Suolo e Salute

Autore: admin

Project Scale, un’iniziativa globale per contrastare la pesca illegale

Si chiama Project Scale l’iniziativa presentata dall’Interpol in occasione della prima Conferenza internazionale sull’applicazione della normativa sulla pesca, tenutasi presso il Segretariato Generale dell’Interpol a Lione, in Francia.

Il Progetto SCALE è una naturale estensione degli sforzi dell’Interpol per la salvaguardia delle specie e degli habitat attraverso l’effettiva applicazione delle normative”, ha dichiarato David Higgins, responsabile del Programma di criminalità ambientale dell’Interpol. “Con la rete dell’Interpol, le competenze e il supporto all’applicazione delle normative portato avanti dalla intelligence, contribuiremo ad uno sforzo coordinato globale più mirato alla lotta alla criminalità organizzata e transnazionale nella pesca. Il nostro obiettivo è creare un’attenzione globale su queste attività criminali, e a tal fine siamo impegnati ad assistere i nostri paesi membri e partner nei loro sforzi tesi a combattere le reti criminali che sfruttano le risorse marine naturali.”

Una piaga che costa annualmente oltre 23 miliardi di dollari all’economia mondiale, con danni molto gravi sia alle comunità costiere che ai pescatori e, soprattutto, all’ambiente marino. E il nostro paese purtroppo rientra nella poco edificante lista dei 10 paesi al mondo nei quali la pesca illegale è stata praticata nel biennio 2011-2012 senza l’adozione di adeguate misure di contrasto del fenomeno. A renderlo noto il NOAA (United States National Oceanographic and Atmospheric Administration) in una relazione di inizio anno realizzata su mandato del Congresso americano. Una situazione che potrebbe condurre gli Stati Uniti a negare l’ingresso nei propri porti alle navi da pesca di quel paese e a vietare l’importazione di alcuni prodotti ittici. Resta la consolazione che il nostro paese, sempre secondo il NOAA, ha cercato di adottare misure importanti per contrastare il fenomeno della pesca illegale, anche tramite l’adozione di specifici provvedimenti normativi, che tuttavia non ci hanno impedito di essere segnalati anche per i 2012 nella lista dei paesi sotto osservazione.

Fonte: Greenews

Fondi PAC, l’Italia deve a Bruxelles oltre 60 milioni di euro

Secondo quanto si apprende da un comunicato della Commissione Europea riguardante la procedura di liquidazione dei conti, ammonta a oltre 60 milioni di euro la cifra complessiva di fondi PAC che l’Italia deve restituire a Bruxelles in conseguenza di spese effettuate  indebitamente nel corso degli ultimi anni. Il nostro paese è debitore di 48,3 milioni di euro in conseguenza di infrazioni alla condizionalità, controllo insufficiente di vari criteri di gestione obbligatori, mancata definizione di tre buone condizioni agronomiche e ambientali e inadeguata applicazione di sanzioni. Altri 17,9 milioni di euro sono invece dovuti alla presenza di gravi lacune nel sistema di controllo e frodi nel settore della trasformazione degli agrumi. Complessivamente ventidue stati membri dell’Unione devono restituire alla Commissione Europea la cifra di 414 milioni di euro, che diventano effettivamente 393 in conseguenza del fatto che già una parte è stata recuperata nei mesi scorsi.

Fonte: Agrapress

La ruggine del caffè mette in ginocchio le coltivazioni del Centro e Sud America

Il nome scientifico, Hemileia vastatrix, (“devastatrice”, letteralmente) suona già piuttosto sinistro. E i suoi effetti non sono da meno. Stiamo parlando della cosiddetta “ruggine del caffè”, un fungo parassita che colpisce molte piante del genere Coffea e che sta letteralmente flagellando le coltivazioni di caffè centro e sud americane. La storia è veramente emblematica di quanto l’avventatezza, l’imprudenza e l’arroganza dell’uomo possano essere dannose. Originaria probabilmente dell’Africa Orientale, è conosciuta dal lontano 1861,quando è stata segnalata per la prima volta nelle vicinanze del Lago Vittoria, in Tanzania. In breve tempo, utilizzando il trasporto e il commercio umani come vettori involontari, si è diffusa dapprima in Asia (a partire dallo Sri Lanka, dove approdò nel 1867), quindi in tutta l’Asia e nell’Africa centro-meridionale. Nelle Americhe in suo arrivo è relativamente recente, e la prima segnalazione,in Brasile, risale al 1970. Ma il fungo non ha perso tempo, grazie alla trasmissione aerea delle spore, che rendono virtualmente impossibile impedirne l’espansione. Oggi l’infezione interessa tutti i paesi coltivatori di caffè, ma fino a tempi recenti questo parassita sembrava relativamente sotto controllo. E’ da qualche mese invece che una nuova, terribile epidemia sta letteralmente mettendo in ginocchio la produzione dell’America Latina, responsabile di circa il 14% dell’intera produzione mondiale. E le cause sembrano palesemente di origine umana. Per secoli infatti il caffè è stato coltivato all’ombra degli alberi, dove gli arbusti crescevano rigogliosi in perfetto equilibrio con l’ecosistema: insetti, uccelli, altre specie di funghi benefici, in grado di contrastare l’azione dell’Hemileia. Ma l’intervento dell’uomo ha portato al trasferimento delle colture in aree direttamente esposte al sole, ritenute più produttive. Il risultato è stato l’alterazione profonda dell’ecosistema in cui la pianta aveva trovato il proprio equilibrio, eliminando di fatto tutti quegli alleati preziosi in grado di mantenere le coltivazioni in salute. L’azione sinergica dei mutamenti climatici e dell’impoverimento dei suoli ha dato il colpo di grazia. Queste almeno le conclusioni cui è giunto  John Vandermeer, ricercatore dell’Università del Michigan, che da 15 anni lavora a stretto contatto con gli agricoltori di Chiapas e Centro America. Sulla vicenda, Vandermeer è perentorio: la ragione del disastro è da ricercarsi nell’” aver trattato il caffè come se fosse mais, per massimizzare i raccolti”.

La situazione è decisamente allarmante: circa il 10% delle piante è morto, il 30% ha perso tutte le foglie e il 60% ne ha perdute almeno l’80%. Lo studioso non nasconde le proprie preoccupazioni, puntando l’indice contro la gestione avventata della coltivazioni: “Il delicato equilibrio che sostiene le piantagioni si è lentamente alterato fino ad arrivare a un punto di rottura, nel quale la ruggine del caffè ha preso il sopravvento. Può darsi che la roya (così viene anche chiamata dagli agricoltori) si autolimiti e che, dopo l’esplosione di quest’anno, torni a livelli normali, ma può anche accadere che resti una piaga endemica di questa regione, con gravissime conseguenze per i coltivatori, almeno fino a quando non sarà invertita la tendenza a privilegiare le coltivazioni al sole”. Un esempio evidente dell’importanza, spesso sottovalutata, di un’agricoltura in equilibrio con l’ambiente, le risorse naturali, e le specifiche esigenze biologiche delle specie coltivate.

Fonte: il Fatto Alimentare

La quinoa, una risorsa contro la fame nel mondo

Si è tenuta il 21 febbraio scorso la cerimonia ufficiale dedicata al lancio dell’Anno Internazionale della Quinoa, svoltasi presso la sede Onu di New York. Un evento cui hanno preso parte tra gli altri il Direttore Generale della Fao,  José Graziano da Silva, insieme al Segretario Generale Onu Ban Ki-moon, il Presidente boliviano Evo Morales e la First Lady del Perù, Nadine Heredia Alarcón de Humala.

“Oggi siamo qui per arruolare un nuovo alleato nella lotta contro fame ed insicurezza alimentare – la quinoa”, ha dichiarato da Silva, elogiando le caratteristiche di questa pianta e le sue caratteristiche nutrizionali.

Si tratta infatti di una specie in grado di adattarsi a climi e ambienti molto diversi e che ha la prerogativa di contenere all’interno dei propri tessuti tutti gli amminoacidi essenziali, i micronutrienti e le vitamine più importanti per l’alimentazione umana, offrendo un’alternativa credibile e fondamentale per moltissimi paesi afflitti da endemiche carestie alimentari.  La quinoa ha la capacità quasi esclusiva nel regno vegetale di poter crescere dal livello del mare fino ad oltre 4.000 metri di altezza, sopportando temperature variabili dai -8 °C fino ai 38°C. Una plasticità ecologica straordinaria, in grado di fornire una risposta concreta anche alle nuove sfide imposte dal cambiamento climatico e alle crescenti richieste alimentari di una popolazione mondiale in costante crescita.

“Questo straordinario cereale è stato un punto di riferimento culturale e un alimento base nella dieta di milioni di persone in tutte le Ande per migliaia di anni”, ha detto il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon- “Adesso è venuto il momento di dare alla quinoa il riconoscimento mondiale che si merita”. “Questa coltura può essere decisiva nel far incrementare i redditi – un elemento chiave della Sfida Fame Zero”, ha aggiunto Ban Ki-Moon.

La quinoa, una pianta  appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae (la stessa di spinaci e barbabietole), pur non essendo un cereale ha un utilizzo per molti versi simile, ragion per cui è considerata uno pseudo cereale, ovvero una pianta dalla quale è possibile ricavare farina. Per secoli è stata una fondamentale risorsa di cibo per le civiltà pre-colombiane, insieme alle patate. La quinoa infatti può essere macinata per ottenere un pane di quinoa, cucinata, utilizzata come un cereale, come pasta o per fare la birra o la chica, bevanda tradizionale delle Ande. Oggi, oltre che in Bolivia, Perù, Ecuador, Cile, Colombia ed Argentina, è coltivata anche negli Stati Uniti, in Canada, in Francia, nel Regno Unito, in Svezia, in Danimarca, in Italia, in Kenya ed in India.  “La quinoa è un dono ancestrale delle popolazioni andine”, ha affermato il Presidente boliviano Evo Morales, ricordando il ruolo delle popolazioni indigene nel custodire questa coltivazione per oltre 7000 anni..

“L’Anno Internazionale della quinoa servirà non solo a stimolare lo sviluppo di questa coltivazione in tutto il mondo, ma anche a riconoscere che le sfide del mondo moderno possono essere affrontate facendo ricorso al sapere dei nostri antenati e dei piccoli coltivatori che attualmente ne sono i principali produttori”, ha dichiarato Graziano da Silva. La cerimonia di New York dà il via ad un anno nel corso del quale la Fao intende dare forte impulso al miglioramento condizioni di vita di migliaia di piccoli contadini e consumatori dei paesi più poveri del mondo.

Fonte: Utagri-Enea

“Fa la cosa giusta”, a metà marzo l’edizione del decennale

Appuntamento dal 15 al 17 marzo a Milano per l’edizione 2013 di “Fa la cosa giusta”, la fiera dedicata al consumo critico e agli stili di vita sostenibili che proprio quest’anno festeggia il decennale. La kermesse, ospitata all’interno dei padiglioni di Fieramilanocity, sarà l’occasione per conoscere molti prodotti innovativi realizzati nel nome del riciclo, della sostenibilità e dell’ecodesign. Un’iniziativa premiata da un’affluenza record di visitatori che, nel corso dell’edizione 2012, hanno superato quota 67mila, con oltre 700 espositori e 2000 studenti provenienti da tutta Italia. Novità dell’edizione del decennale “Made in Mage”, una “factory” per giovani stilisti e designer all’insegna del recupero e del riuso. Nei tre giorni della fiera si succederanno laboratori creativi, workshop  e incontri all’insegna della sostenibilità.

Fonte: Greenplanet

Biologico si, ma al discount!

Un’interessante analisi della Confederazione italiana agricoltori basata sull’ultimo rapporto Ismea indaga il cambiamento nei comportamenti di acquisto degli italiani nello specifico caso del biologico. Secondo i dati del report, i nostri concittadini non vogliono rinunciare ad acquistare prodotti bio ma, per fronteggiare la crisi, lo fanno sempre più frequentemente presso i discount. A rivelarlo i dati relativi alla spesa bio nel corso del 2012, nel corso del quale gli acquisti di prodotti biologici hanno subito un’impennata presso i discount (+25,5% rispetto al 2011), a fronte di un incremento assai più contenuto nei super e negli ipermercati (+5,5%).

Secondo l’analisi della Cia, in cima alle preferenze d’acquisto biscotti, dolciumi e snack (+22,9%) e bevande analcoliche (+16,5%). Buoni risultati di vendita anche per pasta, riso e sostituti del pane (+8,9%), frutta e ortaggi (+7,8%) e  lattiero-caseari (+4,5%), a differenza delle uova che, pur restando il prodotto bio più venduto in assoluto (circa il 13% sul totale del confezionato) hanno patito una riduzione dell’1,9% rispetto al 2011. In crescita anche il consumo di carne proveniente da allevamenti biologici, cresciuta del 4,8% nel corso del 2012.

Fonte: Cia – Blog Biologico