Una recente ricerca condotta dal Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche), dall’Ispa (Istituti di scienze delle produzioni alimentari) e dall’Ibimet (Istituto di Biometeorologia), mette in guardia agricoltori e consumatori sugli effetti del riscaldamento globale sulla produzione cerealicola europea, in particolare del mais.
A destare preoccupazione è il rischio di contaminazione da aflatossine, che aumenterebbe a causa del costante innalzamento delle temperature. Le aflatossine sono delle micotossine presenti soprattutto nei cereali (mais, frumento, riso, etc.) e nei loro derivati, ma anche nei semi di arachidi e girasole, nella frutta secca e in legumi, spezie, caffè e cacao. Alcuni tipi di aflatossine (B1, B2, G1, G2) e i loro derivati metabolici (M1, M2) possono avere un’azione tossica, mutagena e cancerogena sul fegato e interferire con le risposte del sistema immunitario umano. La più pericolosa è la B1.
A causa del riscaldamento globale, “l’Aspergillus flavus, il fungo responsabile della produzione di aflatossine, si trova nelle condizioni ideali per prosperare“, spiega Antonio Moretti (Ispa-Cnr), in un’intervista. “Immaginando un aumento della temperatura di due gradi da qui al 2050 l’intero areale produttivo che si affaccia sul Mediterraneo vedrebbe incrementato di oltre il 50% il rischio di contaminazione.
Il più colpito sarebbe il mais“. Al momento dunque l’area più a rischio è la costa del Mediterraneo, ma il riscaldamento globale potrebbe portare a una diffusione dell’Aspegillus anche nell’Europa dell’Est e nel Sud-Est europeo.
Si tratta di un processo già in atto da tempo, come spiega Piero Toscano (Ibimet-Cnr): “In anni recenti, ad esempio nel 2003, 2012 e 2015, le persistenti anomalie termiche del periodo estivo hanno fatto impennare le contaminazioni da aflatossine del mais; la conseguenza è stata una sensibile riduzione dei raccolti e l’impossibilità di utilizzarli per l’alimentazione umana e animale”.
Per contrastare la diffusione di questo pericoloso fungo, che prospera nei climi secchi e caldi, bisogna immediatamente limitare l’innalzamento della temperatura globale. In secondo luogo, suggerisce Moretti, occorre “diffondere le migliori pratiche agronomiche. Lo strumento più promettente per la lotta alle aflatossine è l’uso di popolazioni di Aspergillus flavus non tossigene per contrastare quelle che producono micotossine“.
Non basta quindi il recente accordo di Parigi sul contenimento delle temperature globali fino a un massimo di +1,5°C: “Se da punto di vista politico l’accordo ha rappresentato un successo, altrettanto non può dirsi per l’emergenza tossine: a tale livello di riscaldamento, infatti, corrisponderebbe un aumento molto significativo di aflatossina B1”, conclude Toscano.
FONTI:
http://www.cnr.it/sitocnr/almanacco_view.html?id=525
http://www.treccani.it/enciclopedia/aflatossina_%28Dizionario-di-Medicina%29/