Suolo e Salute

Autore: admin

MENSE BIO, 1,3 MILIONI DI FONDI PER L’EMILIA ROMAGNA

MENSE BIO, 1,3 MILIONI DI FONDI PER L’EMILIA ROMAGNA

La regione si assicura oltre il 25% delle risorse complessive del fondo nazionale per le mense biologiche scolastiche

L’Emilia-Romagna, per il quarto anno consecutivo, è la Regione che si aggiudica la quota più alta dal Fondo nazionale per le mense scolastiche biologiche.

Si tratta infatti di un milione e 282mila euro di risorse su 4,3 milioni complessivi (oltre il 25%). Risorse che servono a coprire le maggiori spese sostenute per l’erogazione dei pasti bio senza aumentare il costo della refezione scolastica a carico delle famiglie.

Il commento dell’Assessore Alessio Mammi

«Siamo  – afferma Alessio Mammi, Assessore regionale all’Agricoltura – la prima Regione in Italia per numero di pasti bio distribuiti nelle mense scolastiche».

«Ciò conferma – aggiunge – l’impegno con cui da anni sosteniamo i principi dell’agricoltura biologica e l’utilizzo di prodotti sani, non solo sulle tavole dei cittadini, ma anche nella ristorazione collettiva pubblica». «Queste risorse sono fondamentali per aumentare sempre più la qualità del servizio senza incidere sull’economia delle famiglie, ma soprattutto per continuare a promuovere una maggiore consapevolezza rispetto alla propria alimentazione».

OLIO E CEREALI BIO, LA PRODUZIONE ITALIANA È INSUFFICIENTE

OLIO E CEREALI BIO, LA PRODUZIONE ITALIANA È INSUFFICIENTE

Uno dei dati più controversi messi in evidenza dal Bioreport 2020 riguarda l’andamento delle importazioni. Nel 2020 l’Italia è infatti risultata in controtendenza rispetto al resto d’Europa, con un forte aumento dell’import dell’olio e dei cereali

La produzione non tiene il ritmo dei consumi di bio. Soprattutto nel comparto dell’olio di oliva e dei cereali. È uno dei dati più controversi che emergono dal Bioreport 2020 della Rete Rurale nazionale (vedi articolo precedente).

Olio e cereali, cresce l’import

Secondo il documento messo a punto dal Mipaaf le importazioni di prodotti bio da Paesi extra-Ue, nel 2020, sono infatti diminuite dell’1,9% in tutta Europa ma non in Italia, in controtendenza. Tra gli incrementi registrati in questo anno spicca il +41% relativo all’importazione di oli e grassi vegetali, monopolizzata dalla Tunisia, a cui segue il +25% dei cereali, rilevante in termini assoluti, dato che questa categoria rappresenta oltre un terzo del prodotto bio importato nel 2020 (34%).

Redditività, punto di forza del bio

Le aziende agricole biologiche italiane mostrano performance economiche migliori rispetto a quelle convenzionali, secondo uno studio del Crea basato sui dati RICA (Rete di informazione contabile agricola) che conferma gli esiti di analoghe ricerche condotte in Francia e in Svezia.

Nonostante i maggiori costi per il lavoro e il minor numero di capi in zootecnia, le imprese bio registrano infatti ricavi mediamente più elevati (+13%). E le attività integrative (trasformazione e vendita dei prodotti, attività agrituristica, etc.) incidono sui ricavi in misura doppia rispetto alle aziende non biologiche (8% vs. 4%).

BIOREPORT 2020: VANTAGGI, PROBLEMI E SOLUZIONI PER IL BIO ITALIANO

BIOREPORT 2020: VANTAGGI, PROBLEMI E SOLUZIONI PER IL BIO ITALIANO

Il rapporto della Rete Rurale nazionale pubblicato a fine 2021 mette in evidenza differenze territoriali legate al ruolo dell’integrazione di filiera e di politiche di sviluppo rurale equilibrate. Dopo il boom del 2020 il primo trimestre 2021 mette in evidenza in rallentamento del mercato

Lo scenario dell’evoluzione del sistema biologico italiano a cavallo della crisi pandemica. Con l’analisi dei dati consolidati che arrivano a fine 2019, ma anche delle tendenze registrate fino al primo trimestre 2021. È il contenuto offerto da Bioreport 2020, il rapporto pubblicato alla fine del 2021 dal Ministero per le Politiche agricole nell’ambito del Programma Rete Rurale Nazionale (clicca per accedere e scaricare il documento).

La tabella di marcia del Green Deal

Un’analisi che assume quest’anno un significato particolare alla luce del ruolo attribuito dall’Unione Europea al bio, considerato il metodo più efficace per realizzare gli obiettivi di transizione ecologica definiti da Bruxelles (e chiamato perciò a raggiungere in 10 anni l’incidenza del 25% di superficie agraria).

Un target che non sarà facile da raggiungere senza un convinto quadro di politiche di sostegno. Il documento di oltre 300 pagine messo a punto dal Ministero attraverso il Crea e la Rete rurale nazionale – rivolto a istituzioni, ricercatori, stakeholder – individua infatti una serie di nodi da sciogliere per garantire un’equilibrata crescita del sistema biologico italiano.

Gli approfondimenti

Bioreport 2020 è organizzato in tre sezioni:

– i dati del bio, dalle produzioni ai mercati a livello italiano, europeo e globale,

– le politiche europee e nazionali, le misure di sostegno al bio e il sistema dei controlli,

– approfondimenti su alcuni temi di attualità come l’impiego dei biostimolanti, l’analisi del settore olivicolo bio con l’approfondimento sulla difesa dalla Xylella, gli approfondimenti sul bio in Sardegna e in Francia e l’analisi dell’impatto di politiche locali disomogenee sulla tendenza, registrata in alcune Regioni, a uscire dal sistema della certificazione.

Mercato in frenata a inizio 2021

La preoccupazione maggiore deriva dalla fase di assestamento registrata nell’analisi dei dati di mercato nel primo semestre del 2021. Dopo il balzo del 4,5% del 2020, in piena pandemia, la crescita del bio a marzo 2021 si sarebbe infatti fermata al +0,9% (con valori negativi nei punti vendita a libero servizio) mentre quella dell’agroalimentare totale sarebbe arrivata al 5,4%. Un dato che farebbe per la prima volta contrarre la quota relativa del bio, tornato appena sotto al 4% a livello nazionale.

Un dato che spinge Laura Viganò, ricercatrice del Crea Politiche e Bioeconomica, redattrice di questo capitolo del rapporto, a mettere in evidenza la necessità di adottare politiche di green public procurement che assicurino una maggiore diffusione dell’utilizzo di prodotti biologici nella ristorazione collettiva sia pubblica (scuole, ospedali, caserme, carceri, strutture governative) sia privata (mense aziendali) per evitare che il biologico italiano sia polarizzato solo verso l’esportazione.

A livello Europeo è infatti evidente una dicotomia tra Paesi in cui il mercato del biologico continua a crescere con tassi a doppia cifra (Francia, Danimarca, Germania ma anche Spagna) e altri, soprattutto nell’Europa orientale, dove il peso di questo settore è ancora marginale.

Il ruolo dell’integrazione di filiera

Per il resto il rapporto evidenzia il valore dell’integrazione di filiera. Nei territori dove queste relazioni sono presenti la crescita delle superfici è infatti più sostenuta, portando a una SAU nazionale dedicata al bio prossima 2 milioni di ettari. Confermato il dato di 81mila operatori censiti nel 2019 (+2% sul 2018). Le aziende agricole sono stabili (70.540 unità), quelle di trasformazione aumentano del 9,2% (circa 2.000 unità), fino a raggiungere le 21.000 unità. Il dato più positivo (+14%) è l’evoluzione di aziende agricole che integrano la produzione primaria con la trasformazione.

Cala il Sud, cresce il Centro

Al Sud e nelle isole, ove si trova oltre la metà degli operatori biologici italiani, emerge una lieve riduzione dei produttori agricoli bio (-2%). Con picchi in Sardegna (-6%) e Calabria (-5%), oltreché nelle aziende a produzione esclusiva (-10%). I problemi sembrano legati alla fragilità del sistema produttivo biologico sardo (al quale il Bioreport 2021 dedica un focus), poco orientato al mercato, e ai ritardi connessi all’avvio del nuovo programma di aiuti in Calabria. Il Meridione registra però al contempo la maggiore crescita dei trasformatori complessivi (+11%, tra imprese di trasformazione esclusiva bio e non), con la al Calabria in testa (+30%).

Il Centro Italia invece un aumento significativo delle aziende agricole bio (+10% quelle solo bio, +11% quelle con produzioni miste). La regione Marche traina la crescita con un notevole aumento delle unità di produzione (+37%), grazie anche all’incremento dei fondi assegnati al sostegno del biologico (Misura 11 del PSR 2014-2020).

Le regioni centro-settentrionali ospitano oltre 800.000 ettari a biologico. Veneto e Trentino-Alto Adige – ove il bio occupa soltanto il 6% della SAU, rispetto al 16% nazionale e ai picchi di Calabria (36%) e Sicilia (26%) – risalgono la china, con incremento dei produttori trasformatori (+25% e +11%, rispettivamente).

NUOVA PAC, PARZIALE RISARCIMENTO PER IL BIO

NUOVA PAC, PARZIALE RISARCIMENTO PER IL BIO

Secondo le indiscrezioni sulla bozza del Piano strategico nazionale che deve essere consegnato a Bruxelles entro fine anno, il ministro Stefano Patuanelli punta a un prelievo da 90 milioni all’anno da spostare dagli aiuti diretti allo Sviluppo Rurale in favore del bio. Una misura che compensa solo parzialmente la decisione di sopprimere l’ecoschema dedicato

Entro il 1 gennaio l’Italia dovrà presentare a Bruxelles la proposta di Psn (Piano Strategico Nazionale per l’attuazione della nuova politica agricola comunitaria 2023-2027). Il tempo stringe e le prime indiscrezioni sulla bozza uscita dal confronto del tavolo nazionale tra Mipaaf, Regioni e stakeholder conferma purtroppo la paventata soppressione dell’ecoschema dedicato all’agricoltura biologica (ne avevamo parlato qui).

Ecoschemi indispensabili

Secondo le indiscrezioni sulle bozze del Psn gli ecoschemi saranno infatti cinque, dedicati a:

  • zootecnia (riduzione antibiotici e pascolo-allevamento semibrado);
  • inerbimento delle colture pluriennali;
  • olivi di rilevanza paesaggistica;
  • sistemi foraggeri estensivi;
  • colture a perdere di interesse mellifero.

Risorse che complessivamente riguardano il 25% della dotazione riservata agli aiuti diretti (3,63 miliardi di euro all’anno per l’Italia) e che saranno indispensabili per gli agricoltori per ottenere un’entità di sostegno paragonabile all’attuale.

Un taglio del 50% degli aiuti diretti

Secondo i calcoli di Confagricoltura Piemonte i titoli non verranno soppressi dal 2023 ma riassegnati anche sulla base di un meccanismo di convergenza interna, ma rispetto all’attuale ammontare del complesso titoli+greening la riduzione sarà superiore al 50%.

E questo anche per l’effetto dei prelievi dal primo al secondo pilastro.

Il bio nello Sviluppo rurale

Oltre infatti ai 36,2 milioni di euro (1% dei 3,63 miliardi annui totali) per il sostegno ai giovani agricoltori, il ministro Stefano Patuanelli intende applicare un prelievo di 90 milioni di euro (meno di 500 milioni se si considera tutto il quinquennio 2023-2027, circa il 2,5% della dotazione), dal massimale dei pagamenti diretti per incentivare l’agricoltura biologica, spostandolo appunto alla dotazione dello sviluppo rurale.

Una sorta di parziale compensazione per il biologico, che però non bilancia completamente la penalizzazione, anche simbolica, della soppressione dell’ecoschema.

I prelievi verso lo Sviluppo rurale danno infatti più forza alle Regioni, risultando però condizionati dalle scelte locali e dai sempre possibili errori di programmazione e rischi di disimpegno.

NEUTRALITÀ CLIMATICA, CREDITI DI CARBONIO PER I PRODUTTORI VIRTUOSI?

NEUTRALITÀ CLIMATICA, CREDITI DI CARBONIO PER I PRODUTTORI VIRTUOSI?

La Commissione Ue pubblica la Comunicazione sui cicli del carbonio sostenibili, primo step per l’attivazione di un sistema di scambi di crediti e di impegni certificati che possa remunerare gli sforzi degli agricoltori che si impegnano in pratiche sostenibili di carbon farming

L’agricoltura può giocare un ruolo decisivo nella sfida contro i cambiamenti climatici. Il green deal ha fissato l’obiettivo della neutralità climatica (equilibrio tra emissioni e assorbimenti di gas serra) entro il 2050. Una grossa incognita era finora rappresentata dall’effettiva disponibilità di strumenti per remunerare lo sforzo degli agricoltori nell’adottare pratiche di carbon farming. Aumentare la sostanza organica dei suoli è da sempre la missione dell’agricoltura biologica. Un impegno che ora finalmente riconosce anche Bruxelles perché consente parallelamente di ridurre l’emissione di CO2 in atmosfera.

Verso una disciplina europea nel 2022

Il 15 dicembre la Commissione Ue, dopo alcuni mesi dedicati alle consultazioni con gli stakeholder, ha pubblicato la Comunicazione sui cicli del carbonio sostenibili. (clicca qui per accedere al documento). Si tratta del primo passo propedeutico per arrivare ad una proposta legislativa entro il 2022. Grazie a questo documento il tema dei crediti di carbonio entra così nell’agenda politica europea.

Mitigazione del climate change

Nel documento si prospettano le opportunità di un nuovo modello di business green che premia le best practice di agricoltori e silvicoltori che si impegnano nell’immobilizzazione della CO2 nei carbon sink del suolo e delle biomasse vegetali. Ogni pianta arborea può, attraverso il processo di fotosintesi, sottrarre circa 30kg di CO2 all’anno dalla atmosfera rilasciando al contempo circa 25 kg di ossigeno. Ciò rappresenta un vantaggio per la fertilità dei terreni e la resistenza delle colture. E grazie al meccanismo dei crediti di carbonio questo impegno può tradursi anche in fonte di reddito aggiuntivo per gli agricoltori.

Le proposte per un mercato nazionale dei crediti di carbonio

La rete rurale nazionale ha già formulato alcune proposte per stimolare lo sviluppo di mercati volontari dei crediti agricoli e forestali nel quadro dello sviluppo rurale (leggi qui per approfondire). La decisione della Commissione può consentire di mettere a fuoco le azioni chiave da compiere, a partire dalla definizione di standard di certificazione che porteranno a riconoscere il valore del mercato dei crediti di carbonio generato da queste pratiche virtuose.

LA SVOLTA “GRÜNE” DELLA GERMANIA

LA SVOLTA “GRÜNE” DELLA GERMANIA

Angela Merkel dopo 16 anni lascia il testimone ad Olaf Scholz. Il nuovo cancelliere guida una coalizione “a semaforo” tenuta insieme da un forte impegno verso la transizione ecologica delle fonti energetiche e della produzione agroalimentare

Finisce l’era di Angela Merkel, inizia quella di Olaf Scholz. Dopo ben 16 anni la Germania cambia rotta. Il nuovo Cancelliere guida una coalizione definita “a semaforo” e composta da socialdemocratici (SD), verdi (Grüne) e liberali (FDP) che si presenta con una forte connotazione “verde”.

L’accordo di coalizione

Tra i punti chiave più caratterizzanti dell’accordo di coalizione (come riportano fonti Reuters) c’è infatti una forte accelerata alla transizione ecologica, con lo stop al carbone anticipato al 2030 (un precedente accordo tra Merkel e le associazioni degli industriali tedeschi aveva tracciato l’orizzonte al 2038); l’impegno a cessare l’uso di gas da fonti fossili per la generazione termica entro il 2040, tagliola ai nuovi veicoli con motore a combustione nel 2035. Da questi impegni il governo federale si aspetta un taglio di emissioni di gas serra del 65% entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2045, con un obiettivo intermedio dell’85-90% al 2040.

Steffi Lemke punta su biodiversità e riforestazione

A guidare questa transizione energetica sarà direttamente Scholz che ha affidato (come riporta Agrarheute.com) la politica climatica internazionale al Ministero degli Affari esteri e quella nazionale ed europea al ministero dell’Economia. Tramontata quindi l’ipotesi di un mega Ministero dell’Ambiente, ma Steffi Lemke, laureata in Agraria, membro di spicco dei Verdi e ora al vertice di questo ministero, ha dichiarato in una recente intervista al Süddeutsche Zeitung di non voler derogare al suo impegno in favore della difesa del clima naturale. «Tutela della biodiversità e sequestro del carbonio – ha riferito – sono impegni inderogabili da raggiungere attraverso la riforestazione, il rispetto delle aree naturali e favorendo la carbon farming, ovvero modi di produrre e di fare agricoltura neutrali da punto di vista climatico».

Cem Özdemir sul biologico

Un’invasione di campo che non preoccupa, per ora, il collega neoministro Cem Özdemir, verde, vegano, pragmatico e primo rappresentante di origine turca a dirigere il dicastero agricolo tedesco.

Una carta d’identità che non preoccupa per ora le lobby agricole del Paese tedesco. Il programma tracciato da Özdemir prevede infatti l’espansione dell’agricoltura biologica oltre gli obiettivi del 15% entro il 2030 tracciato dalla Strategia Farm to fork; la significativa riduzione dell’uso di pesticidi; regole di etichettatura più severe sui metodi di produzione, senza però intraprendere campagne contro il consumo di carne, con enorme sollievo per un’attività agroindustriale che fattura, nel grande Paese tedesco, decine di miliardi di euro ogni anno.