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Category: Agricoltura

Crolla il prezzo del frumento, ma il biologico certificato traina il settore

Mentre in Italia imperversa la cosiddetta ‘guerra del grano’, con prezzi sui campi che a luglio sono calati fino al 50%, c’è un settore che mantiene le proprie quotazioni e garantisce il giusto reddito per gli agricoltori: il frumento biologico. La ricetta del successo è presto detta: le aziende presenti sul mercato investono sempre di più sulla tracciabilità e la distintività delle filiere, garantendo in questo modo standard qualitativi migliori, che giustificano prezzi alla produzione più soddisfacenti.

Il sistema di certificazione dei cereali biologici è nato per iniziativa di ACCREDIA e FederBio, la federazione del settore biologico e biodinamico nazionale, a partire dai raccolti 2016. Una piattaforma, unica nell’UE, che sfrutta gli strumenti  “della tracciabilità informatica delle produzioni e delle transazioni a sistema e che da mesi attende di essere approvata anche dal MiPAAF, affinché venga estesa a tutti gli operatori del comparto“, spiega il Presidente di FederBio Paolo Carnemolla.

ACCREDIA, l’Ente italiano di Accreditamento, sta lavorando inoltre per adeguare le procedure di certificazione rispetto a rischi più elevati, “per uniformare e migliore le procedure di controllo affinché gli operatori che acquistano prodotti biologici per trasformarli siano intransigenti nel verificare i propri fornitori, continuando a offrire la garanzia per i consumatori, la tracciabilità e la trasparenza che devono essere impegni di tutti i protagonisti del mercato“. Uno sforzo che FederBio sta seguendo e sostenendo con attenzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I risultati di mercato del frumento biologico, grazie anche a queste procedure, sono stati incoraggianti. Ma si tratta solo di un punto di partenza e occorre aumentare ancora di più la vigilanza. Ecco perché FederBio e AssoBio hanno attivato, già nel maggio scorso, un Piano d’azione per il rafforzamento del sistema di certificazione e si attiveranno per estendere i controlli anche sul versante dei prezzi.

La cerealicoltura convenzionale, infatti, è in difficoltà proprio a causa delle speculazioni sui prezzi e della disorganizzazione a livello logistico e produttivo.

Dobbiamo evitare che i prezzi troppo bassi e ingiusti del grano convenzionale vengano utilizzati come pretesto per abbassare anche quelli del prodotto biologico, senza tenere conto dei costi di produzione e di un mercato che chiede sempre più prodotto bio“, ha affermato il Presidente di AssoBio Roberto Zanoni.

Secondo Zanoni, a rendere troppo variabile l’andamento dei prezzi di acquisto delle materie prime è “l’attuale organizzazione delle borse merci e l’assenza di un organismo interprofessionale di settore. Per questo motivo AssoBio, che associa i principali operatori nazionali della trasformazione e distribuzione, ha deciso di aprire la propria base sociale anche alla GDO e di attivare un monitoraggio sui contratti di acquisto dei propri associati“.

FONTI:

http://www.feder.bio/comunicati-stampa.php?nid=1054 http://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-italia/le-storie/2016/07/17/news/guerra_del_grano_in_italia_prezzi_in_picchiata_basta_import_selvaggio_-144171368/

 

IFOAM: agricoltura ruolo chiave nel taglio delle emissioni

L’Unione europea ha reso note le sue proposte, Stato per Stato, per ridurre le emissioni di gas serra entro il 2030, in funzione dei diversi pil. Questi tagli dovranno rendere possibile all’Ue di mantenere l’impegno preso al vertice sul clima di Parigi per una riduzione globale delle emissioni del 40%, rispetto ai livelli registrati nel 2005.

La riduzione delle emissioni riguarda i settori non coperti dal mercato europeo dell’anidride carbonica: l’edilizia, l’agricoltura, i rifiuti e i trasporti, che rappresentavano nel 2014 il 60% del totale della produzione di gas serra nel continente.

IFOAM ha accolto con favore la proposta della Commissione, ribadendo il ruolo centrale svolto dal settore agricolo.

Jan Plagge, vicepresidente di IFOAM UE afferma: “Il settore agricolo soffrirà più di ogni altro gli impatti dei cambiamenti climatici. Allo stesso tempo, ci sono diverse pratiche agricole che possono ridurre le emissioni, molte delle quali offrono ulteriori benefici ambientali e un reddito supplementare per gli agricoltori“.

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Il vecchio modello di produzione, continua Plagge, si è rivelato un vicolo cieco. Una cosa resa ancora più evidente dall’attuale crisi nel settore del latte e della carne. Per far fronte a questa situazione, incalza il vicepresidente della Federazione internazionale dei movimenti per l’agricoltura biologica, le Istituzioni dovrebbero promuovere servizi ambientali e sostegni a un sistema produttivo agricolo orientato alla qualità e alla sostenibilità.

E in questo, un ruolo centrale è occupato dalla prossima PAC, come afferma Eric Gall, policy manager di IFOAM: “La prossima riforma della PAC dovrebbe tener conto dell’impatto totale di sistemi agricoli e di allevamento, guardando al potenziale di mitigazione dei gas serra delle pratiche agricole, insieme con il loro impatto sulla biodiversità, la salute del suolo, l’inquinamento delle acque, il benessere degli animali e il loro potenziale per aiutare le aziende agricole ad adattarsi ai cambiamenti climatici“.

A livello globale, il settore agricolo è responsabile del 10% delle emissioni di gas a effetto serra, ma considerando anche il consumo del suolo indiretto, come ad esempio la deforestazione legata alla produzione di mangimi e le importazioni, questa percentuale aumenta in modo significativo, fino al 25%.

Fonti:

http://www.ifoam-eu.org/en/news/2016/07/20/press-release-effort-sharing-decision-agriculture-should-play-its-part-emissions

http://www.askanews.it/esteri/bruxelles-presenta-quote-taglio-emissioni-fino-al-40-entro-2030_711862679.htm

IFOAM sui brevetti: gli animali non sono invenzione dei produttori di mangimi

L’Ufficio europeo dei brevetti (EPO) intende concedere un brevetto su salmoni alimentati con piante specifiche (EP1965658).

Stando a quanto affermato da No Patents on Seed, l’organizzazione no profit che si occupa principalmente di brevetti su piante, semi e animali, l’EPO avrebbe informato il richiedente australiano che il brevetto è pronto per essere rilasciato entro i prossimi mesi.

Un documento che permetterebbe all’azienda di rivendicare il salmone e l’olio da esso ricavato.

IFOAM si è espressa sulla cosa precisando che l’idea alla base del brevetto, cioè che i prodotti alimentari derivati da questi salmoni abbiano un maggior contenuto di acidi grassi Omega 3, non è nuova. Ad esempio, è noto che le mucche che pascolano sui prati hanno una maggiore concentrazione di questi acidi grassi nel latte.

Non è la prima volta che l’EPO concede brevetti su animali provenienti da allevamenti convenzionali per la produzione alimentare.

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Nel 2008, un brevetto depositato da Monsanto sosteneva che i maiali avevano migliorato la qualità della carne (EP1651777). Sempre nel 2008, è stato concesso un brevetto a un allevamento convenzionale di mucche e maiali (EP1506316). E nello stesso anno anche a una selezione di vacche da latte (EP1330552). Quasi tutti questi brevetti sono stati successivamente revocati.

Ruth Tippe di No Patents on Life afferma: “Se gli animali diventano invenzioni brevettate, perché alimentati con mangimi specifici, anche mucche e maiali allevati nei pascoli potrebbero essere brevettati“.

Da anni, le organizzazioni chiedono ai politici di bloccare la concessione di brevetti su piante e animali.

Recentemente, aggiunge IFOAM nel suo comunicato, diversi governi europei hanno preso provvedimenti contro i brevetti su piante e animali derivati da allevamento convenzionale. Inoltre, la Commissione europea sta lavorando per fornire delle chiarificazioni in merito, in modo da rafforzare i divieti esistenti in campo di diritto di brevetto europeo.

Fonti:

http://www.ifoam-eu.org/en/news/2016/07/20/no-patents-seeds-press-release-animals-are-not-invention-feed-industry

http://no-patents-on-seeds.org/en/recent-activities/letter-european-patent-office

 

Lombricoltura conquista il biologico. Aziende di Humus in crescita in Italia

Negli ultimi anni, un gran numero di aziende hanno iniziato a occuparsi di lombricoltura da reddito.

Secondo i dati Sian, riportati da Agronotizie, sono una ventina le aziende autorizzate e iscritte regolarmente al registro di fabbricanti di fertilizzanti che producono vermicompost da letame. Il numero, però, sembra sia sottostimato perché ci sarebbero diverse realtà che operano anche senza certificazione.

Un trend in crescita che segue inevitabilmente lo sviluppo del settore biologico. Nei 12 mesi conclusi a maggio 2016, il biologico ha fatto registrare una crescita del 21%, rappresentando il 3% della spesa alimentare delle famiglie. Secondo l’ultimo rapporto Bio in cifre, pubblicato da SINAB, gli operatori certificati in Italia sono oltre i 55 mila.

Un quadro con numeri così positivi non può quindi non influenzare gli altri settori del mercato, provocando lo sviluppo di attività correlate, tra cui appunto quella della lombricoltura. Oggi, si pensa addirittura alla nascita di un vero e proprio consorzio che raccolga tutte le aziende produttrici di humus di lombrico presenti sul territorio nazionale.

Stando a quanto affermato da Agronotizie, la maggior parte delle realtà che si occupano di lombricoltura sono situate al Nord, in particolare in Lombardia.

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Si tratta di realtà medio piccole, che non superano i 3mila quintali all’anno di humus di lombrico prodotto. A eccezione di un’impresa di Matera che quest’anno si è imposta come obiettivo quello di arrivare ai 24 mila quintali prodotti.

L’humus di lombrico è uno dei fertilizzanti naturali utilizzati in agricoltura biologica. Immediatamente disponibile per le piante, ha un effetto strutturante, capace di ridare vita anche ai terreni desertificati. Ricco di nutrienti, ridona vitalità al suolo. Risultati che rispondono alle esigenze dell’agricoltura biologica e biodinamica, che hanno come obiettivo quello di preservare la salute del terreno e delle specie che vi abitano.

Gli operatori di settore sono fiduciosi: probabilmente, entro fine 2016, nascerà anche il primo consorzio dei lombricolturi italiani. L’obiettivo è dare un disciplinare in modo che l’humus prodotto dalle aziende presenti sul territorio italiano sia conforme.

Fonti:

http://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2016/07/11/bio-e-humus-di-lombrico-alleanza-vincente/49575

http://www.sinab.it/sites/default/files/share/anticipazioni%20dati%202014%20rev3.pdf

http://www.adnkronos.com/sostenibilita/tendenze/2016/06/30/boom-del-bio-anno-nella-grande-distribuzione_2Y4KzLhUsZ8kTvqq7fHN9J.html?refresh_ce

Psr: nel primo trimestre 2016 spesi 129milioni di euro

PSRAmmontano a 129milioni di euro, pari a 65 milioni di quota comunitaria, i fondi investiti da 14 regioni nei primi tre mesi del 2016 nell’ambito dei Programmi di sviluppo rurale (Psr).

Al primo posto si piazza la Calabria, con 30,8 milioni di euro; segue al secondo posto la Lombardia con 20,5 milioni di fondi investiti, la Sicilia con 19,3 milioni e la Toscana con 16,4 milioni di euro.

Scorrendo la graduatoria, troviamo la Sardegna (8,74 milioni), l’Emilia Romagna (7,41 milioni), e il Veneto (7,09).

In coda alla classifica delle regioni che hanno già rendicontato ci sono l’Abruzzo, la Basilicata, la Campania e la Provincia di Trento. Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Puglia, Molise e Lazio non hanno ancora dato comunicazione delle spese effettuate nell’ambito dei Psr.

Ma come sono stati investiti questi fondi?

Buona parte delle risorse sono confluite in progetti avviati nella passata programmazione, trovando il loro naturale completamento con il nuovo budget dei Psr 2014-2020.

Le principali misure finanziate sono: immobilizzazioni materiali, con una spesa di 23,5 milioni di euro, seguite dall’agricoltura biologica, con 12,3 milioni di euro, gli investimenti forestali (9,5 milioni di euro) e le indennità soggette a vincoli naturali (3,9 milioni di euro).

Nonostante l’ottimo avvio di programmazione, alcune regioni rimangono però ancora al palo con un avanzamento di spesa pressoché nullo. Parte dei ritardi è dovuta all’aumento della complessità della nuova struttura dei PSR 2014-2020, combinata con le difficoltà amministrative mai superate della precedente programmazione.

A risollevare la situazione potrebbe contribuire la proroga al 15 giugno, concessa dall’Unione europea, dei termini per la presentazione della domande relative alle misure a superficie e connesse agli animali che avrà sicuramente un effetto di stimolo sulla spesa nel secondo semestre dell’anno.

Da inizio programmazione, sono stati spesi complessivamente 265 milioni di euro, pari a 124 milioni di euro di quota FEASR ai quali è necessario aggiungere il prefinanziamento del 1% annuo (per i primi tre anni di spesa) pari a 313 milioni di euro che rappresenta il volano di spesa essenziale nei primi anni.

Fonti:

http://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2016/06/01/psr-129-milioni-di-euro-spesi-nel-primo-trimestre-2016/49038

http://www.pianetapsr.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1594

 

FederBio: agricoltura prima causa di inquinamento, necessario puntare sul bio

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Secondo un nuovo studio effettuato presso la Columbia University, sono le emissioni provenienti da aziende agricole la maggiore fonte di inquinamento atmosferico in gran parte degli Stati Uniti, Europa, Russia e Cina.

Le esalazioni dei fertilizzanti ricchi di azoto e dei rifiuti di origine animale si combinano in aria con altre sostanze inquinanti dando vita a delle particelle solide. Queste, ancor più del particolato presente nell’atmosfera, sono una delle principali fonti di malattia e morte, perché possono attaccare il tessuto polmonare di bambini e adulti

Lo studio, intitolato “Significant atmospheric aerosol pollution caused by world food cultivation” e pubblicato il 16 maggio scorso, conferma dunque che l’agricoltura è la prima causa di inquinamento dell’aria: “I fertilizzanti azotati di cui si serve l’agricoltura industriale, insieme all’allevamento degli animali, danno un contributo determinante e devastante all’aumento del particolato fine che provoca malattie e morti premature. Non solo le auto e le emissioni industriali, dunque, vanno incolpate degli alti livelli di PM2,5”.

Paolo Carnemolla, presidente di FederBio, ha diffuso una nota a riguardo, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, che si è celebrata lo scorso 5 giugno: “Vogliamo sottolineare la necessità di un cambiamento di passo in agricoltura. L’abuso di fertilizzanti ricchi di azoto utilizzati per decenni in tutto il mondo ha rappresentato una vera e propria minaccia per l’ambiente, come conferma lo studio dell’Earth Insitute, e per l’uomo stesso. L’agricoltura del futuro deve necessariamente avere come primo obiettivo quello di preservare l’ambiente e dunque la salute dell’uomo allo stesso tempo; deve essere sostenibile, come evidenziato dal lavoro e dell’impegno preso dai ministri all’agricoltura dei Paesi del G20 riunitisi oggi in Cina. Il bio rappresenta la vera alternativa, ponendosi come metodo di produzione che tutela la fertilità del suolo, la biodiversità e il benessere dell’uomo. L’agricoltura industriale, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, non può rappresentare il futuro, al contrario è una vera e propria minaccia”.

Fonti:

http://www.feder.bio/comunicati-stampa.php?nid=1030

https://www.sciencedaily.com/releases/2016/05/160516110423.htm