Suolo e Salute

Autore: admin

“Mettiamo la sicura al nostro vino”: al via la campagna FederBio a tutela del vino biologico

“Noi, produttori di vino biologico, siamo sicuri di garantirti un prodotto unico e autentico. La nostra (e la tua) sicurezza si fonda sulla certificazione che impone al vino biologico di essere libero, naturale, privo di fertilizzanti, diserbanti, fungicidi e insetticidi chimici di sintesi. Solo quello certificato, infatti, è il vero vino biologico”. Con queste parole FederBio ha lanciato nei giorni scorsi la propria campagna di comunicazione a tutela del vino biologico dopo le recenti polemiche riguardo i cosiddetti vini “liberi” e “naturali”. La campagna, promossa in collaborazione con numerosi produttori, cantine e organismi di certificazione, intende rimarcare l’importanza della certificazione nel vino bio, principale strumento di garanzia e tutela per il consumatore e di salvaguardia per l’ambiente. Solo un vino effettivamente biologico, infatti, è caratterizzato dall’assenza di fertilizzanti, diserbanti, fungicidi e insetticidi chimici di sintesi, nel rispetto da quanto previsto e specificamente codificato dalla normativa europea in materia. Inoltre, come ogni prodotto biologico, anche il vino sottosta a verifiche, analisi ed ispezioni che consentono di conseguire un riconoscimento che lo rende effettivamente “libero” e “naturale”. E solo questo iter consente effettivamente, come recita il claim della campagna, di “mettere la sicura al vino”, grazie alla certificazione bio.

Fonte: FederBio

 

Assosementi: forti preoccupazioni per il vuoto normativo riguardo la certificazione delle sementi

Toni preoccupati quelli espressi da Paolo Marchesini, presidente di Assosementi, l’associazione che riunisce e rappresenta a livello nazionale l’industria sementiera. Secondo quanto si legge in un comunicato stampa dell’Associazione, infatti, a preoccupare è in particolare “il vuoto normativo lasciato dal ministero dell’agricoltura, che in questo settore mette seriamente a repentaglio la tracciabilità e il controllo delle produzioni agroalimentari». In questo modo, continua la nota di Assosementi, “è concreto il rischio che si ripresentino ritardi e disguidi nella certificazione ufficiale delle sementi, dopo i problemi dello scorso autunno, in vista delle nuove semine in Italia”.

Secondo quanto previsto dalla legge, infatti, tutte le sementi delle principali colture agrarie devono essere certificate, e l’intero settore sta attendendo da oltre sei mesi i decreti attuativi del Mipaaf in materia di certificazione di qualità. Il problema è sorto inizialmente nel 2010, con il confluire dell’Ense, l’ Ente nazionale sementi elette, nell’Inran, Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, in seguito abolito nell’estate del 2012 nell’ambito della celebre spending review. Con legge 228 del 24 dicembre 2012 la certificazione delle sementi è diventata competenza del Cra, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, ma manca a tutt’oggi uno specifico assetto operativo. “I consumatori purtroppo ignorano che il seme certificato è il primo anello della filiera agroalimentare ed è il fulcro di un sistema produttivo orientato alla qualità, che viene garantita dall’alta germinabilità e dalla sanità del seme e dalla tracciabilità del raccolto – ha dichiarato Marchesini – Chiediamo che il ministro dell’agricoltura emani con la massima urgenza i previsti decreti attuativi con cui si chiariscano le procedure e le responsabilità del Cra nella certificazione di qualità delle sementi». L’assenza di indicazioni normative precise infatti mette pesantemente a rischio sia la tracciabilità delle produzioni che i controlli di filiera, con conseguenti problemi e danni potenziali non solo per gli agricoltori e le aziende sementiere, ma per l’intero sistema distributivo alimentare.

Fonte: Assosementi, Agrinotizie

Un nuovo studio per prevenire i danni dovuti alla siccità

Come è noto, la siccità rappresenta una delle calamità principali per il settore agricolo, con danni spesso pesantissimi alle coltivazioni. Nei soli Stati Uniti si stimano perdite pari ad otto milioni di dollari causate dalla scarsità idrica. Ma oggi è disponibile uno strumento ulteriore e più efficace per contrastare i danni da siccità. A proporlo un recente studio apparso sull’Agronomy Journal, prestigiosa rivista di settore, nel quale viene proposto l’utilizzo dell’ARID, acronimo per The Agricultural Reference Index for Drought (Indice di riferimento agricolo per la siccità), concepito per  quantificare il deficit idrico delle coltivazioni e prevedere l’effetto del deficit stesso sulle rese dei raccolti. Lo studio, riferito a cinque diverse località selezionate nel sud-est degli Stati Uniti utilizzando dati meteorologici storici relativi al trentennio 1971-2000, suggerisce in particolare la realizzazione di calendari di siccità stagionale sui quali sincronizzazione le coltivazioni. Il tutto riferendosi in particolare ai dati relativi alle precipitazioni e alla conseguente disponibilità idrica dei suoli nonché al tasso di umidità del terreno,  considerato secondo il modello il fattore predittivo più efficace, seguito dalla profondità delle radici. La combinazione di queste analisi, secondo lo studio, consente di formulare calendari anti-siccità assai più precisi ed efficaci rispetto alle informazioni fornite dalle semplici misurazioni atmosferiche.

Fonte: Agronomy Journal, Agrinotizie

Dalle falene un nuovo preoccupante allarme

Notturne per abitudini, spesso mimetiche per strategia evolutiva, le falene raramente attirano la nostra attenzione e sono più frequentemente conosciute e studiate solo da ricercatori e appassionati. Malgrado ciò, esse rappresentano un ingranaggio prezioso e fondamentale nell’equilibrio naturale e in special modo negli agroecosistemi, grazie al loro importante ruolo come impollinatrici e al fatto che costituiscono una delle prede abituali per moltissimi uccelli e pipistrelli. Ora però un nuovo allarme lanciato dal Regno Unito rischia di travalicare il mondo degli addetti ai lavori e diventare di interesse (e preoccupazione) pubblico: secondo il Rapporto Conservazione delle Farfalle realizzato dal  Rothamstead Research, negli ultimi 40 anni ben i due terzi delle specie di falene del Regno Unito hanno subito un calo drastico e tre specie si sono estinte solamente negli ultimi tre anni. Secondo il rapporto, nel corso del XX° secolo si sono estinte circa 2 specie di “moths” (falene, in inglese), un fattore questo considerato dagli autori dello studio “potenzialmente catastrofico” per l’equilibrio della fauna selvatica inglese (e non solo).

Chris Packham, volto televisivo noto oltremanica e vicepresidente della Butterfly Conservation, ha dichiarato infatti che “questi animali sono indicatori chiave che ci permettono di sapere come il nostro ambiente sta evolvendo in un periodo di cambiamenti ambientali senza precedenti. (…) La perdita drammatica e permanente di falene, evidenziata nella relazione,  segnala una perdita potenzialmente catastrofica della biodiversità nella campagna inglese”. Richard Fox, responsabile dell’indagine e autore principale del rapporto, ha sottolineato che il calo della percentuale delle falene porta ad un calo più ampio d’insetti che colpisce l’intero ecosistema e, infine, la catena alimentare umana. “Il calo improvviso e devastante delle falene comuni che abbiamo rilevato è un atto d’accusa schiacciante riguardo al modo in cui la recente attività umana abbia messo in ginocchio la nostra fauna selvatica”.

Riduzione e rimozione di siepi, filari e fiori, uso sistematico di pesticidi e fertilizzanti hanno avuto effetti catastrofici per molti animali ed in particolare per le falene. Dopo le api, un nuovo grido d’allarme della natura mette all’indice l’utilizzo eccessivo della chimica e il modello agricolo intensivo. Non a caso è il Sud della Gran Bretagna a far registrare il calo più significativo, proprio dove l’agricoltura ha subito le trasformazioni più evidenti.

A questi fattori si aggiungono inoltre i cambiamenti climatici in atto, che stanno influenzando profondamente le popolazioni di insetti inglesi: numerose falene (insieme a molte altre specie di insetti) tipiche delle aree meridionali delle isole britanniche infatti si stanno diffondendo verso nord, a tutto discapito delle specie settentrionali, maggiormente colpite dai cambiamenti climatici. Un fenomeno che, su scala più ampia, si può osservare anche nell’afflusso crescente di specie continentali, favorite dalle condizioni più calde degli ultimi anni. L’articolo completo può essere letto in lingua inglese sul sito del Telegraph all’indirizzo  www.telegraph.co.uk

Fonte: AIAB – Telegraph

Gli anfibi, vittime misconosciute dell’avvelenamento da pesticidi

Oltre alle api e alle falene, cui sono riservati sue brevi approfondimenti sul nostro sito, a certificare una volta di più i danni causati all’ambiente dai pesticidi sono questa volta gli anfibi, animali ben noti a tutti ma a tutt’oggi relativamente poco conosciuti e studiati. Secondo la prestigiosissima rivista Nature, che all’argomento ha dedicato uno specifico Scientific Report, i danni causati alla fase terrestre di questi animali (il cui ciclo vitale comprende almeno, come è noto, una fase larvale acquatica) sono decisamente ingenti. Autori del lavoro ricercatori svizzeri e tedeschi che hanno analizzato l’effetto di sette diversi pesticidi (4 fungicidi, 2 erbicidi e un insetticida)   sugli stadi giovanili della Rana comune europea (Rana tempora ria). Ebbene, utilizzando i prodotti secondo quanto prescritto dall’etichetta, la mortalità registrata è variata dal 100% dopo un’ora al 40% dopo sette giorni. Ovviamente, un effetto tanto drammatico sugli anfibi lascia presagire con ampi margini di ragionevolezza un effetto ancora più eclatante su vasta scala, al punto che i ricercatori arrivano ad ipotizzare che proprio l’esposizione ai pesticidi potrebbe essere la causa principale del grave declino di molte specie di rane, rospi e tritoni. Un nuovo elemento a supporto degli allarmi lanciati dagli studiosi e iniziati con gli studi sui neoncotinoidi e i loro effetti sugli insetti pronubi, e che potrebbe precludere a nuove, più efficienti forme di tutela di questi animali e di restrizione nell’uso incontrollato di pesticidi e più in generale nell’adozione di politiche e strategie più sostenibili in campo agricolo e ambientale. Un ulteriore elemento a supporto di quanti, come Suolo e Salute, hanno scelto un’agricoltura biologica, sostenibile, in cui non sia contemplato l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi. Lo studio è consultabile a questo indirizzo.

Fonte: AIAB, Nature

Cinipede del castagno, il programma 2013 in fase di elaborazione

Il Ministero delle Politiche Agricole e le Regioni stanno congiuntamente lavorando al programma 2013 per la lotta al cinipide galligeno del castagno (Dryocosmus kuriphilus), noto anche come vespa del castagno. L’insetto, un imenottero di origine orientale, è considerato il più nocivo insetto fitofago al mondo, a causa del rapidissimo deperimento subito dalle piante attaccate, colpite in particolare a livello di germogli e foglie in conseguenza della comparsa di galle da cui il nome comune dell’insetto. Contro il cinipede, molto pericoloso soprattutto per i castagneti da frutto, il programma in fase di elaborazione prevede una specifica azione di lotta biologica attraverso l’utilizzo del parassotoide Torymus sinensis, antagonista naturale del cinipide, il cui uso ha dato risultati incoraggianti anche in Giappone. Già nel corso del 2012 la lotta al cinipede si è concretizzata nella realizzazione di 15 centri di moltiplicazione del Torymus (anch’esso appartenente all’ordine degli Imenotteri) e di oltre 130 lanci mirati a tutela dei castagneti.

Fonte: Coldiretti