Suolo e Salute

Autore: admin

Il Polo Nord diventa sempre più verde

Pini e abeti al Polo Nord? Non è fantascienza, ma la realtà prossima ventura. A sostenerlo, tra gli altri, l’ultimo studio coordinato dal Museum of Natural History di New York, apparso su Nature Climate Change, secondo il quale è da prevedersi una massiccia diffusione di alberi nella regione artica da qui al 2050. Lo studio giunge ad appena un paio di settimane dopo la pubblicazione, sulla stessa rivista, dei rilievi sulle temperature dell’ultimo trentennio e dei dati Nasa ottenuti dai satelliti che mostrano evidentemente il ritiro sempre più rapido dei ghiacci e l’ennesima evidenza del drammatico cambiamento climatico in atto. Per Ranga Myneni, ricercatrice presso l’Università di Boston, “il ghiaccio artico si sta assottigliando, la sua estensione si sta riducendo e le piante crescono di più”. Di fatto, se negli anni ’80 si poteva trovare vegetazione fino a 64° di latitudine nord, oggi è possibile farlo già a 57°. Fino ad ora, già nove milioni di chilometri quadrati hanno perso la loro tipica copertura bianca, con il risultato di riflettere molto meno la luce solare e, in un circolo vizioso, contribuire ulteriormente al global warming. Secondo gli esperti, da qui a 35 anni i boschi nella regione artica saranno più estesi del 50% rispetto ad oggi. “In aree prima coperte dalla tundra, oggi vediamo arbusti sempre più alti”, ribadisce Pieter Beck, co-autore dello studio. E non è certo un caso che il governo della Groenlandia abbia istituito una commissione apposita per studiarein che modo il cambiamento climatico possa aiutare gli agricoltori locali. E già spuntano le prime fragole made in Greenland…

Fonte: Repubblica

Suolo e Salute interviene ad un convegno sul bio a Saragozza

La Cátedra Bantierra-Ruralia dell’Università degli Studi di Saragozza organizza un convegno dal titolo “Alimenti biologici: un futuro promettente”, in programma l’11 aprile prossimo. L’evento, che vede tra i partner Sloow Food Saragozza e Comite Aragones de Agricultura Ecologica, si pone l’obiettivo di conoscere i sistemi e gli organismi di certificazione nell’Unione europea, in particolare nei tre principali mercati di prodotti biologici spagnoli: Germania, Francia e Italia. Con lo scopo di aumentare la fiducia nella qualità della produzione, distribuzione e consumo degli alimenti biologici e con l’obiettivo di indagare le possibilità del biologico nel contesto della crisi socio-economica e alimentare attuale. Tra gli interventi in programma, relazionerà Alessandro D’Elia, Direttore Marketing, Sviluppo e Rapporti Istituzionali di Suolo e Salute che parlerà in particolare della realtà italiana. Aprirà il convegno Manuel José López Pérez, Rettore dell’Università di Saragozza. Oltre a Suolo e Salute, parteciperanno all’incontro BCS-Oko, Ecocert Francia e e il Comité Aragonés de Agricultura Ecológica.

Fonte: Suolo e Salute

A Vinitaly un convegno FederBio sul vino bio

Nell’ambito del 47° Vinitaly, il Salone Internazionale del vino e dei distillati in programma a Verona dal 7 al 10 aprile prossimi, è in programma un incontro dedicato al vino biologico e agli aspetti normativi, di mercato e comunicazione che lo riguardano. Il convegno, organizzato da FederBio, dal titolo “Il vino biologico e gli “altri-Norme tecniche, mercato e comunicazione trasparente al consumatore”, è previsto per lunedì 08 aprile 2013 dalle ore 15.00 presso il Centro Congressi Arena-Sala Puccini. L’incontro mette al centro le novità introdotte dal regolamento UE n. 203/2012, che ha ufficializzato la categoria del vino biologico. A un anno dall’entrata in vigore del regolamento, nel corso della giornata si discuteranno i primi cambiamenti ottenuti dalla normativa, mettendo a confronto cantine biologiche, tecnici e l’organizzazione interprofessionale di rappresentanza del settore.

L’iniziativa di FederBio sarà anche l’occasione per discutere del fenomeno delle nuove denominazioni “di fantasia” (come ad esempio vino “naturale”, vino “libero”, ecc.), adottata da alcuni operatori del settore come strategia di posizionamento intermedio tra i vini a denominazione di origine protetta e quelli biologici. Il primo intervento sarà quello di Roberto Pinton, Segretario ASSOBIO, dal titolo “Lo stato dell’arte della normativa, fra biologico, “naturale” e “libero”. A seguire il Prof.Roberto Zironi dell’Università di Udine interverrà sulle prospettive per il vino biologico fra regolamento europeo e disciplinari privati.

Dopo che Silvano Brescianini, dell’azienda Barone Pizzini, parlerà dell’esperienza e del punto di vista di un’azienda vitivinicola, sarà la volta del Presidente FederBio Paolo Carnemolla, che relazionerà sul ruolo di FederBio per il sostegno e la promozione del vino biologico. A seguire il dibattito moderato da Lorenzo Tosi, giornalista del Gruppo Sole 24 Ore.

Fonte: FederBio

L’acqua “che mangiamo”

Quanta acqua consumiamo annualmente? Secondo le ultime stime, ogni italiano utilizza mediamente 152 metri cubi d’acqua l’anno. Ma si tratta solamente dell’acqua utilizzata per bere, cucinare, lavare e lavarsi. Se volessimo contare anche l’acqua che serve per produrre gli alimenti che mangiamo quotidianamente, il conto sarebbe ben diverso. E’ quella che Marta Antonelli e Francesca Greco hanno definito “L’acqua che mangiamo”, dal titolo del volume appena pubblicato per le Edizioni Ambiente. Si parla sempre dell’acqua in bottiglia, o per uso domestico, ma la verità è – dice una delle autrici – che se oggi parliamo di scarsità idrica, ci riferiamo alla scarsità d’acqua riguardo al cibo. Quindi dell’acqua che mangiamo”. “L’uso alimentare corrisponde a un 90% – precisa  -, non è un numero di poco conto”. Al tema abbiamo dedicato uno spazio specifico sul nostro sito, anche in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Acqua. E proprio a questo argomento è dedicata una parte significativa dell’Agenda 2013 di Suolo e Salute. Se si considera che il comparto agricolo è responsabile da solo di oltre il 70% del consumo idrico mondiale, è facile capire quanto sia importante misurare l’acqua consumata per la produzione degli alimenti che finiscono sulla nostra tavola. .“Il mondo ha sete perché ha fame”, non a caso, è lo slogan che la FAO ha coniato per la Giornata Mondiale dell’Acqua 2013. Qualche dato: un chilo di pasta prodotta in Italia richiede quasi 2.000 litri d’acqua. Una pizza di 725 grammi “beve” 1.216 litri d’acqua.

 “Coltivare grano in un paese dal clima umido, cioè con un’agricoltura pluviale, è la soluzione meno impattante. Mentre l’acqua blu [acque superficiali e sotterranee destinate ad un utilizzo per scopi agricoli, domestici e industriali, NdR] se prelevata in condizione di scarsità impatta l’ambiente”, afferma Marta Antonelli. “In più in Italia i prelievi di acqua sono tra i più alti del mondo, l’efficienza di uso tra le più basse. L’agricoltura italiana, in particolare, impiega una quantità di acqua enorme, e quanta più ne usa, tanto meno efficiente appare essere il suo modello gestionale. Con gli accorgimenti adeguati, i prelievi idrici potrebbero essere di molto ridotti”. Le soluzioni non sono semplici, ma qualcosa si può e si deve fare: “Il prezzo è un segnale, potrebbe essere un accorgimento e un limite allo spreco, ma l’acqua fossile non ha un prezzo, non è preso in considerazione”. Un’alternativa potrebbe essere costituita da un”etichetta idrica”, in cui informare il consumatore della quantità d’acqua utilizzata per produrre quello specifico alimento. Perché se è vero, come è vero, che la popolazione mondiale è destinata a crescere ulteriormente, aumentando notevolmente la richiesta di cibo, comprendere la sostenibilità (idrica, ma più in generale ambientale) della nostra dieta è assolutamente fondamentale. Questo libro è un primo, utile strumento per acquistate consapevolezza delle proprie azioni. Da sempre, l’unica maniera per affrontare e risolvere i problemi.

Fonte: Greenews

In Francia una proposta di legge contro l’obsolescenza programmata

“Ripararlo? Guardi, le conviene comprarne uno nuovo”. Quante volte ci siamo sentiti ripetere una frase del genere, nel caso di un elettrodomestico rotto o di un pezzo di ricambio da sostituire. Il meccanismo risponde ad una precisa strategia di mercato, conosciuta come “obsolescenza programmata”. In sostanza, i produttori di un bene di consumo (specialmente meccanico o informatico) utilizzano specifiche tecniche di costruzione mirate a ridurre la durata del bene, o a rendere difficoltosa quando non impossibile la sostituzione di un componente, con l’obiettivo ultimo di aumentare la frequenza di sostituzione del bene stesso. Oltre all’evidente costo sul consumatore finale, questo meccanismo di produzione ha elevatissimi costi ambientali, dato che ogni nuovo bene necessita di nuove risorse e nuova energia per produrlo. Oltre che di ingenti costi di smaltimento di ciò che, con tanta rapidità, diventa un rifiuto. Il tutto in evidente contrasto con i progressi della tecnica: è esperienza comune che “il frigo della nonna” generalmente durasse lustri quando non decenni, mentre oggi molto spesso dopo pochi anni l’ultimo ritrovato della tecnologia, acquistato di recente, sembra irrimediabilmente inutilizzabile. Per far fronte a questa stortura dei meccanismi di mercato, in Francia le associazioni ambientaliste e quelle dei consumatori si sono alleate con o scopo di ottenere una legge che punisca tutto questo. Il disegno di legge attualmente in discussione in Parlamento, che potrebbe essere approvato prima dell’estate, propone di prorogare a tre anni la garanzia per i beni commercializzati entro il 2014, a quattro per quelli immessi nel mercato nel 2015 e a cinque anni nel 2016, contro i due attualmente in vigore . In origine, l’idea era quella di estendere il limite a dieci anni ma, come ha confermato Jean-Vincent Place, uno degli autori del disegno di legge, si è giunti ad un compromesso. «La maggior parte dei prodotti sono affidabili per almeno cinque anni, i produttori non dovrebbero essere particolarmente colpiti da questa misura. L’estensione di tale garanzia può anche essere un vantaggio competitivo», sostengono i senatori ambientalisti promotori della proposta. «Guardate la casa automobilistica Kia, che ha fatto dei suoi sette anni di garanzia un efficace argomento di marketing. E non è un caso che questo marchio stia facendo bene sul mercato oggi», aggiunge lo stesso Place. Il testo in discussione prevede inoltre l’ obbligo di  fornitura di ricambi da parte delle aziende produttrici per almeno dieci anni e la disponibilità delle istruzioni di riparazione.

E se un giorno anche in Italia si arriverà ad una normativa del genere, dovremo ringraziare anche i “cugini” francesi che per primi hanno sollevato il problema e cercato una soluzione.

Fonte: Greenreport

Un reattore ad alghe per ridurre la CO2

Forse arriverà dalle alghe una soluzione efficace per contrastare i cambiamenti climatici. Questo almeno quanto intende verificare il progetto europeo Algadisk, finanziato dalla Commissione europea attraverso il Settimo programma quadro (7° PQ) nell’ambito dello schema “Ricerca a beneficio delle associazioni di Piccole e medie imprese” gestito dall’Agenzia esecutiva per la ricerca (Rea). Tre associazioni, quattro piccole e medie imprese e quattro enti di ricerca di Belgio, Gran Bretagna, Olanda, Slovenia, Spagna, Turchia e Ungheria collaboreranno per ottenere il meglio dalle alghe, ovverosia produzione di biocarburante da un lato e cattura industriale della CO2 dall’altro.Questi microrganismi fotosintetici sono infatti in grado di trasformare l’anidride carbonica in lipidi ricchi di carbonio (a cui mancano solo una o due fasi per diventare biodiesel), con un’efficienza superiore di molto quella delle colture oleaginose e senza perdita di terreni coltivabili. Non è la prima volta che si studiano le alghe come utile strumento di riduzione dei gas climalteranti, ma fino ad ora non è stata trovata la formula adatta, economicamente sostenibile. Sia per problemi di bassa produttività, che di installazione, che di estensione delle aree da destinare agli impianti che, in ultimo, di cuonsumo idrico e specializzazione elevata del personale. A differenza dei sistemi precedenti, basati sull’uso di alghe planctoniche poste in “bireattori” verticali o su vere e proprie “fattorie di alghe” che sfruttano grandi bacini d’acqua, Algadisk usa, come suggerisce il nome, un reattore simile ad un disco rotante e la tecnologia del biofilm. Con il risultato di rendere più efficiente la cattura della CO2 e diminuire sensibilmente l’utilizzo di acqua. L’obiettivo è quello di arrivare a definire un sistema in grado di offrire installazioni anche su piccola scala e che occupi pochissimo spazio, per soddisfare le necessità delle Pmi. Se tutto andrà a buon fine, il reattore Alagadisk sarà pronto, testato e verificato, già entro l’estate del 2014.

Fonte: Greenreport