Suolo e Salute

Anno: 2022

OLIO E CEREALI BIO, LA PRODUZIONE ITALIANA È INSUFFICIENTE

OLIO E CEREALI BIO, LA PRODUZIONE ITALIANA È INSUFFICIENTE

Uno dei dati più controversi messi in evidenza dal Bioreport 2020 riguarda l’andamento delle importazioni. Nel 2020 l’Italia è infatti risultata in controtendenza rispetto al resto d’Europa, con un forte aumento dell’import dell’olio e dei cereali

La produzione non tiene il ritmo dei consumi di bio. Soprattutto nel comparto dell’olio di oliva e dei cereali. È uno dei dati più controversi che emergono dal Bioreport 2020 della Rete Rurale nazionale (vedi articolo precedente).

Olio e cereali, cresce l’import

Secondo il documento messo a punto dal Mipaaf le importazioni di prodotti bio da Paesi extra-Ue, nel 2020, sono infatti diminuite dell’1,9% in tutta Europa ma non in Italia, in controtendenza. Tra gli incrementi registrati in questo anno spicca il +41% relativo all’importazione di oli e grassi vegetali, monopolizzata dalla Tunisia, a cui segue il +25% dei cereali, rilevante in termini assoluti, dato che questa categoria rappresenta oltre un terzo del prodotto bio importato nel 2020 (34%).

Redditività, punto di forza del bio

Le aziende agricole biologiche italiane mostrano performance economiche migliori rispetto a quelle convenzionali, secondo uno studio del Crea basato sui dati RICA (Rete di informazione contabile agricola) che conferma gli esiti di analoghe ricerche condotte in Francia e in Svezia.

Nonostante i maggiori costi per il lavoro e il minor numero di capi in zootecnia, le imprese bio registrano infatti ricavi mediamente più elevati (+13%). E le attività integrative (trasformazione e vendita dei prodotti, attività agrituristica, etc.) incidono sui ricavi in misura doppia rispetto alle aziende non biologiche (8% vs. 4%).

BIOREPORT 2020: VANTAGGI, PROBLEMI E SOLUZIONI PER IL BIO ITALIANO

BIOREPORT 2020: VANTAGGI, PROBLEMI E SOLUZIONI PER IL BIO ITALIANO

Il rapporto della Rete Rurale nazionale pubblicato a fine 2021 mette in evidenza differenze territoriali legate al ruolo dell’integrazione di filiera e di politiche di sviluppo rurale equilibrate. Dopo il boom del 2020 il primo trimestre 2021 mette in evidenza in rallentamento del mercato

Lo scenario dell’evoluzione del sistema biologico italiano a cavallo della crisi pandemica. Con l’analisi dei dati consolidati che arrivano a fine 2019, ma anche delle tendenze registrate fino al primo trimestre 2021. È il contenuto offerto da Bioreport 2020, il rapporto pubblicato alla fine del 2021 dal Ministero per le Politiche agricole nell’ambito del Programma Rete Rurale Nazionale (clicca per accedere e scaricare il documento).

La tabella di marcia del Green Deal

Un’analisi che assume quest’anno un significato particolare alla luce del ruolo attribuito dall’Unione Europea al bio, considerato il metodo più efficace per realizzare gli obiettivi di transizione ecologica definiti da Bruxelles (e chiamato perciò a raggiungere in 10 anni l’incidenza del 25% di superficie agraria).

Un target che non sarà facile da raggiungere senza un convinto quadro di politiche di sostegno. Il documento di oltre 300 pagine messo a punto dal Ministero attraverso il Crea e la Rete rurale nazionale – rivolto a istituzioni, ricercatori, stakeholder – individua infatti una serie di nodi da sciogliere per garantire un’equilibrata crescita del sistema biologico italiano.

Gli approfondimenti

Bioreport 2020 è organizzato in tre sezioni:

– i dati del bio, dalle produzioni ai mercati a livello italiano, europeo e globale,

– le politiche europee e nazionali, le misure di sostegno al bio e il sistema dei controlli,

– approfondimenti su alcuni temi di attualità come l’impiego dei biostimolanti, l’analisi del settore olivicolo bio con l’approfondimento sulla difesa dalla Xylella, gli approfondimenti sul bio in Sardegna e in Francia e l’analisi dell’impatto di politiche locali disomogenee sulla tendenza, registrata in alcune Regioni, a uscire dal sistema della certificazione.

Mercato in frenata a inizio 2021

La preoccupazione maggiore deriva dalla fase di assestamento registrata nell’analisi dei dati di mercato nel primo semestre del 2021. Dopo il balzo del 4,5% del 2020, in piena pandemia, la crescita del bio a marzo 2021 si sarebbe infatti fermata al +0,9% (con valori negativi nei punti vendita a libero servizio) mentre quella dell’agroalimentare totale sarebbe arrivata al 5,4%. Un dato che farebbe per la prima volta contrarre la quota relativa del bio, tornato appena sotto al 4% a livello nazionale.

Un dato che spinge Laura Viganò, ricercatrice del Crea Politiche e Bioeconomica, redattrice di questo capitolo del rapporto, a mettere in evidenza la necessità di adottare politiche di green public procurement che assicurino una maggiore diffusione dell’utilizzo di prodotti biologici nella ristorazione collettiva sia pubblica (scuole, ospedali, caserme, carceri, strutture governative) sia privata (mense aziendali) per evitare che il biologico italiano sia polarizzato solo verso l’esportazione.

A livello Europeo è infatti evidente una dicotomia tra Paesi in cui il mercato del biologico continua a crescere con tassi a doppia cifra (Francia, Danimarca, Germania ma anche Spagna) e altri, soprattutto nell’Europa orientale, dove il peso di questo settore è ancora marginale.

Il ruolo dell’integrazione di filiera

Per il resto il rapporto evidenzia il valore dell’integrazione di filiera. Nei territori dove queste relazioni sono presenti la crescita delle superfici è infatti più sostenuta, portando a una SAU nazionale dedicata al bio prossima 2 milioni di ettari. Confermato il dato di 81mila operatori censiti nel 2019 (+2% sul 2018). Le aziende agricole sono stabili (70.540 unità), quelle di trasformazione aumentano del 9,2% (circa 2.000 unità), fino a raggiungere le 21.000 unità. Il dato più positivo (+14%) è l’evoluzione di aziende agricole che integrano la produzione primaria con la trasformazione.

Cala il Sud, cresce il Centro

Al Sud e nelle isole, ove si trova oltre la metà degli operatori biologici italiani, emerge una lieve riduzione dei produttori agricoli bio (-2%). Con picchi in Sardegna (-6%) e Calabria (-5%), oltreché nelle aziende a produzione esclusiva (-10%). I problemi sembrano legati alla fragilità del sistema produttivo biologico sardo (al quale il Bioreport 2021 dedica un focus), poco orientato al mercato, e ai ritardi connessi all’avvio del nuovo programma di aiuti in Calabria. Il Meridione registra però al contempo la maggiore crescita dei trasformatori complessivi (+11%, tra imprese di trasformazione esclusiva bio e non), con la al Calabria in testa (+30%).

Il Centro Italia invece un aumento significativo delle aziende agricole bio (+10% quelle solo bio, +11% quelle con produzioni miste). La regione Marche traina la crescita con un notevole aumento delle unità di produzione (+37%), grazie anche all’incremento dei fondi assegnati al sostegno del biologico (Misura 11 del PSR 2014-2020).

Le regioni centro-settentrionali ospitano oltre 800.000 ettari a biologico. Veneto e Trentino-Alto Adige – ove il bio occupa soltanto il 6% della SAU, rispetto al 16% nazionale e ai picchi di Calabria (36%) e Sicilia (26%) – risalgono la china, con incremento dei produttori trasformatori (+25% e +11%, rispettivamente).