Suolo e Salute

Autore: admin

Psr: nel primo trimestre 2016 spesi 129milioni di euro

PSRAmmontano a 129milioni di euro, pari a 65 milioni di quota comunitaria, i fondi investiti da 14 regioni nei primi tre mesi del 2016 nell’ambito dei Programmi di sviluppo rurale (Psr).

Al primo posto si piazza la Calabria, con 30,8 milioni di euro; segue al secondo posto la Lombardia con 20,5 milioni di fondi investiti, la Sicilia con 19,3 milioni e la Toscana con 16,4 milioni di euro.

Scorrendo la graduatoria, troviamo la Sardegna (8,74 milioni), l’Emilia Romagna (7,41 milioni), e il Veneto (7,09).

In coda alla classifica delle regioni che hanno già rendicontato ci sono l’Abruzzo, la Basilicata, la Campania e la Provincia di Trento. Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Puglia, Molise e Lazio non hanno ancora dato comunicazione delle spese effettuate nell’ambito dei Psr.

Ma come sono stati investiti questi fondi?

Buona parte delle risorse sono confluite in progetti avviati nella passata programmazione, trovando il loro naturale completamento con il nuovo budget dei Psr 2014-2020.

Le principali misure finanziate sono: immobilizzazioni materiali, con una spesa di 23,5 milioni di euro, seguite dall’agricoltura biologica, con 12,3 milioni di euro, gli investimenti forestali (9,5 milioni di euro) e le indennità soggette a vincoli naturali (3,9 milioni di euro).

Nonostante l’ottimo avvio di programmazione, alcune regioni rimangono però ancora al palo con un avanzamento di spesa pressoché nullo. Parte dei ritardi è dovuta all’aumento della complessità della nuova struttura dei PSR 2014-2020, combinata con le difficoltà amministrative mai superate della precedente programmazione.

A risollevare la situazione potrebbe contribuire la proroga al 15 giugno, concessa dall’Unione europea, dei termini per la presentazione della domande relative alle misure a superficie e connesse agli animali che avrà sicuramente un effetto di stimolo sulla spesa nel secondo semestre dell’anno.

Da inizio programmazione, sono stati spesi complessivamente 265 milioni di euro, pari a 124 milioni di euro di quota FEASR ai quali è necessario aggiungere il prefinanziamento del 1% annuo (per i primi tre anni di spesa) pari a 313 milioni di euro che rappresenta il volano di spesa essenziale nei primi anni.

Fonti:

http://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2016/06/01/psr-129-milioni-di-euro-spesi-nel-primo-trimestre-2016/49038

http://www.pianetapsr.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1594

 

FederBio: agricoltura prima causa di inquinamento, necessario puntare sul bio

federbio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondo un nuovo studio effettuato presso la Columbia University, sono le emissioni provenienti da aziende agricole la maggiore fonte di inquinamento atmosferico in gran parte degli Stati Uniti, Europa, Russia e Cina.

Le esalazioni dei fertilizzanti ricchi di azoto e dei rifiuti di origine animale si combinano in aria con altre sostanze inquinanti dando vita a delle particelle solide. Queste, ancor più del particolato presente nell’atmosfera, sono una delle principali fonti di malattia e morte, perché possono attaccare il tessuto polmonare di bambini e adulti

Lo studio, intitolato “Significant atmospheric aerosol pollution caused by world food cultivation” e pubblicato il 16 maggio scorso, conferma dunque che l’agricoltura è la prima causa di inquinamento dell’aria: “I fertilizzanti azotati di cui si serve l’agricoltura industriale, insieme all’allevamento degli animali, danno un contributo determinante e devastante all’aumento del particolato fine che provoca malattie e morti premature. Non solo le auto e le emissioni industriali, dunque, vanno incolpate degli alti livelli di PM2,5”.

Paolo Carnemolla, presidente di FederBio, ha diffuso una nota a riguardo, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, che si è celebrata lo scorso 5 giugno: “Vogliamo sottolineare la necessità di un cambiamento di passo in agricoltura. L’abuso di fertilizzanti ricchi di azoto utilizzati per decenni in tutto il mondo ha rappresentato una vera e propria minaccia per l’ambiente, come conferma lo studio dell’Earth Insitute, e per l’uomo stesso. L’agricoltura del futuro deve necessariamente avere come primo obiettivo quello di preservare l’ambiente e dunque la salute dell’uomo allo stesso tempo; deve essere sostenibile, come evidenziato dal lavoro e dell’impegno preso dai ministri all’agricoltura dei Paesi del G20 riunitisi oggi in Cina. Il bio rappresenta la vera alternativa, ponendosi come metodo di produzione che tutela la fertilità del suolo, la biodiversità e il benessere dell’uomo. L’agricoltura industriale, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, non può rappresentare il futuro, al contrario è una vera e propria minaccia”.

Fonti:

http://www.feder.bio/comunicati-stampa.php?nid=1030

https://www.sciencedaily.com/releases/2016/05/160516110423.htm

 

L’agricoltura biologica come volano di sviluppo per l’economia locale

Una nuova ricerca effettuata per l’Organic Trade Association (OTA) da Edward Jaenicke, economista agrario e professore associato presso la Penn State University, suggerisce che l’agricoltura biologica può avere un impatto positivo sull’economia delle aree in cui è praticata.

All’interno del rapporto, redatto da Jaenicke e intitolato “U.S. Organic Hotspots and their Benefit to Local Economies“, sono state identificate e analizzate 225 contee presenti negli Stati Uniti con alti livelli di attività agricola biologica. Per ognuna di queste contee è stata valutata l’influenza del metodo biologico su reddito medio delle famiglie e tasso di povertà della contea.

L’OTA ha anche creato una mappa interattiva all’interno della quale gli utenti possono inserire un codice postale per verificare se una determinata zona è oppure no ad alto interesse biologico.

Secondo i risultati della ricerca, le contee con livelli più elevati di attività biologica hanno visto aumentare il reddito medio familiare di 2mila dollari e ridurre la povertà di circa l’1,3 per cento.

Rod Sullivan, supervisore dello studio, ha spiegato che questo avviene perché comprare e mangiare a km 0 consente al denaro di circolare, fungendo da stimolo allo sviluppo dell’economia locale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa ricerca indaga sistematicamente gli impatti economici dell’agricoltura biologica“, ha affermato il dottor Edward Jaenicke, facendo notare come  “il crescente interesse del mercato nei confronti dell’agricoltura biologica può essere sfruttato all’interno di una politica efficace per lo sviluppo economico.”

L’economista ha iniziato a interessarsi al biologico perché era curioso di conoscere l’effetto che le scelte dei consumatori, sempre più attenti alla sostenibilità e alla sicurezza degli alimenti, possonono avere sulle economie locali.

L’agricoltura biologica ha già ampiamente dimostrato di apportare benefici alla salute e all’ambiente. Questa ricerca dimostra che il metodo biologico può anche garantire un maggiore benessere finanziario delle famiglie che abitano nelle aree in cui è praticata.

I responsabili politici hanno ora una ragione in più, quella economica, per decidere di sostenere l’agricoltura biologica.

L’Organic Trade Association (OTA) è la voce più autorevole all’interno del settore biologico negli Stati Uniti, e rappresenta oltre 8.500 aziende presenti in tutti e 50 gli Stati.

Fonti:

http://www.farms.com/ag-industry-news/study-suggests-organic-agriculture-improves-local-economies-027.aspx

http://ota.com/sites/default/files/indexed_files/OTA-HotSpotsWhitePaper-OnlineVersion.pdf

http://www.press-citizen.com/story/news/2016/05/26/study-johnson-county-iowa-organic-food-hot-spot/84998026/

 

Allevamenti biologici: dove ogm e antibiotici sono banditi

In questi ultimi anni si sente sempre più parlare, anche in Italia, di carne biologica e allevamenti biologici.

L’allevamento biologico è una pratica fortemente legata alla terra, esercitata nel pieno rispetto dell’ambiente e degli animali, secondo norme ben precise stabilite dall’Unione Europea.

All’interno di questi allevamenti, gli animali vengono alimentati con foraggi freschi o secchi o con mangimi biologici. Qui, sono banditi i farmaci e gli antibiotici a effetto preventivo di cui, soprattutto negli ultimi anni, si è fatto abuso all’interno degli allevamenti intensivi.

Così, il rispetto per l’animale, alla base della regolamentazione di un allevamento bio, si traduce inevitabilmente in benessere per l’uomo.

Nel 2014, gli allevamenti biologici presenti in Italia hanno fatto registrare numeri importanti, sintomo di un andamento di mercato che premia chi opera in maniera sostenibile: 4.806.887 animali, tra pollame (3.490.702), ovini (757.746), bovini (222.924), 146.692 (arnie con api), caprini (92.647), suini (49.900) ed equini (12.970) – oltre altri animali (20.336) – con una crescita di circa il 15% sull’anno precedente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Paolo Carnemolla, Presidente di FederBio, spiega: “Sempre più consumatori scelgono latte, uova e carne biologica, sinonimo di benessere per gli animali e per l’uomo. Allevare con metodo biologico significa offrire agli animali spazi appropriati in stalla o all’aperto, alimentazione fresca o secca  preparata con ingredienti bio. Nel rispetto della loro natura gli animali non vengono “spinti” alla produzione esagerata. Ma non solo: il bio non prevede l’impiego di antibiotici o di farmaci a effetto preventivo e questo ha un inevitabile beneficio per il consumatore. La scelta del bio comporta sì costi più elevati, ma con benefici estremamente palesi e importanti per il benessere dell’uomo. L’auspicio è che sempre più consumatori, consapevoli e sensibilizzati, scelgano il bio come garanzia di alimentazione sana”.

Solo molto tardi, l’Unione Europea ha iniziato a far analizzare gli intestini degli avicoli al macello provenienti dagli allevamenti intensivi, trovando percentuali di batteri resistenti agli antibiotici preoccupanti. Batteri che i consumatori si ritrovano nel piatto perché le linee di macellazione non proteggono integralmente dalla contaminazione.

L’allevamento biologico, quindi, offre al consumatore la possibilità di prendersi cura di sé stesso, anche in vista dell’aumento di questi batteri, dovuto in parte proprio all’abuso che l’industria della carne fa dei medicinali all’interno degli allevamenti tradizionali.

Fonti:

http://www.feder.bio/comunicati-stampa.php?nid=1028

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/29/report-allarme-batteri-resistenti-agli-antibiotici-dagli-allevamenti-intensivi-arrivano-in-tavola/2778153/

Mille miliardi di nematodi per contenere la Popillia japonica

Un milione di euro per combattere la Popillia Japonica attraverso metodi biologici. È a quanto ammonta la cifra stanziata dalla regione Piemonte per il contenimento dell’insetto.

La Popillia japonica è un piccolo scarabeo di origine asiatica che si nutre di una grande varietà di specie vegetali erbacee, arbustive o arboree. Nell’estate 2015, a seguito del piano di monitoraggio e contenimento attuato dal Settore Fitosanitario, sono stati catturati circa 8 milioni di adulti.

Al fine di contenere quanto più possibile le popolazioni di Popillia, il Piemonte ha  deciso di rafforzare gli interventi diretti sia contro le larve sia contro gli adulti, sperimentando tecniche di lotta biologica e microbiologica, tra cui l’impiego di nematodi entomoparassiti.

Proprio alcuni giorni fa, il Piemonte ha concluso la prima fase di trattamenti finalizzati al contenimento del coleottero, durante i quali sono stati distribuiti sui prati permanenti dell’area interessata oltre millemiliardi di esemplari del nematode Heterorhabditis bacteriophora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli interventi, realizzati sul territorio dall’Istituto piante da legno e ambiente (Ipla), sotto la guida del Settore fitosanitario regionale, si sono resi obbligatori a seguito di un decreto di lotta ministeriale. Il trattamento ha interessato circa 440 ettari di territorio, concentrati nei comuni della provincia di Novara, in particolare Bellinzago Novarese, Oleggio e Pombia.

Altri comuni in cui è stata rinvenuta la presenza della Popillia nel 2015 sono Cameri, Galliate, Marano Ticino, Mezzomerico, tutti territori che si trovano all’interno dell’area del Parco naturale del Ticino. Ed è proprio per salvaguardare la biodiversità che si è scelto di trattare l’insetto con metodi biologici.

Terminata questa prima fase di contenimento, durante i mesi estivi, ne inizierà un’altra a carico delle larve  della Popillia.

A breve sarà avviata la campagna di cattura massale degli adulti, verranno intensificati i monitoraggi in campo sulla capacità e velocità di espansione dell’insetto e saranno controllati tutti i siti a rischio.

Fonti:

http://agronotizie.imagelinenetwork.com/difesa-e-diserbo/2016/05/30/piemonte-mille-miliardi-di-nematodi-contro-la-popillia-japonica/49010

http://www.regione.piemonte.it/agri/area_tecnico_scientifica/sviluppo_agricolo/dwd/2015/aiuto/cobipo.pdf

La certificazione agroalimentare aiuta le imprese del settore

certificazione agroalimentare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Certificazione agroalimentare : finalmente possiamo parlare di notizie positive che possono farci guardare con ottimismo al futuro. Le imprese certificate della filiera agroalimentare italiana durante gli anni della crisi hanno incrementato la quota di fatturato per l’export del +9%, passando dal 27% nel 2007 al 36% nel 2014 e quella imputabile direttamente ai prodotti certificati al 70%, superando l’80% per circa metà delle imprese in possesso di certificazione Bio, o DOP e IGP. E’ quanto emerge da una serie di studi realizzati dall’Osservatorio “Certificazione e qualità nella filiera dell’agroalimentare“, realizzato da Accredia in collaborazione con il Censis. Il 41,6% delle imprese certificate prevede un fatturato in crescita nel prossimo triennio, mentre per l’84% la certificazione posseduta ha permesso di migliorare la reputazione aziendale e valorizzare il prodotto, per l’80% ha consentito di aumentare la sicurezza e i controlli, per il 62% di relazionarsi meglio con i clienti e per il 58% di incrementare il fatturato.

Il concetto di “certificazione accreditata” è ormai radicato, con l’adozione da parte di un numero crescente di organizzazioni pubbliche e private degli strumenti di valutazione della conformità: certificazioni, ispezioni, prove e tarature, che vengono assicurate al mercato da organismi e laboratori “accreditati”. Il controllo sull’attività di tali operatori è garantito in ogni Paese europeo dalla competenza degli enti di accreditamento, cui organismi e laboratori accedono sulla base della scelta volontaria di conformarsi alle norme tecniche (es. ISO), ovvero della determinazione obbligatoria di leggi nazionali e sovranazionali, come nel caso di regolamenti e direttive europee.

Inoltre l’altro studio Accredia-Censis “La certificazione come strumento di semplificazione amministrativa“, le imprese ispezionate sono passate da oltre 30mila nel 2009 a poco più di 220mila nel 2014 e i controlli sulla sicurezza sul lavoro da parte del ministero del Welfare, dell’INSP, dell’INAIL e dei nuclei speciali dei Carabinieri, nel periodo 2009-2014 si sono ridotti del 27% e il numero degli ispettori preposti è diminuito dell’11%: la spending review e l’indebolimento delle competenze tecniche hanno reso sempre più difficile per le pubbliche amministrazioni svolgere un’efficiente azione preventiva di controllo. In questo senso, la certificazione volontaria sopperisce almeno in parte a questo deficit.