Suolo e Salute

Anno: 2023

NUOVE BIOTECH IN CAMPO, MA NON NEL BIO

NUOVE BIOTECH IN CAMPO, MA NON NEL BIO

La Commissione Ue ha deciso di sbloccare le Tea, superando l’equiparazione giuridica con gli Ogm. Il nuovo regolamento sulle nuove biotecnologie di precisione dovrebbe essere pubblicato il 5 luglio. Per le Tea, tecnologie di evoluzione assistita, prevista una procedura di autorizzazione alla coltivazione meno penalizzante dell’attuale ma non potranno essere applicate nel biologico

Bruxelles sblocca le Tea ma preserva il biologico. La Commissione ha infatti annunciato la prossima pubblicazione del regolamento sulle Tecnologie di evoluzione assistita (secondo Ansa entro il prossimo 5 luglio, leggi qui l’articolo di Terra e Vita). La registrazione delle nuove varietà ottenute per cisgenesi e genome editing diventa più facile anche in Europa, ma non potranno essere impiegate in agricoltura biologica. Oggi le Tea sono frenate nel vecchio continente dall’equiparazione giuridica con gli ogm decretato dalla sentenza della Corte di Giustizia del 25 giugno 2018. All’indomani della pronuncia dei giudici comunitari, la Commissione aveva annunciato un progetto legislativo per aggiornare la disciplina della Dir. 2001/18 (Novel food), che ha introdotto in Europa il principio di precauzione sulle innovazioni della ricerca.

Cosa c’è scritto nella bozza

La bozza del nuovo regolamento sulle nuove tecniche del genoma (Ngt, anche note come Tea in Italia) dovrebbe essere pubblicata il prossimo 5 luglio. Lo annuncia l’agenzia Ansa che ha potuto prendere visione del documento e che rivela che le Tea non dovrebbero essere soggette allo stesso regime di autorizzazione, valutazione del rischio, tracciabilità ed etichettatura degli ogm, ma a una semplice notifica. La nuova regolamentazione sulle piante modificate geneticamente era stata annunciata nel 2020 come parte della Strategia Ue “From Farm to Fork”.

La Novel food rimane in vigore

Nella consultazione della Commissione Ue le associazioni del settore bio avevano manifestato il proprio giudizio negativo sulla riforma, chiedendo invece di continuare ad applicare le regole attuali anche al nuovo biotech.

La bozza del regolamento stabilisce tra l’altro che l’impiego di piante ottenute da nuove tecniche deve essere vietato per il biologico e che le varietà non considerate utili alla sostenibilità, come quelle tolleranti agli erbicidi, siano considerate simili agli ogm tradizionali.

 

JAN PLAGGE RIELETTO PRESIDENTE DI IFOAM ORGANICS EUROPE

JAN PLAGGE RIELETTO PRESIDENTE DI IFOAM ORGANICS EUROPE

All’Assemblea Generale del 21 giugno, i membri di Ifoam Organics Europe hanno eletto un nuovo Consiglio confermando Jan Plagge per un terzo mandato al vertice

Quarantuno membri provenienti da 19 Paesi hanno, online e di persona, partecipato all’Assemblea Generale di Ifoam Organics Europe del 21 giugno. Unanime il consenso per l’elezione del nuovo consiglio di amministrazione presieduto per il terzo mandato consecutivo da Jan Plagge. Dopo la sua rielezione, il presidente ha dichiarato: «È un onore essere rieletto presidente del movimento biologico europeo. Questi sono tempi difficili, poiché la riduzione dei pesticidi e la protezione della biodiversità sono diventate questioni altamente politicizzate e polarizzanti e molti produttori biologici si trovano ad affrontare una difficile situazione di mercato».

La transizione ecologica è più che mai necessaria

«Eppure la trasformazione del nostro sistema alimentare è più che mai necessaria e l’agricoltura biologica rimane uno strumento politico cruciale per rendere più verde la nostra agricoltura e rivitalizzare le aree rurali in Europa».

Con la risoluzione adottata dall’Assemblea Generale, il movimento del biologico ribadisce chiaramente il proprio sostegno al Green Deal dell’Ue e alla strategia Farm to Fork. «Sottolineando però – evidenzia Plagge – quanto sia importante salvaguardare un approccio olistico all’innovazione, un modo di agire che alla lunga è più efficiente rispetto all’intensificazione  produttiva di un sistema agroalimentare ad alti input». «Per questi motivi, e per proteggere il modello europeo dai padroni dei brevetti, la stragrande maggioranza dei produttori biologici vuole che il processo di produzione biologico rimanga privo di ogm, comprese le nuove tecniche genomiche (Ngt o Tea, come vengono chiamate in Italia)».

Riconfermate anche le vicepresidenti

Plagge, tedesco, 52 anni, è Presidente di Bioland e ha molti anni di esperienza nello sviluppo del settore biologico dopo un passato come agricoltore biologico e consulente di agricoltura biologica. Ha già ricoperto la carica di Presidente di Ifoam Organics Europe nei due mandati 2018-2020 e 2020-2023. Sono stati rieletti anche entrambi i vicepresidenti del consiglio di amministrazione.

Dora Drexler, direttrice dell’ÖMKI, l’Istituto di ricerca ungherese sull’agricoltura biologica. «Se vogliamo – ha detto – raggiungere gli obiettivi delle strategie Farm to Fork e Biodiversity, i responsabili politici dovrebbero rafforzare gli sforzi di ricerca dell’UeE dedicati al biologico e ad altri approcci agroecologici».

 

Marian Blom, leader del progetto Knowledge & Innovation di Bionext, ha dichiarato: «Abbiamo bisogno di indicatori che misurino la sostenibilità in tutte le sue dimensioni, compresa la protezione della biodiversità, l’uso di pesticidi e il cambiamento climatico. Il biologico offre una soluzione sistemica a problemi complessi». Subito dopo l’ elezione, il Consiglio ha festeggiato assieme al Commissario Ue Wojciechowski, primo ospite ufficiale dell’Organic House.

UN PIANO PER FAR CRESCERE IL BIOLOGICO IN AFRICA

UN PIANO PER FAR CRESCERE IL BIOLOGICO IN AFRICA

Lo ha messo a punto Fibl, l’istituto di ricerca svizzero assieme a Kcoa, il centro di conoscenze per l’agricoltura biologica in base ai risultati di tre progetti che hanno confrontato le performance di sostenibilità ambientale e sociale di diversi modelli di produzione in ambiente tropicale

Ci sono tanti riscontri sui vantaggi dell’agricoltura biologica rispetto a quella convenzionale negli ambienti temperati (principalmente in Europa o Nord America). Pochi studi invece nelle fasce tropicali. Fibl, l’istituto di ricerca svizzero che si occupa di agricoltura biologica cerca di colmare questo divario con alcuni progetti mirati. In particolare nel progetto in corso SysCom (Farming Systems Comparisons Trials in the Tropics) e quelli già terminati ProEcoAfrica  (Productivity, Profitability and Sustainability of Organic and Conventional Farming Systems in Sub-Saharian Africa: Comparative analysis) e OFSA (Organic Food Systems Africa) i ricercatori hanno lavorato in stretto contatto con gli agricoltori in Ghana, Kenya, Uganda, India e Bolivia.

Le sfide ambientali e sociali del continente nero

Dai risultati di questi progetti emerge che i sistemi agricoli dominanti che alimentano la popolazione in forte crescita di questi Paesi hanno grossi limiti di sostenibilità. Le sfide ambientali e sociali sono particolarmente pronunciate nel continente africano e gli effetti negativi del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità e dell’insicurezza alimentare e nutrizionale rendono improrogabile la transizione verso sistemi alimentari biologici. Gli approcci agroecologici stanno acquisendo importanza in Africa, dimostrandosi efficaci nel migliorare la salute ambientale, salvaguardando al tempo stesso la sicurezza alimentare e il benessere sia dei piccoli agricoltori che dei consumatori alimentando preziosi circuiti di economia e sviluppo rurale.

Una nuova politica per l’agricoltura del terzo mondo

Sulla base di questi risultati, in collaborazione con il Kcoa (Knowledge Center for Organic Agriculture),Fibl ha sviluppato un documento programmatico incentrato sul progresso dell’agricoltura biologica in Africa. Kcoa è il partner ideale per Fibl. Istituito grazie a Giz (The Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit), l’agenzia tedesca per la cooperazione internazionale, lavora attraverso una rete di cinque centri di conoscenza, implementati in tutta l’Africa, per colmare le lacune di conoscenza e promuovere sistemi alimentari che creino sicurezza alimentare e rispettino i limiti ambientali della Terra.

PROMOZIONE DEL BIO, ACCORDO TRA AIAB E ORTOFRUTTA ITALIA

PROMOZIONE DEL BIO, ACCORDO TRA AIAB E ORTOFRUTTA ITALIA

L’associazione dei produttori e l’interprofessione ortofrutticola firmano un accordo per promuovere l’agricoltura bio e sostenibile. Tra le azioni previste: monitoraggio di mercato, previsioni sugli scenari evolutivi, reazioni alle evoluzioni normative

Sviluppare filiere ortofrutticole biologiche e sensibilizzare il mercato sull’utilizzo sostenibile delle risorse, sono tra gli obiettivi del protocollo d’intesa siglato da Ortofrutta Italia e l’Associazione Italiana Agricoltura Biologica, Aiab. Il documento strategico potrà aiutare a stabilizzare i prezzi dei prodotti bio e creare nuovi posti di lavoro.

L’obiettivo di creare valore

«Questo protocollo – commenta Giuseppe Romano, presidente di Aiab – rappresenta un momento storico nel settore biologico». «In un periodo di incertezza economica e di crisi, l’ortofrutta biologica può essere un segmento importante per la creazione di valore».

«Offre infatti opportunità di sviluppo sostenibile, contribuendo alla creazione di posti di lavoro nel settore primario e nelle attività correlate. Inoltre l’intesa raggiunta può aiutare a stabilizzare i prezzi, sia per gli agricoltori che per i consumatori, garantendo una giusta remunerazione per i produttori e accesso a cibi di qualità per i cittadini.

Via a una collaborazione significativa

«La firma – aggiunge Massimiliano Del Core, presidente di Ortofrutta Italia – dimostra l’attenzione dell’interprofessione verso la filiera biologica, la cui importanza è indiscutibile per il futuro del settore. L’intesa segna il primo atto di una collaborazione significativa».

Tra le attività previste, l’analisi e il monitoraggio delle filiere ortofrutticole biologiche, lo studio degli scenari evolutivi del settore, l’orientamento delle evoluzioni normative e l’analisi delle tendenze di mercato.

L’EXPORT ITALIANO BIO VOLA FINO IN MESSICO

L’EXPORT ITALIANO BIO VOLA FINO IN MESSICO

Sui vini l’Italia al primo posto davanti a Francia e Cile: l’analisi di Nomisma per la piattaforma Ita.Bio

«Biologico rimane una parola magica per crescere nell’export». È il commento della rivista Terra e Vita per la crescita delle esportazioni delle derrate agroalimentari bio anche verso mercati inusuali come il Messico. Dopo i focus di approfondimento su: Usa, Cina, Canada, Emirati Arabi, Scandinavia e Giappone lo scorso 7 giugno la piattaforma Ita.Bio ha dedicato infatti il suo approfondimento in streaming al Paese latino americano.

Con un valore di 59 milioni di euro, il Messico si posiziona solo al 35esimo posto nella classifica globale del bio in termini di quota di mercato. Il trend è però molto positivo, con una crescita del +12% solo nell’ultimo anno e una previsione di un +7% medio annuo fino al 2026, guidato da una consumer base giovane e sempre più attenta a benessere e salute.

È quanto emerge dalla indagine di Nomisma presentata nel sesto forum ITA.BIO, la piattaforma online di dati e informazioni per l’internazionalizzazione del biologico Made in Italy promossa da ICE Agenzia e FederBio.

I numeri chiave

Il settore bio in Messico è in crescita: +14% il numero di aziende bio e +10% le superfici solo nell’ultimo anno, nonostante rappresentino ancora solo lo 0,2% sul totale della superficie agricola complessiva.

Con una spesa pro-capite inferiore a 1 euro a persona, il biologico in Messico rappresenta ancora una piccola nicchia di mercato che interessa soprattutto specifici target di popolazione (giovani e famiglie con figli al di sotto dei 12 anni), tanto che la quota di consumatori bio non raggiunge il 30% nelle upper class delle grandi città.

Dimensioni però che sottintendono enormi potenzialità di crescita, supportate anche dal graduale ma costante cambiamento negli stili di vita e nei consumi alimentari delle famiglie messicane. Un percorso verso abitudini più sane, fortemente trainato dal Governo messicano, che negli ultimi anni sta lottando duramente, attraverso divieti e tassazione, per combattere contro uno dei più alti tassi di obesità al mondo.

Il trend salutistico

Dunque trend salutistici e maggiore attenzione alla qualità dei prodotti che i messicani portano a tavola, lo dimostrano i dati della consumer survey originale di Nomisma, realizzata nel mese di maggio su un campione di popolazione residente nelle principali città e con redditi medio-alti: negli ultimi 2-3 anni il 46% degli intervistati ha aumentato in generale il budget dedicato alla spesa alimentare, il 36% ha speso di più per acquistare prodotti gourmet di importazione e il 28% dichiara di aver incrementato gli acquisti di prodotti di origine vegetale.

In tale contesto si inserisce il consumo di prodotti biologici, che risulta infatti legato principalmente a una scelta salutistica: il 72% dei consumatori che acquista prodotti biologici lo fa perché sono più sicuri per la salute, perché possiedono proprietà nutritive migliori (secondo il 54%) e, in generale, perché hanno qualità superiore (37%).

 I canali distributivi

Se è vero che il biologico in Messico passa soprattutto da iper e supermercati generalisti (Walmart, La Comer, Chedraui,…) tanto che quasi 2/3 acquista bio principalmente presso questo canale, i ristoranti e i wine bar evidenziano comunque grosse potenzialità: ad oggi solo l’8% ha consumato pasti bio fuori casa, ma dalla fine del 2021 ad oggi, i consumi away from home in Messico presentano un trend di crescita costante, con una quota crescente di consumatori che ritiene importante la presenza di ingredienti o piatti bio nel menù di un ristorante. Altri canali di interesse per il biologico sono gli specializzati bio (punti vendita come Hanseakit o Ingredienta) che vengono scelti come punto di riferimento dalla consumer base.

 

Per accrescere diffusione, consapevolezza e interesse verso il biologico, è però indispensabile che il consumatore messicano venga informato di più e meglio riguardo le caratteristiche e le garanzie che il bio offre: l’80% degli user bio dichiara infatti di non aver informazioni sufficienti e dettagliate sulle caratteristiche e i valori degli alimenti biologici (quota che supera il 90% per i non user di bio). Nello specifico, solo due su dieci conoscono la differenza tra biologico e convenzionale e più di 1 consumatore su 2 vuole avere informazioni più dettagliate sulla tracciabilità dei prodotti bio e sul legame dieta salutare e sostenibilità ambientale.

L’accoppiata Made In Italy-Bio fa bene al vino

Italia top quality nel food&wine: nel percepito dei consumatori messicani, l’Italia si posiziona al secondo posto, alle spalle dei vicini Stati Uniti, tra i Paesi che producono i prodotti alimentari di maggiore qualità. Per il vino l’Italia è sul gradino più alto del podio, davanti a Cile e Francia.

Senza dubbio il Made in Italy bio ha ottime prospettive di sviluppo su questo mercato: 2  consumatori su 3 si dicono certamente interessati ad acquistare un prodotto biologico italiano se lo trovassero presso il punto vendita che frequentano abitualmente. Per gli incerti, il prezzo elevato è l’ostacolo rilevante che potrebbe però essere superato grazie a una buona comunicazione e informazione sul prodotto, in particolare in merito al buon impatto sulla sua salute.

 

LA VERA AGRICOLTURA RIGENERATIVA È BIOLOGICA

LA VERA AGRICOLTURA RIGENERATIVA È BIOLOGICA

Crescono i marchi e le partnership che fanno riferimento a un modello di produzione che consenta di rispettare la fertilità organica del suolo, riassorbire CO2 atmosferica e contrastare i cambiamenti climatici. Ma il primo a coniare il termine “rigenerativo” è stato lo statunitense Rodale Institute e oggi l’unico modello di agricoltura rigenerativa certificata è quello che fa riferimento a questo standard che fa leva sul bio

La necessità di centrare l’obiettivo della neutralità climatica dà un forte slancio alle buone pratiche colturali dell’agricoltura rigenerativa. Ogni giorno spuntano nuovi protocolli, partnership, organizzazioni, marchi che mettono al centro lo sforzo degli agricoltori di ripristinare la fertilità organica del suolo riassorbendo la CO2 atmosferica e contrastando così i cambiamenti climatici.

Un termine di moda

Barilla ha lanciato all’inizio dell’anno il suo progetto “bello e buono” con l’obiettivo di sviluppare sistemi e pratiche agricole che favoriscano la “rigenerazione” dei suoli. Ferrero ha annunciato un protocollo di gestione rigenerativa per la coltivazione del nocciolo alla recente prima edizione di AgriWorld a Potenza. Anche Syngenta cavalca il suo modello di agricoltura rigenerativa come «opportunità concreta per un approccio agricolo più sostenibile e resiliente».

C’è però un problema: tutti questi modelli, con diverse sfumature, fanno comunque riferimento all’agricoltura integrata e utilizzano agrofarmaci e fertilizzanti chimici il cui ciclo produttivo determina una pesante impronta di carbonio che vanifica, almeno in parte, i risultati sul fronte del riassorbimento netto di CO2.

Lo standard certificato Roc

Occorre invece ricordare che l’unica esperienza al mondo di agricoltura rigenerativa certificata è quella che fa riferimento alle pratiche rigenerative biologiche messe a punto negli Usa dal Rodale institute, la prima entità che ha parlato di agricoltura rigenerativa sin dagli anni ’80 del secolo scorso. Il marchio Roc (Regenerative Organic Certified™, ovvero Biologico rigenerativo certificato) è stato introdotto nel 2018 facendo riferimento a uno standard olistico di produzione che fa leve sui dettami dell’agricoltura biologica. Lo standard è supervisionato dalla Regenerative Organic Alliance, un’organizzazione senza scopo di lucro composta da esperti in agricoltura, allevamento, salute del suolo, benessere degli animali ed equità tra agricoltori e lavoratori.

Suolo e Salute è al momento l’organismo di controllo e certificazione in Italia autorizzato a condurre l’attività di controllo dello standard Roc (Regenerative Organic Certified™).

Per informazioni: estero@suoloesalute.it