamenti per ridurre l’impatto ambientale. Sempre nel 2019 l’utilizzo di imballaggi compostabili è arrivato a 101.000 tonnellate, comparate alle 39.250 dell’anno 2012.

Nell’anno 2020: gli italiani hanno investito in prodotti bio circa 3,3 miliardi di euro per un aumento del 4,4% rispetto all’anno precedente.

L’approccio verso una conversione ecologica si identifica sempre più come un perno centrale determinante nel mondo degli affari.

Una ricerca condotta da Nielsen rileva che il 48% dei consumatori è disposto a modificare le proprio abitudini di consumo al fine di produrre un impatto positivo sull’ambiente. E che le vendite di prodotti sostenibili negli Stati Uniti sono aumentate quasi del 20%, con un trand in costante ascesa.

Investire sull’utilizzo di packaging sostenibili e sulla stessa produzione di prodotti biologici, risulta ad oggi, la chiave di volta e successo per le imprese e l’ambiente che le circonda.

Fonte: B/Open Trade

PAP: PROROGATO IL TERMINE DI PRESENTAZIONE AL 15 GIUGNO 2021

PAP: PROROGATO IL TERMINE DI PRESENTAZIONE AL 15 GIUGNO 2021

È stato prorogato dal 15 maggio al 15 giugno 2021 il termine di presentazione dei PAP – i Programmi annuali di produzione vegetale, zootecnica, d’acquacoltura, delle preparazioni e delle importazioni con metodo biologico.

A stabilirlo è il Decreto ministeriale n. 42241/2021, con nota del Mipaaf n.221647 del 13 maggio 2021.

Con questo Decreto (42241), il Ministero delle Politiche Alimentari e Forestali (MIPAAF), modifica e determina la proroga di quanto è in origine contenuto nell’art.2 del D.M. n.18321, che reca: “Disposizioni per la presentazione informatizzata dei programmi annuali [. . .] e per la gestione informatizzata del documento giustificativo e del certificato di conformità ai sensi del Reg. (CE) n.834 del Consiglio del 28 giugno 2017 e successive modifiche e integrazioni.”

Una decisione, questa di prorogare, determinata anche dalla presa d’atto delle richieste formulate dal mondo associativo e delle Amministrazioni regionali, relative a problematiche di tipo tecnico, ancora in campo.

Problematiche come l’adozione del fascicolo aziendale in modalità grafica da parte dell’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA), che ha comportato il riposizionamento dei limiti catastali e la conseguente ridefinizione della consistenza territoriale per ciascuna azienda agricola.

Tale nuova consistenza territoriale potrebbe tra l’altro determinare il rischio di disallineamenti con i dati presenti nella notifica di attività biologica, e impedire pertanto l’inserimento delle informazioni previsionali contenute nei PAP nel Sistema Informativo Biologico (SIB).

Per queste ragioni, risulta necessario prorogare di un mese il termine di presentazione, al 15 giungo 2021.

 

Fonte: Riso italiano

PRODUZIONE BIOLOGICA: L’IMPORTANZA DEL “LOCALLY GROWN”

PRODUZIONE BIOLOGICA: L’IMPORTANZA DEL “LOCALLY GROWN”

Esistono elementi che fanno la differenza sulla qualità percepita rispetto a un prodotto e su quella che può essere l’intenzione al suo acquisto.

È il caso dei prodotti biologici, ormai sottoposti a un’attenta selezione da parte dei consumatori, sempre più informati ed esperti nell’approccio alla spesa, tanto da stimolare gli attori della filiera del biologico al rispetto e alla considerazione dei “loro” criteri d’acquisto; criteri che si identificano in importanti standard etici.

È l’opportunità per chi lavora nel comparto, di dedicarsi alla ricerca di nuove forme che differenzino il prodotto, attraverso alcuni attributi messi in luce dal consumatore.

Tra gli attributi che spiccano per valore vi sono quelli cosiddetti “credence”, come: l’origine, la produzione biologica e la provenienza “locally grown”, legata alla coltivazione locale e al rispetto ambientale commisurato.

Un ostacolo importante per la riconoscibilità dei prodotti, è spesso legato all’assenza di informazioni che ne raccontino le caratteristiche e il luogo d’origine. Ostacolo concreto, connesso alla pratica di consumo etico.

Diventa quindi strategico per le aziende, investire su una comunicazione efficace in merito alla qualità del prodotto, al fine di renderlo accessibile al consumatore anche nella sicurezza e nella comunicazione delle sue materie prime.

Lo spazio per raccontarlo, diventa quindi elemento centrale da difendere e  tutelare. La marca acquista valore simbolico, divenendo rappresentante iconico dei valori alla base del prodotto.

All’interno del brand convergono, infatti, i fattori culturali e sociali del territorio di provenienza del prodotto. Caratteristiche che le imprese riconoscono come valore aggiunto da sviluppare e sul quale investire.

Il rapporto collaborativo che si genera tra le imprese parte del territorio e il sistema-territorio, viene sintetizzato e raccontato attraverso la marca del prodotto; trovando così una via propria sul mercato. All’interno del quale il territorio d’origine è l’elemento distintivo, fulcro di valori e simboli.

Tra gli attributi sopraelencati definiti “credence” del prodotto biologico, vede tra i suoi elementi correlati: l’etica, la sicurezza, gli aspetti di tipo nutrizionale, la gestione del territorio, la preoccupazione per la salute e per l’ambiente.

Studi effettuati, rilevano tra le ragioni etiche di preferenza del prodotto biologico, aspetti che riguardano il fronte sociale e territoriale, come: il supporto di aziende agricole di piccole dimensioni o a conduzione familiare, aziende locali che seppur non potenti economicamente sono però in grado di apportare benefici per l’ambiente e la salute umana.

Il “locally grown”, l’adozione delle pratiche agricole tradizionali, la coltivazione di varietà vegetali specifiche del luogo che aiutino a promuovere la cultura culinaria locale, le buone condizioni lavorative, il supporto offerto alle famiglie che lavorano, prezzi che tutelino il lavoro degli agricoltori, sono tutte ragioni etiche che determinano la scelta del consumatore verso prodotti di tipo biologico.

Il 10 e 11 giugno 2021 presso l’Università di Palermo, nell’ambito del convegno Sinergie-Sima 2021, sarà approfondito il tema del “locally grown”, nell’impatto che il territorio d’origine esercita sulla qualità percepita del prodotto alimentare biologico, a partire dal caso dell’azienda Fileni.

 

 

Fonte: Mark up

BIO-DISTRETTI: PRENDE FORMA IN EMILIA ROMAGNA IL DISTRETTO BIOLOGICO VALLI DEL PANARO

BIO-DISTRETTI: PRENDE FORMA IN EMILIA ROMAGNA IL DISTRETTO BIOLOGICO VALLI DEL PANARO

Un nuovo bio-distretto e la sua creazione si affaccia in Emilia Romagna, con baricentro nel bacino idrografico del fiume Panaro. Dalle fonti del fiume, fino alla sua pianura, la valle abbraccia un’area che racchiude 22 comuni, tutti parte del progetto.

A sancire la creazione del distretto, l’Assemblea costitutiva, tenutasi pochi giorni fa a Vignola, appuntamento che ha visto la nomina di tredici componenti del direttivo: sei donne e sette uomini, che avranno il compito di dare avvio all’attività del distretto a partire da alcune progettualità ora in cantiere. Professionisti differenti per esperienza e background, uniti dall’amore per il territorio, motore per un approccio sostenibile.

Tra i promotori e soci fondatori alla base del distretto, vi sono enti come: Slow Food Vignola e Valli del Panaro, PRORA – Associazione Produttori Raccoglitori, Aiab Emilia Romagna, il Presidio paesistico partecipativo del medio Panaro e molti altri.

Tra i primi passi che l’organizzazione intende muovere, sul fronte commerciale vi è l’allestimento di un punto vendita, dove rendere accessibili i prodotti biologici del territorio ai potenziali consumatori attraverso un luogo fisico di riferimento, attività da affiancare alla realizzazione di un mercato con cadenza mensile; unito alla creazione di un’attività e-commerce che possa garantire la disponibilità dei prodotti anche sul web.

Sul fronte delle attività di sensibilizzazione e conoscenza diretta del territorio, vi è invece la volontà di realizzare percorsi turistici eno-gastronomici e naturalistici, all’interno dell’area della Valle abbracciata dal Bio-distretto; da affiancare alla formazione dei giovani a tematiche legate alla sostenibilità ambientale, attraverso la collaborazione con gli istituti scolastici del territorio.

Il Bio-distretto avrà un ruolo significativo anche per la promozione dei principi alla base delle pratiche che guidano la filiera corta agroalimentare biologica, in dialogo diretto con il consumatore; dichiara Emilia Muratori, sindaca di Vignola.

La promozione avrà una sua effettività anche a livello turistico, aggiunge, nel valorizzare attraverso percorsi esperienziali, a diretto contatto con i produttori, le meraviglie paesaggistiche ed enogastronomiche, di un territorio tutto da esplorare.

Va dunque trovando consolidamento un modello innovativo, ormai fortemente diffuso in diverse aree geografiche votate al biologico in Italia.
Modello che, ricordiamo, non risulta ancora essere tutelato da una normativa nazionale che ne disciplini l’attività nonostante il suo successo e la sua capacità di valorizzare, bisogni ambientali e salutistici ormai urgenti per la società.

Fonte: Modena Today

IMPRESA VINICOLA: I VALORI ALLA BASE DELL’ETICA DELLA NUOVA IMPRENDITORIA UNDER 40

IMPRESA VINICOLA: I VALORI ALLA BASE DELL’ETICA DELLA NUOVA IMPRENDITORIA UNDER 40

I giovani produttori di vino puntano sulla sostenibilità, rendendola una priorità alla base dell’impostazione della loro attività; priorità da esercitare a partire dal quotidiano.

A confermarlo è AGIVI – Associazione Giovani Imprenditori Vinicoli Italiani, all’interno di un sondaggio che indaga l’attitudine dei suoi associati verso l’universo green.

Riduzione della chimica a sostegno delle energie rinnovabili, riciclo, selezione dei fornitori declinata in chiave sostenibile, mobilità elettrica, acquisizione di certificazioni riconosciute, queste le scelte alla base dell’etica della nuova imprenditoria under 40.

Per il 94% dei giovani intervistati, la sostenibilità è un fattore determinante per essere competitivi a livello di mercato; il 65% valuta migliore la scelta di un packaging a ridotto impatto ambientale; circa 7 imprenditori su 10 dichiarano di avere delle certificazioni di tipo green per i loro prodotti.

Ma non finisce qui, poiché circa 7 intervistati su 10 afferma di selezionare i propri fornitori in base alla sostenibilità delle loro proposte e l’83% delle aziende di avere in corso o già ultimati, piani relativi a un progetto di sostenibilità. Infine il 57% degli imprenditori intervistati pensa di investire in mezzi commerciali ad alimentazione ibrida o elettrica oppure in colonnine di ricarica.

Violante Gardini Cinelli Colombini, presidente di Agivi, racconta di come la proposta relativa al sondaggio sia venuta dal continuo riscontro della crescente curiosità sul tema green, al punto di decidere di indagare la ricaduta di questo valore sulle scelte imprenditoriali.

Il sondaggio, aggiunge, ha coinvolto in 3 casi su 4, associati appartenenti ad aziende di famiglia. L’età media di chi ha partecipato si colloca tra i 25 e i 39 anni e per quanto riguarda la media dei dati di fatturazione, si aggira intorno ai 7,9 milioni di euro; con circa 1,6 milioni di bottiglie prodotte l’anno.

Un riscontro complessivo rispetto a una generazione, in questo caso rappresentante di uno specifico comparto; che però possiamo dire, spinga con forza verso una decisa svolta green.

Fonte: Terra e Vita

L’INVISIBILITÀ DEGLI ORGANISMI DEL SUOLO NELLA VALUTAZIONE DELL’IMPATTO DEI PESTICIDI

L’INVISIBILITÀ DEGLI ORGANISMI DEL SUOLO NELLA VALUTAZIONE DELL’IMPATTO DEI PESTICIDI

 

I pesticidi stanno danneggiando le “minuscole creature” che operano per mantenere la salubrità e la fertilità del suolo e partecipano a sostenere la vita sulla terra, questo è quanto emerge dalla prima verifica di uno studio affrontato sul tema.

Le opinioni degli scienziati in merito sono contrastanti: c’è chi definisce l’impatto delle sostanze chimiche di sintesi sui terreni come letale e quindi molto preoccupante il risultato di queste sugli animali tellurici utili, quali i lombrichi, e c’è chi invece minimizza fortemente la questione.

Alcune ricerche suggeriscono infatti che gli organismi del suolo sono scarsamente considerati quando si valuta l’impatto ambientale dei pesticidi. Si prendono in analisi altri fattori, ma negli studi non viene data sufficiente importanza a questo elemento. Gli Stati Uniti per esempio, testano le sostanze chimiche solo su api mellifere ma poco o nulla sugli insetti del terreno.

Un rapporto delle Nazioni Unite del dicembre 2020, ha definito il futuro dei suoli bleak, cioè cupo, senza un’azione urgente mirata alla loro salvaguardia.
Si ritiene infatti che questi contengano quasi un quarto di tutta la biodiversità del pianeta e una volta compromessi, ci vogliano migliaia di anni per la rigenerazione di nuovi.

La rivista “Frontiers in Environmental Science” ha esaminato circa 400 studi sugli effetti dei pesticidi su invertebrati non bersaglio, che vivono parte della loro vita nel suolo. La ricerca ha coinvolti oltre 275 specie e 284 principi attivi, ad esclusione delle sostanze chimiche attualmente vietata negli Stati Uniti.

Gli studi hanno testato ogni specifico pesticida su un particolare organismo, per una data caratteristica, tra queste: la mortalità, il comportamento, la riproduzione, il cambiamento morfologico e biochimico ecc. Gli studi hanno fornito più di 2.800 parametri testati.

Il 71% di questi mostrava effetti negativi sugli organismi causati dall’esposizione ai pesticidi. Il 28% non riportava effetti significativi, mentre l’1% mostrava effetti positivi.

Un risultato specifico per esempio, riporta che l’84% dei parametri testati sui lombrichi è stato danneggiato dalle classi più comuni di insetticidi e da alcuni erbicidi e fungicidi.

Gli studi di verifica possono essere influenzati dal cosiddetto “bias di pubblicazione”, che può verificarsi se i ricercatori hanno avuto la tendenza a pubblicare solo quegli esperimenti che hanno mostrato un risultato interessante.

In questo caso però, la distribuzione dei risultati all’interno degli studi pubblicati pesa fortemente sugli effetti negativi, dichiara Matt Shardlow, dell’associazione inglese Buglife, sottolineando che: il parametro verificato più preoccupante è quello inerente le conseguenze delle sostanze chimiche sulla riproduzione di questi organismi e che se vogliamo proteggere la salute dei suoli, dobbiamo prendere in considerazione gli organismi che li abitano per valutare se un pesticida è sicuro o no da utilizzare.

Se negli Stati Uniti l’unico organismo su cui vengono testati i pesticidi sono le api mellifere, la regolamentazione è ancora meno presente e rigorosa nelle nazioni meno sviluppate.

Per quanto riguarda l’Unione Europea, le normative sui pesticidi includono test su acari, collemboli, lombrichi e sull’attività microbica. Sono in sperimentazione test ulteriori, su onischi e funghi simbionti. Anche in questo contesto, vi è la certezza si possa fare di più.

CropLife America, società rappresentante le aziende di pesticidi, non ha risposto di fronte a una richiesta di commento rispetto ai risultati delle ricerche riportate.

 

Fonte: The Guardian