Suolo e Salute

Anno: 2023

IL PRIMO MOTORE DI RICERCA SULLA NORMATIVA BIO

IL PRIMO MOTORE DI RICERCA SULLA NORMATIVA BIO

“Normativabio.it” è la piattaforma informatica messa a punto di Bioqualità per accedere all’intero quadro normativo italiano ed europeo, su tutto il mondo del biologico. Il lancio è previsto al Sana nel padiglione di Sanatech

“Normativabio.it” è la nuova piattaforma informatica che raccoglie tutte le norme aggiornate sul biologico, italiane ed europee. L’ha messa a punto Bioqualità, una realtà che mette in rete consulenti con una riconosciuta esperienza nel mondo del biologico in collaborazione con Massimo Palumbo, avvocato specializzato in diritto alimentare.

Come funziona

«È un servizio, primo e unico nel suo genere – assicura Massimo Govoni di Bioqualità -, calibrato per le aziende del settore secondario e terziario della filiera agroalimentare che puntano alla conversione in biologico e per gli Organismi di controllo (Odc)».

«Ci rivolgiamo ai responsabili degli uffici qualità delle industrie della trasformazione, agli operatori intermedi o ai retailer ma anche agli ispettori che si occupano di certificazione».

La piattaforma è divisa in tre sezioni:

  • il motore di ricerca vero e proprio,
  • il testo integrato di tutta la normativa;
  • il testo integrato pdf, che può essere scaricato e consultato offline con i riferimenti a tutte le leggi vigenti riportate con collegamenti ipertestuali.

Può essere consultato attraverso la digitazione di parole chiave che daranno accesso alla relativa normativa di riferimento. La novità sarà presentata in anteprima al salone Sanatech di Sana, la rassegna internazionale del biologico e del sostenibile in programma a Bologna Fiere dal 7 al 10 settembre.

CRESCE LA FIDUCIA DEI CONSUMATORI NEI PRODOTTI BIO

CRESCE LA FIDUCIA DEI CONSUMATORI NEI PRODOTTI BIO

Otto italiani su 10 hanno fiducia nell’acquisto di prodotti bio. Giuseppe Romano (presidente Aiab): «Merito dell’efficacia del sistema dei controlli»

L’alta qualità del sistema di controllo e certificazione per i prodotti biologici, l’unico in grado di garantire il 130% di verifiche annuali alle oltre 86mila aziende certificate, come testimoniano i dati dell’Icqrf, si traduce in una grande fiducia da parte dei consumatori rispetto ai prodotti biologici.

Un campione di 15mila consumatori

Secondo un sondaggio di AIAB condotto su un campione di 15.000 persone in Italia, con una varietà di background demografici, infatti, 8 italiani su 10 si dicono sicuri e garantiti nell’acquisto di un prodotto bio, e circa 1 su 2 ha l’abitudine ad acquistare sempre oppure molto spesso questo tipo di prodotti. La valutazione generale che viene data alla certificazione biologica su larga scala è di 8 su 10.

«Dobbiamo ripartire  – afferma Giuseppe Romano, presidente di Aiab (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) – da questi dati promettenti e dalla fiducia dei consumatori, per affermare senza esitazione che il sistema biologico in Italia è estremamente sicuro e affidabile».

Gli anticorpi del bio

«È importante tenere a mente questo concetto fondamentale, specialmente quando si verificano notizie di frodi che emergono occasionalmente». «In realtà, tali episodi rappresentano un ulteriore segno di un sistema che dimostra un’efficacia straordinaria nel rilevare coloro che tentano di eludere le norme e le certificazioni vigenti».

Margini di miglioramento

«Margini di miglioramento del sistema – aggiunge Romano – possono essere legati al sostegno per i piccoli agricoltori biologici, a campagne di sensibilizzazione pubblica sui benefici dell’agricoltura biologica e all’assistenza tecnica per gli agricoltori, per passare alla produzione biologica, tra le priorità di AIAB inserite nel Piano d’Azione del bio».

«Siamo contenti – conclude Romano – di constatare come i cittadini avvertano comunque sicurezza e acquistino con fiducia i prodotti biologici, che stanno infatti acquisendo sempre più spazio sugli scaffali dei negozi e sulle tavole dei consumatori».

 

LA CERTIFICAZIONE È UN VALORE, NON UN COSTO

LA CERTIFICAZIONE È UN VALORE, NON UN COSTO

È uno dei caratteri distintivi del biologico, ne sostiene la reputazione, aumenta il grado di fiducia dei consumatori e il suo costo pesa sul sistema solo per l’1%. Lo mette in evidenza Fabrizio Piva sulle pagine di Greenplanet.net. Allora perché accanirsi a utilizzarla come capro espiatorio, proponendo l’iniqua trasformazione delle tariffe in un credito di imposta che peserebbe sulla fiscalità generale?

Il sistema di certificazione è un asset importante per il nostro biologico, una risorsa che vanta numerosi tentativi di imitazione.

Mette al riparo il settore da tentativi di frode e speculazione, sostiene il livello di reputazione e la fiducia dei consumatori, soprattutto nei momenti di crisi di mercato, e crea occupazione qualificata e valore per le imprese.

Costi contenuti

Il tutto a costi che, a conti fatti, come vedremo, sono decisamente contenuti. Alcune recenti “proposte di rilancio del settore” hanno voluto invece assimilare la certificazione, fornita da organismi terzi, al peso di una burocrazia che in Italia, spesso, può essere eccessiva ed asfissiante per gli imprenditori (non solo) agricoli. Un’assimilazione che non regge. Lo mette in evidenza Fabrizio Piva in un recente intervento su Greenplanet.net.

«C’è chi ha avanzato la proposta – ricorda Piva – di trasformare in credito di imposta i costi di controllo e certificazione sostenuti dagli operatori del settore biologico».

«Si tratta tuttavia di un errore strategico, oltre che tattico: parte da presupposti sbagliati e giunge a conclusioni che rischiano di nuocere all’intero settore».

L’aritmetica non è un’opinione

Una proposta che parte da alcuni abbagli, anche aritmetici.

Non è infatti l’onere della certificazione a penalizzare la competitività del bio, basta fare due conti. Il fatturato complessivo del biologico nazionale è arrivato infatti nel 2022 (fonte Nomisma) a 8,4 miliardi di euro (sommando mercato interno ed export). Il costo di certificazione, stimandolo sugli ultimi fatturati disponibili e depositati dagli organismi di certificazione, incide su tale fatturato per una quota intorno all’1%. Una quota che negli ultimi 20 anni si è via via ridotta e razionalizzata e che non può essere presentata come l’elemento che penalizza la competitività del settore.

Da onore ad onere

L’errore è anche concettuale: «La certificazione – scrive Piva – non è un “costo necessario” per il quale coloro che ne sono obbligati chiedono che lo Stato intervenga a ripianare/riconoscere tale costo». Questo infatti collide, come evidenzia Piva, con quello che rappresenta la certificazione del biologico dal punto di vista commerciale, ovvero uno dei pilastri su cui si reggono le garanzie per i consumatori accrescendo l’affidabilità e la credibilità dell’intero sistema.

La proposta vuole invece che la certificazione passi da valore a semplice costo, pretendendo che sia la collettività a coprirlo a livello fiscale, spalmandone così l’onere su tutti i cittadini e non solo sui consumatori.

Il rischio di concorrenza sleale

«I prodotti – evidenzia Piva – che nel mercato hanno più successo e spuntano maggiori vantaggi competitivi sono quelli spesso caratterizzati da schemi di certificazione ad essi collegati».

Oltre al biologico questo vale infatti per i prodotti tipici (Dop, Igp, Stg), i vini a denominazione, fra breve verranno sviluppati alcuni schemi collegati all’assorbimento del carbonio (carbon farming) ed altri percorsi nell’ambito della sostenibilità dei processi. «In questo modo l’argomento si complica, e non poco, perché anche per questi settori dovrebbe essere riconosciuto il credito di imposta e magari in tutti i Paesi membri per evitare distorsioni di mercato, considerato che si tratta di organizzazioni comuni di mercato (Ocm) in ambito Ue».

Un credito di imposta che, oltre a tutto, altererebbe la correttezza della competizione fra imprese all’interno dello stesso settore biologico. «La stragrande maggioranza delle aziende agricole non potrebbe infatti vederlo riconosciuto in quanto paga le imposte sui redditi catastali e non su quelli effettivi in base alla redazione di un bilancio.

Un ultimo mito da sfatare

«Da ultimo – conclude Piva – non corrisponde al vero che il costo di certificazione viene applicato più volte sullo stesso prodotto lungo la filiera del valore, in quanto la tariffa viene applicata sull’operatore certificato in base alle operazioni che lo stesso esegue sul prodotto e sulla fase di filiera su cui ha competenza».

UN QUINTO DELL’AGRICOLTURA ITALIANA È BIO

UN QUINTO DELL’AGRICOLTURA ITALIANA È BIO

I dati Sinab presentati da Ismea rivelano che le superfici bio arrivano a sfiorare il 19% della Sau del Belpaese con una crescita nel 2022 del 7,5%. Gli operatori toccano quota 93mila (+8,9%)

Balzo inatteso del biologico italiano nel 2022. A confermarlo sono le anticipazioni del rapporto “Bio in cifre 2023” curato per il Masaf dal Sinab, il Sistema di Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica e presentate a L’Aquila al convegno Ismea “Appuntamento con il Bio”.

Colpo di coda della vecchia Pac

Risultati per molti versi inattesi, perché si riferiscono a un periodo, l’anno scorso, in cui il bio non ha potuto usufruire del favore concesso dalla Farm to Fork e dalla Pac 2023-2027 a questo metodo di produzione.

Lo conferma Fabio del Bravo di Ismea: «C’è molto più ottimismo – ha detto – sulla possibilità di raggiungere l’obiettivo F2F del 25% delle superfici agricole, che il nostro Paese ha anticipato al 2027». Alcune regioni sono infatti già oltre l’obiettivo, alcune sono vicine, altre tremendamente lontane.

Le superfici coltivate a biologico hanno infatti raggiunto l’anno scorso i 2.349.880 ettari, con un incremento del 7,5% rispetto al 2021, portando l’incidenza della superficie agricola utilizzata (Sau) nazionale al 18,7% (+1,3% sul 2021), che si conferma tra le più elevate nella Ue (nel 2021 eravamo al quinto posto dietro Austria, Estonia, Svezia e Portogallo.

Aumento significativo anche per il numero di operatori biologici che hanno toccato quota 92.799, di cui 82.627 è rappresentato da aziende agricole (+ 8,9% rispetto al 2021).

Sei Regioni già oltre il 25%

A livello regionale, da segnalare l’esplosione del biologico in Toscana, che con 35,8% è diventata la prima regione come incidenza di SAU bio, seguita da Calabria, Sicilia, Marche, Basilicata e Lazio, le prime 6 regioni ad aver superato l’obiettivo del 25% contenuto nelle strategie europee.

Anche la zootecnia bio ha evidenziato valori di crescita importanti: +22,5% per gli alveari, 10,5% per i caprini, 9,7% per gli ovini e 8,2% per i bovini.

La nota critica continua ad essere rappresentata da una domanda interna che, nel 2022, ha registrato un incremento modesto del +0,5% rispetto l’anno precedente. Da segnalare però un calo dei volumi, considerando che l’aumento generalizzato dei prezzi a causa dell’inflazione ha determinato la riduzione della capacità di spesa delle famiglie.

In forte calo (-17,1%) risultano invece le importazioni da Paesi terzi. In particolare cala l’importi di cereali (-22%), colture industriali (-25,9%) e oli e grassi vegetali (-30,7%). Un dato che dimostra l’attualità della necessità di un marchio del bio made in Italy, tra gli obiettivi del Piano d’azione.

Consumi fuori casa sempre più green

Il rallentamento della domanda interna, almeno per i volumi, è però mitigato da due tendenze positive. Da un lato, nei canali on-trade, il guadagno di quote di mercato da parte del discount (+14,2% rispetto al 2021), in grado di dare una risposta all’attenzione di risparmio dei consumatori.

Dall’altro la crescita del bio nel canale off-trade, ovvero bar e ristoranti, con un’incidenza degli esercizi che acquistano almeno un prodotto bio che arriva rispettivamente al 54,5% e 68,4%.

Un colpo di coda del bio che riporta in alto il clima di fiducia delle aziende. Un indice Isma che dopo l’assottigliamento del differenziale rispetto al convenzionale registrato negli ultimi 5 anni, torna a pendere decisamente in favore delle aziende bio.

(box) Bio in cifre

  • 2,35 i milioni di ettari (+ 7,5% sul 2021)
  • 800 gli operatori (+8,9%)
  • 3,7 milioni di € (+0,5%) il giro d’affari
  • 54,5% la quota dei bar con prodotti bio
  • 68,4% quella dei ristoranti
  • -17,1% l’import da Paesi terzi
IL RIPRISTINO DELLA NATURA SI FARÀ

IL RIPRISTINO DELLA NATURA SI FARÀ

Ok dell’Europarlamento alla proposta che mira a ristabilire condizioni naturali su almeno il 20% della superficie terrestre e marina europea entro il 2030: Alcuni emendamenti votati a Strasburgo mirano ad esentare gli agricoltori dai vincoli più duri del pacchetto normativo

Rispristino della natura: via libera del Parlamento Europeo alla proposta di regolamento sostenuta dal vice presidente della Commissione Frans Timmermans. Un’approvazione non scontata, arrivata sul filo del rasoio. L’ok è arrivato infatti grazie a 336 voti favorevoli, a fronte di 300 contrari e 13 astenuti. Poco prima del voto finale, la mozione di rimandare al mittente la proposta della Commissione non è però passata per una manciata di voti (312 favorevoli, 324 contrari e 12 astenuti: un EuroParlamento spaccato esattamente in due).

Il commento di Jan Plagge

Positivo il commento di Jan Plagge, presidente di Ifoam Organics Europe. «L’esito del dibattito di Strasburgo – dice- dona nuove speranze all’idea che l’Europa possa guidare la transizione ecologica del nostro modo di produrre cibo». «I deputati che hanno votato contro il #NatureRestoration non difendono gli agricoltori, ma vorrebbero al contrario portarli verso un futuro più difficile e una filiera agroalimentare più vulnerabile». «La sicurezza alimentare tanto declamata in aula a Strasburgo si raggiunge infatti solo con ecosistemi sani».

Il nuovo pacchetto normativo mira al ripristino di almeno il 20% della superficie terrestre e marina europea entro il 2030 e l’estensione a tutti gli habitat che necessitano di recupero entro il 2050. Gli emendamenti ottenuti dall’EuroParlamento hanno però indebolito i vincoli per gli agricoltori togliendo, per ora, l’obbligo di ritirare dalla produzione il 10% della superficie aziendale

Il via libera del Parlamento, accolto da un lungo applauso dei gruppi favorevoli, è stato seguito dal voto, altrettanto favorevole, che rinvia la proposta di regolamento in commissione Ambiente: si tratta di un passaggio formale che definisce la posizione negoziale dell’Eurocamera in vista dei triloghi sul testo con Consiglio e Commissione. Dopo la fine dei negoziati interistituzionali il testo tornerà all’Eurocamera.

La soddisfazione di Timmermans

Per Timmermans potrebbe trattarsi del successo politico più significativo di un mandato caratterizzato da una forte impronta green. Per questo il Vicepresidente Ue ha voluto ribadire l’importanza del voto: «è cruciale – ha detto – per il futuro del Green Deal e per gli obiettivi di neutralità climatica. Pensiamo alla prossima generazione e non alle prossime elezioni amministrative europee».

Lo scontro si trasferisce sui fronti nazionali

La partita però non si chiuderà con la risoluzione delle dispute tra Bruxelles e Strasburgo, destinata com’è ad aprire 27 aspri confronti all’interno di ognuno degli Stati membri, chiamati a individuare e quantificare le aree da ripristinare per ciascun habitat.

PIÙ INCLUSIVO O ESCLUSIVO? BIO SVIZZERO IN CRISI D’IDENTITÀ

PIÙ INCLUSIVO O ESCLUSIVO? BIO SVIZZERO IN CRISI D’IDENTITÀ

Bio Suisse sotto attacco: l’accordo di esclusiva con Coop e Migros spinge in alto il sovrapprezzo che per certe referenze è il doppio del convenzionale. Una valorizzazione che riguarda solo la distribuzione e non la produzione. Il marchio ombrello elvetico registra infatti numerose defezioni di agricoltori a causa di regole giudicate troppo permissive o troppo stringenti.

Il biologico elvetico è sotto il fuoco incrociato di rigoristi e permissivisti. Sul banco degli imputati Bio Suisse, il marchio ombrello creato più di 40 anni fa da FiBL, Biofarm, Bioterra, Demeter e Progana.

Le inchieste giornalistiche

Una recente inchiesta pubblicata dalla locale rivista di consumatori “Il saldo” denuncia infatti: il sovrapprezzo dei prodotti alimentari bio, in particolare di quelli di provenienza zootecnica, è “più grasso della salsiccia”.

E un approfondimento della rivista digitale “Die Grüne” mette in evidenza il crescente numero di produttori che rinunciato al marchio “Bio Suisse” a causa delle norme giudicate troppo permissive o troppo rigide a seconda dei casi.

La fuga  dei produttori

Dopo aver raggiunto una quota di mercato del 10,8% nel 2020, con 7122 aziende agricole biologiche e 1150 aziende di trasformazione, l’anno successivo Bio Suisse ha infatti registrato una perdita di 221 produttori. Alcuni dei produttori delusi denunciano l’eccessivo permissivismo delle linee guida, ad esempio per la possibilità di utilizzare l’insetticida Spinosad.

Altri invece le difficoltà a rispettare i vincoli ulteriori riguardo al benessere animale, alle restrizioni per i mangimi anche bio, oppure per il vincolo del ritiro dalla produzione del 3,5% delle superfici per favorire la biodiversità (per l’Unione europea i vincoli delle Epa, aree di interesse ecologico previste dalla nuova Pac sono superiori, paria al 4%).

L’esclusiva a Coop e Migros

Le critiche maggiori derivano però dall’esclusività del marchio Bio Suisse concessa alle catene di distribuzione Coop (svizzera) e Migros. L’indagine della rivista Saldo ha infatti messo in evidenza che in questo modo, in queste due catene, il prezzo dei tipici wurstel svizzeri bio è più del doppio del prezzo dei cervelat convenzionali, anche se il prezzo alla produzione è di solo 8 centesimi per 100 grammi in più.

Le catene di hard discounti Aldi e Lidl cercano da tempo di poter vendere prodotti Bio Suisse (come succede in Italia), un’opzione che il marchio ombrello elvetico ostacola in ogni modo.

Domanda di cereali e carne a diversa velocità

Ora, in seguito alla defezioni di così tanti produttori, per fare fronte alle richieste di Coop e Migros, Bio Suisse dovrebbe trovare almeno 500 nuove aziende bio in particolar modo cerealicole per fare fronte a una crescente richiesta di pane e sfarinati bio. Il piano è di ulteriori 15mila ettari entro il 2027, ma il fatto che le aziende bio siano di tipo misto, con produzioni sia cerealicole che zootecniche (anche per realizzare preziosi percorsi di economia circolare), rischia di provocare una sovrapproduzione e quindi una perdita di valore dei prodotti bio come carne e latte. Una valorizzazione che rimane appannaggio solo del settore della distribuzione e che non favorisce nuove adesioni a Bio Suisse.