Suolo e Salute

Autore: admin

La causa delle piogge intense di questo periodo? Va ricercata nell’Artico

A nessuno sarà sfuggita l’eccezionalità delle precipitazioni di questa periodo, in cui sembra che l’inverno non voglia arrendersi all’arrivo della primavera. Ebbene, secondo quanto rivelato dalla Nasa, la responsabilità di quanto sta succedendo andrebbe ricercata molto lontano da qui, e precisamente nell’Artico. Il fenomeno è identificato da una sigla, Ao, acronimo per “Arctic Oscillation”, espresso da un indice (l’A.o. index, appunto) che ci restituisce la differenza di pressione tra l’Artico e le medie latitudini. Grazie ad un importante cambiamento dei sistemi di pressione dell’aria  dell’Artico, a fronte di un incremento di aria calda in Groenlandia e nel   nordest del Canada, si è assistito infatti ad un abbassamento insolito delle temperature nel Nord  America, in Europa e nell’Asia settentrionale, con piogge record nel nostro Paese. “Quando l’indice Ao è nella sua fase  “positiva” – spiegano alla NASA – “la  pressione dell’aria sopra l’Artico è bassa, la pressione sulle medie latitudini è alta, ed i venti  prevalenti confinano l’aria estremamente fredda nell’Artico. Ma quando l’Ao è nella sua fase  “negativa”, il gradiente di pressione si indebolisce. La pressione sopra l’Artico non è così bassa e la  pressione alle medie latitudini non è così elevata. In questa fase negativa l’Ao permette all’aria  artica di fluire verso sud e all’aria calda di spostarsi verso nord”.

Per queste ragioni, molte aree dell’emisfero settentrionale hanno fatto registrare temperature fredde record proprio in corrispondenza con la ddrastica diminuzione dell’Ao. Oltre all’Italia, in Inghilterra quello appena trascorso è stato il quarto marzo più freddo dal 1962, per la Germania il più freddo dal 1883 e per Mosca il più rigido dal 1950.

Fonte: Greenreport

 

Il riscaldamento asimmetrico degli emisferi terrestri e le conseguenze sul clima mondiale

“Stiamo producendo grandi cambiamenti climatici nel pianeta e aspettarsi che i modelli della pioggia sarebbero rimasti gli stessi è molto ingenuo”. Così si è espresso Dargan MW Frierson, autore insieme ad altri tre colleghi di un nuovo studio riguardante le conseguenze dell’azione umana sul clima. Il lavoro di ricerca, dal titolo “Interhemispheric temperature asymmetry over the 20th century and in future projections”, è stato realizzato dai climatologi di due importanti atenei americani, l’Università di California (Uc) Berkeley e quella di Washington, Seattle, e pone l’attenzione in particolare sui cambiamenti nel regime delle precipitazioni nelle diverse parti del pianeta.

Secondo le parole di uno dei ricercatori, “una conseguenza spesso ignorata del cambiamento climatico globale è che l’emisfero settentrionale è sempre più caldo dell’emisfero meridionale, il che potrebbe alterare in modo significativo le precipitazioni tropicali”. Le conseguenze potenziali rischiano di avere effetti molto importanti su scala regionale, modificando l’incidenza delle precipitazioni in maniera sostanziale. Di questo avviso è senz’altro John Chiang, a capo del team di ricercatori, secondo il quale “una scoperta fondamentale è la tendenza a spostare la pioggia tropicale verso nord, il che potrebbe significare aumenti dei sistemi meteorologici monsoniche in Asia o spostamenti della stagione umida da sud a nord in Africa e Sud America». Il motivo è tanto semplice quanto preoccupante per le implicazioni”Alle piogge tropicali piace l’emisfero più caldo. Come risultato, la pioggia tropicale interessa molto la differenza di temperatura tra i due emisferi”. Pertanto, le modifiche al riscaldamento nelle diverse aree del pianeta potrebbero portare a radicali cambiamenti in zone tradizionalmente secche, trasformandole in umide, e viceversa.

Questo in particolare nel caso di un surriscaldamento dell’emisfero nord, che a detta dei climatologi rischia seriamente di portare ad un un “atmospheric overturning”  che sposta le precipitazioni verso nord.

“Le regioni più colpite da questo cambiamento sono suscettibili di essere quelle più a nord della banda e nei bordi a sud. Sono davvero queste regioni di confine che saranno più colpite che, non a caso, sono alcuni dei luoghi più vulnerabili: zone come il Sahel, dove le precipitazioni sono variabili di anno in anno e le persone tendono ad essere dipendenti da un’agricoltura di sussistenza.  Stiamo producendo grandi cambiamenti climatici nel pianeta e aspettarsi che i modelli della pioggia sarebbero rimasti gli stessi è molto ingenuo – chiosa Frierson.

Per giungere alle conclusioni del loro studio, i ricercatori si sono basati su oltre 100 anni di dati atmosferici e su modelli di simulazione computerizzata, che hanno messo in evidenza in particolare gli effetti dei cambiamenti nelle temperature medie tra emisferi sul sistema Terra: “i bruschi cambiamenti coincidono con interruzioni delle precipitazioni  nei tropici equatoriali. Il fenomeno più evidente è stato un calo di circa un quarto grado Celsius nella differenza di temperatura alla fine degli anni ‘60, che ha coinciso con un periodo di siccità di 30 anni nel Sahel africano, che ha causato carestie ed aumento della desertificazione in tutto il Nord Africa, oltre alla diminuzioni dei monsoni nell’Asia orientale e in India”.

Risulta evidente quanto anche variazioni apparentemente modeste possano incidere pesantemente sui delicati equilibri climatici, come confermato da Chiang: “Se quello che vediamo nel secolo scorso è vero, anche piccoli cambiamenti nella differenza di temperatura tra il nord e il sud potrebbero causare dei cambiamenti misurabili nella pioggia tropicale. Questo è di cattivo auspicio per il futuro. Il team ha scoperto che la maggior parte dei computer models che simulano il clima passato e  futuro prevedono un costante aumento della differenza di temperatura interemisferica fino alla fine del secolo. Anche se gli esseri umani cominciano a ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra, i modelli prevedono circa un aumento di  1 grado Celsius (2° F) di questa differenza nel  2099”.

Una delle ragioni della differenza nel riscaldamento dei due emisferi risiede nella diversa percentuale di terre emerse presenti a nord rispetto a sud: le masse continentali infatti si riscaldano molto più rapidamente degli oceani, che in questo senso funzionano come “volani termici”. E queste differenze tra emisferi, ribadiscono i ricercatori, hanno “ un evidente impatto sulla circolazione atmosferica e le precipitazioni nei Tropici”.

A conferma di quanto sia complesso lo studio del clima, e di come l’uomo senza rendersene pienamente conto stia toccando “leve sensibilissime” di un sistema molto delicato da cui dipende, direttamente e indirettamente, la vita di milioni di individui.

Fonte: Greenreport

L’Italia chiede lo stop al mais OGM Mon810

Facendo seguito alla richiesta del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e al dossier predisposto dal Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (CRA) in merito al Mais OGM Mon810 della multinazionale Monsanto, il Ministero della salute ha chiesto alla Commissione Europea la sospensione d’urgenza dell’autorizzazione alla messa in coltura di sementi di Mais Mon810 nel nostro paese e nel resto dell’Unione europea. Commentando l’iniziativa del Ministro Balduzzi, il Ministro Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali  Mario Catania ha espresso grande soddisfazione, rimarcando la delicatezza del tema e l’importanza di tenere nella debita considerazione la forte contrarietà della stragrande maggioranza dei cittadini all’utilizzo di Organismi Geneticamente Modificati: “Quando parliamo della possibilità di coltivare Ogm in Italia, dobbiamo tenere ben presente – ha dichiarato Catania – che l’opinione pubblica, i consumatori e le stesse rappresentanze degli agricoltori hanno espresso una posizione negativa sulla questione. Abbiamo il dovere di essere particolarmente rigorosi, a tutela dei consumatori e degli agricoltori italiani”. “Prendo anche atto con grande soddisfazione – ha proseguito il Ministro – del mutato atteggiamento del Ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, sugli organismi geneticamente modificati. Questo ci consentirà – ha spiegato Catania – di proseguire con maggiore forza nella direzione che era stata già intrapresa, collaborando con tutte le istituzioni e le rappresentanze politiche e sociali, allo scopo di salvaguardare l’identità e la ricchezza che sono alla base del successo dell’agroalimentare italiano”.

Fonte: AIOL

Nuove conferme sulla tossicità dei pesticidi per le api

Nuovi studi arricchiscono le conoscenze riguardo gli effetti gravi dei neonicotinoidi sulle api e, più in generale, sugli insetti impollinatori. Gli ultimi due in ordine di tempo sono stati pubblicati da due riviste prestigiose come Nature Communications e The Journal of Experimental Biology. Il primo lavoro, intitolato “Cholinergic pesticides cause mushroom body neuronal inactivation in honeybee” è stato realizzato da un gruppo di ricerca della Division of neuroscience, medical research nstitute, Ninewells medical school dell’università di Dundee e del Centre for behaviour and evolution, Institute of neuroscience dell’università di Newcastle. Secondo il team, “i pesticidi che hanno come target la neurotrasmissione colinergica sono molto efficaci, ma il loro uso è coinvolto nel declino della popolazione di insetti impollinatori”. Grazie all’analisi di alcune cellule del cervello delle api si è potuto appurare che «i neonicotinoidi imidacloprid e clothianidin e l’acaricida organofosfatio Coumaphos oxon causano un blocco della depolarizzazione neuronale e inibiscono le risposte ai nicotinici. Questi effetti sono stati osservati a concentrazioni che si incontrano nelle api bottinatrici e all’interno dell’alveare e che si sommano con l’applicazione combinata».

“I nostri risultati – conclude la ricerca – dimostrano un meccanismo neuronale che può spiegare i deficit cognitivi causati dai neonicotinoidi, e prevedono che l’esposizione a molteplici pesticidi, che ha per target la segnalazione colinergica, provoca una maggiore tossicità negli impollinatori”.

Il secondo studio, intitolato “Exposure to multiple cholinergic pesticides impairs olfactory learning and memory in honeybees” condotto da Sally M. Williamson e Geraldine A. Wright dell’università di Newcastle, ha rivelato l’esposizione ad entrambi i pesticidi ha portato le api a non essere più n grado di ricordare gli odori floreali necessari per il sostentaemtno. “Gli impollinatori mentre cercano il cibo attuano comportamenti sofisticati che richiedono loro di imparare e ricordare le caratteristiche floreali associate al cibo, ma sappiamo relativamente poco sul modo in cui l’esposizione combinata ai pesticidi interessi maggiormente la funzione neurale e il comportamento». Secondo la ricerca «L’esposizione prolungata a concentrazioni realistiche sul campo di neonicotinoidi, imidacloprid, e dell’organofosfato inibitore dell’acetilcolinesterasi, coumaphos, e la loro combinazione ostacola l’apprendimento olfattivo e la formazione della memoria nelle api».

Le api esposte ad imidacloprid, coumaphos, o ad una combinazione di questi composti, risultavano meno reattive rispetto allo stimolo provocato da un odore associato alla ricompensa. “ I nostri risultati dimostrano che l’esposizione a dosi sub-letali di pesticidi colinergici combinati ostacola seriamente importanti comportamenti coinvolti nella ricerca di cibo, il che implica che il calo demografico degli impollinatori potrebbe essere il risultato di un fallimento della funzione neurale di api esposte ai pesticidi nei territori agricoli”.

Un effetto rinforzato dall’azione sinergica, come ribadito da uno degli autori del primo studio citato, Christopher Connolly, dell’università scozzese di  Dundee: “Abbiamo trovato che i  neonicotinoidi provocano un’immediata iper-attivazione,  quindi un’attività di tipo epilettico, questo viene preceduto da un’inattivazione neuronale, nella quale il cervello va in quiete e non possono comunicare più Gli stessi effetti si sono  verificati quando abbiamo usato gli organofosfati. E se li abbiamo usati insieme, l’effetto è stato additivo, aumentando così la tossicità: l’effetto era maggiore quando erano presenti entrambi”.

Fonte: Greenreport

Il Global warming? Colpisce soprattutto gli oceani

Ben il 90% del calore derivante dal surriscaldamento del pianeta interessa gli oceani della Terra. Solo nell’ultimo decennio, circa il 30% di questo riscaldamento è avvenuto a profondità maggiori di 700 metri, con effetti apparentemente meno evidenti per l’uomo ma assai più seri da un punto di vista degli equilibri climatici complessivi. “La natura elusiva del riscaldamento post-2004 della superficie degli oceani espone ad incertezze nel ruolo degli oceani nel bilancio energetico della Terra e sulla sensibilità transitoria del clima”: ad esprimersi così gli scienziati inglesi Magdalena Balmaseda ed Erland Källén, dell’European centre for medium range weather forecasts e lo statunitense Kevin Trenberth, del National center for Atmospheric research di Boulder, i tre ricercatori che hanno analizzato l’evoluzione del calore negli oceani della Terra negli ultimi 50 anni. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Geophysical Research Letters  in uno studio dal titolo “Distinctive climate signals in reanalysis of global ocean heat content” (Evidenti indicazioni climatiche nella re analisi del contenuto globale di calore negli oceani).

Lo studio mette a tacere tutti coloro i quali ritenevano che, negli ultimi dieci-quindici anni il riscaldamento globale avesse rallentato o si fosse arrestato. In realtà lo studio dimostra che il calore continuava (e continua) ad essere accumulato nelle profondità marine, cosa che, come spiega Trenberth «significa un riscaldamento meno breve termine in superficie, ma a spese di una maggiore riscaldamento successivo a lungo termine e di un più rapido innalzamento del livello del mare».

Fonte: Greenreport

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PAC: al via i triloghi

Al via dall’11 aprile prossimo le trattative per la PAC 2014-2020., che continueranno fino al 20 giugno in tempo per concludere l’iter entro la conclusione della presidenza irlandese, in concomitanza con l’ultimo consiglio dei ministri agricoli in programma il 24 e 25 giugno prossimi. “Quella del Trilogo – ha dichiarato il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Mario Catania – è certamente una fase delicata ma siamo sereni perché, a parte l’esclusione di alcune produzioni dagli aiuti accoppiati sui quali lavoreremo, il compromesso raggiunto costituisce un buon risultato negoziale. Dobbiamo solo vigilare per evitare che ci siano passi indietro e quindi lavorare per una rapida ed efficace applicazione della riforma in ambito nazionale operando in maniera equilibrata tutte quelle scelte che la riforma delega agli Stati membri come la scelta dei prodotti ai quali destinare gli aiuti accoppiati, la definizione delle caratteristiche dell’agricoltore attivo e la programmazione dei Psr”.

Fonte: Agrapress