Malgrado la grave crisi ambientale in cui versa il Pianeta, il pericolo di un improvviso “default ecologico” sembra al momento scongiurato. A sostenerlo un autorevole studio pubblicato pochi giorni fa da Trends in Ecology & Evolution, dal titolo Does the terrestrial biosphere have planetary tipping points? Più facile pensare che trasformazioni profonde su scala globale debbano richiedere un lungo periodo di tempo prima di compiersi. Secondo gli autori, infatti, i diversi ecosistemi terrestri non sono interconnessi al punto che si giunga ad un punto di non ritorno improvviso e drammatico. Questo a dispetto della situazione della biosfera, che per l’80% presenta ecosistemi condizionati e danneggiati dall’azione diretta o indiretta dell’uomo. Il lavoro, realizzato da un team di scienziati dell’Environment institute and school of Earth and environmental sciences dell’università di Adelaide, ha analizzato in particolare quattro punti strettamente legati ai cambiamenti ambientali globali, i cambiamenti climatici, l’uso del suolo, i cambiamenti e la frammentazione degli habitat e la perdita di biodiversità , concludendo che è inverosimile che, malgrado tutto, essi possano diventare irreversibilmente drammatici. Secondo uno degli autori dello studio, Erle Ellis, i mutamenti della biosfera “dipendono da circostanze locali e quindi differiscono tra località. Questa realtà dovrebbe incoraggiare le comunità a perseguire soluzioni di salvaguardia appropriate a livello locale e regionale, piuttosto che essere distratte da proiezioni di “morte e distruzione” su scala globale”. “Dato che fino a quattro quinti della biosfera sono oggi caratterizzati da ecosistemi a livello locale, che nel corso dei secoli e dei millenni hanno subito cambiamenti di sistema di uno o più tipo indotti dall’uomo, riconoscere questa realtà e ricercare azioni di conservazione appropriate a livello locale e regionale potrebbe essere un modo più fruttuoso di far progredire l’ecologia e la scienza del cambiamento globale”, ha proseguito Ellis.
Barry W. Brook, a capo del gruppo di ricerca, sottolinea l’importanza di questo studio non solo perché ci conforta rispetto alle ipotesi più catastrofiste, ma perché può costituire un preziosissimo strumento pratico per la governance ambientale prossima futura: “Questa è una buona notizia – ha dichiarato Brook – “ perché ci dice che potremmo evitare lo scenario “doom-and-gloom“ di un brusco e irreversibile cambiamento. Focalizzarsi sui punti critici planetari può distoglierci sia dalle vaste trasformazioni ecologiche che si sono già verificate che portare ad un fatalismo ingiustificato sugli effetti catastrofici di punti di non ritorno. Mettere l’accento sul punto di non ritorno non è particolarmente utile per realizzare le azioni di conservazione delle quali abbiamo bisogno. Dobbiamo continuare a cercare di ridurre il nostro impatto sull’ecologia globale, senza dare un’eccessiva attenzione al tentativo di evitare soglie arbitrarie“. Gli scienziati non escludono in assoluto che possa verificarsi un collasso ambientale repentino e globale, similmente a quanto è accaduto su scala locale e regionale a molti ecosistemi, ma ciò sarebbe possibile solo se effettivamente tutti gli ecosistemi terrestri fornissero risposte analoghe agli impatti dell’uomo, cosa che potrebbe verificarsi solamente se le interconnessioni tra gli ambienti fossero più strette di quelle che appaiono attualmente: “Questi criteri, tuttavia, è molto improbabile che possano essere soddisfatti nel mondo reale. In primo luogo, gli ecosistemi dei diversi continenti non sono strettamente connessi. In secondo luogo, le risposte degli ecosistemi alle pressioni umane, quali il cambiamento climatico o il cambiamento d’uso dei terreni, dipendono dalle circostanze locali e quindi differiscono tra località”. Una grande speranza per il futuro, che tutti noi ci auguriamo possa gettare le basi per un approccio meno angosciato ma al tempo stesso determinato per affrontare e risolvere le grandi sfide della conservazione e della sostenibilità.
Fonte: Greenreport