Dal Mar Nero parte una quota importante di cereali e proteoleaginose anche bio. Oltre alla crisi umanitaria ed energetica il conflitto in corso apre tristi prospettive di una crisi alimentare mondiale che non risparmia il comparto del biologico. Negli Stati Uniti, ad esempio, il settore della carne avicola è strettamente dipendente dall’export ucraino e fatica a trovare alternative
Crisi umanitaria, crisi energetica e crisi alimentare, anche per il biologico. L’invasione russa in Ucraina fa sentire il suo peso in tutto il mondo. Le sue implicazioni hanno infatti già portato a un aumento considerevole dei prezzi del petrolio e dei prodotti alimentari e questo è probabilmente solo il primo assaggio di quello che può comportare il prolungamento del conflitto e delle sanzioni.
Il granaio d’Europa
L’Ucraina è infatti “il granaio d’Europa”, leader mondiale nella produzione di cereali, in particolare di quelli a semina primaverile come il mais e di oli di semi, in particolare di girasole. Gran parte delle esportazioni di questo Paese vanno in Nord Africa, Medio ed Estremo Oriente e Unione europea.
Anche la Russia è uno dei principali produttori di colture agricole chiave. Insieme i due paesi hanno esportato quasi il 60% degli oli di girasole, cartamo e semi di cotone del mondo nel 2020, il 24% di orzo e il 26% di grano tenero e di mais.
L’aumento dei prezzi del cibo
Si prevede che il conflitto in Ucraina faccia salire i prezzi dei generi alimentari in un mercato alimentare già instabile in cui i prezzi erano aumentati ai massimi da oltre un decennio. Una circostanza che colpisce anche il settore biologico. Secondo i dati diffusi da Fibl (Istituto svizzero di ricerca sull’agricoltura biologica) e Ifoam nella 23a edizione di “The World of Organic Agriculture“ (ne abbiamo già parlato qui), sia l’Ucraina che la Russia sono infatti nella top twenty dei produttori mondiali di materie prime biologiche rispettivamente con superfici di 463mila e 615mila ettari quasi interamente investiti in cereali e proteoleaginose.
«La crisi – commenta Adriana Herrera, presidente dell’Agricultural Market Information System (Amis) dei paesi del G20 – arriva in un momento in cui i mercati alimentari internazionali stanno già lottando con l’impennata dei prezzi e le continue ricadute della pandemia da Covid-19».
«Oltre a causare difficoltà umanitarie, la guerra rischia quindi di mettere a repentaglio la sicurezza alimentare di milioni di persone che dipendono da cibo a prezzi accessibili in tutto il mondo».
L’impatto sul Mediterraneo
«In un sistema alimentare – allerta Steve Taravella, portavoce senior del Programma alimentare mondiale (WFP) delle Nazioni Unite – già destabilizzato dalla pandemia e dalla crisi climatica, l’ulteriore aumento dei prezzi alimentari causato dal conflitto sul Mar Nero porterebbe a conseguenze devastanti per paesi come l’Egitto e la Turchia, che importano il 70% del loro grano sia dall’Ucraina che dalla Russia».
L’esempio del pollo biologico americano
E per capire che cosa potrebbe significare l’impennata dei prezzi delle materie prime per il mercato del biologico basta dare un’occhiata a quello che sta capitando negli Usa. Dove l’allarme sta già coinvolgendo il settore del pollo biologico, che vale circa il 6% del mercato dei prodotti avicoli del Paese. L’Ucraina è infatti un fornitore leader di semi oleosi e cereali biologici per questo settore. «Continuiamo – annuncia Diana Souder, portavoce di Perdue Farms , tra i principali attori di questo settore negli States- a monitorare la situazione per prevenirne l’impatto sui mercati agricoli e sui nostri partner allevatori».
Gli agricoltori statunitensi e canadesi non sembrano però in grado di colmare il divario produttivo, almeno non per le colture biologiche: meno del due per cento di tutti i terreni agricoli statunitensi è certificato biologico e la maggior parte è erba medica. Mentre gli effetti della siccità sui prodotti del Sud America, in particolare sulla soia brasiliana, non lasciano immaginare fonti di approvvigionamento alternative per questo importante mercato. Una situazione in cui l’Italia, con il modello di stretta integrazione di filiera tra produttori di materie prime e allevamenti bio potrebbe manifestare una maggiore resilienza, ma solo nel breve periodo.