Suolo e Salute

Category: Biologico (Mercato, Statistiche, Ricerca, Normativa, Estero)

Oggi a Roma seminario sull’acquacoltura bio

Si intitola “Produzioni semintensive di giovanili di specie ittiche marine per l’innovazione nelle produzioni biologiche” il seminario in corso di svolgimento oggi a Roma presso la sede del CRA dia via del Caravita. Nel corso dell’incontro saranno presentati i risultati del programma di ricerca PROSEGAB (MiPAAF SAQ X – PAN 2008-2009 – Az. 2.2) e presentato e distribuito il “Manuale di tecniche semintensive per la produzione di giovanili di specie ittiche marine in acquacoltura biologica”. Nel corso dell’incontro si parlerà anche della posizione italiana riguardo la revisione dei regolamenti del settore bio, in particolare per quanto riguarda le avannotterie, come discusso anche nel recente RCOP di cui abbiamo dato notizia in un altro nostro articolo.

Fonte: CRA, FederBio

Nota del Mipaaf riguardo i temi discussi nel corso del 122° RCOP

Il Mipaaf ha pubblicato il 3 dicembre una nota relativa alla 122a riunione del RCOP (Regulatory Committee on Organic Production) tenutasi il 25 novembre u.s. a Bruxelles. La nota informa gli Assessorati all’Agricoltura di Regioni e Prvince Autonome, i Componenti del Tavolo tecnico permanente sull’Agricoltura Biologica, Accredia, l’ICQRF e gli Organismi di Controllo riguardo i più importanti argomenti discussi nella riunione del Comitato. In particolare, la Nota rende noto che il Comitato ha approvato a maggioranza l’adozione del Regolamento di Esecuzione (riportato nell’allegato 1 alla Nota stessa) che modifica il Reg. (CE) n. 889/2008 relativamente alle norme di produzione dell’acquacoltura biologica. “Molti Stati Membri – si legge nel testo – hanno lamentato il fatto che il nuovo regolamento non affronta l’importante questione relativa alla carenza di avannotti biologici per talune specie” (si veda a questo proposito il nostro articolo relativo alla lettera di IFOAM EU sull’argomento). “L’Italia ha vincolato il proprio sostegno al regolamento ad un impegno formale della Commissione ad affrontare tale problematica entro il primo semestre del 2015”. Altro tema affrontato dal RCOP è stata la proposta di modifica del Reg. (CE) n. 1235/2008 riguardante il riconoscimento degli organismi di controllo ai fini della conformità e dell’equivalenza. Su questo punto, la Commissione ha dichiarato che è attualmente in corso un approfondimento tecnico, in collaborazione con EOCC (European Organic Certifiers Council), finalizzato ad identificare le disposizioni europee sul bio che possano creare potenziali difficoltà applicative nei Paesi Terzi, in risposta a specifiche perplessità espresse da alcuni Stati membri circa l’applicazione del regime di conformità nei Paesi terzi.

Per quanto riguarda invece la certificazione elettronica dei prodotti bio importati, si sta lavorando all’integrazione, nell’ambito del sistema TRACES gestito dalla DG SANCO, dei certificati di ispezione previsti dal Reg. (CE) n. 1235/2008. Il sistema consentirà, dalla metà dell’anno prossimo, di gestire a livello informatico le informazioni relative alle importazioni di prodotti biologici in tutti gli Stati Membri, ivi compresa la vidimazione dei certificati di ispezione, che saranno univocamente e automaticamente collegati alla dichiarazione doganale, con lo scopo di sveltire e rendere più efficienti le verifiche incrociate delle diverse Autorità Doganali. Relativamente all’attività di Egtop (il comitato tecnico permanente sull’agricoltura biologica), e nello specifico in merito al possibile inserimento negli allegati al Reg. (CE) n. 889/2008 di nuovi prodotti o sostanze, la nota rende noto che sono state presentate le bozze di due nuovi mandati relativi a fertilizzanti e a prodotti per la disinfezione e la pulizia in ambito di produzione vegetale.

Infine, la nota contiene aggiornamenti riguardo la trattativa con la Corea del Sud per il riconoscimento dei prodotti bio esportati in questo Paese. Il punto critico della questione consiste nel fatto che la legislazione coreana si applica esclusivamente ai prodotti trasformati con conseguente difficoltà di raffronto con la normativa europea. Per accelerare i tempi, la Commissione ha proposto agli Stati Membri di lavorare in primis ad un riconoscimento parziale relativo ai soli prodotti trasformati esportati in Corea del Sud, che comunque costituiscono oltre il 70 % del totale.

Il testo integrale della nota e i relativi allegati si possono consultare ai seguenti link:

Nota n. 88750 del 3 dicembre 2014

Allegato 1° a

Allegato 1b

Fonte: Mipaaf, Sinab

Dalla Puglia la prima petizione anti-pesticidi

Parte dalla Puglia la prima petizione in Italia contro i prodotti chimici di sintesi. A promuovere l’iniziativa “No alla chimica in agricoltura. Vietiamo i pesticidi nel Salento” l’associazione “Casa delle agricolture Tullia e Gino”, di Castiglione d’Otranto, che in poco meno di un anno e mezzo ha raccolto oltre 2.000 firme, consegnandola lunedì scorso al presidente della Regione Puglia Vendola, e all’assessore all’Agricoltura, Fabrizio Nardoni. Un’iniziativa nata a Capo di Leuca dall’iniziativa dell’associazione (che si occupa di riconversione naturale di terreni incolti concessi in comodato d’uso gratuito da privati) con l’intento di sensibilizzare maggiormente la popolazione riguardo i rischi nell’utilizzo di questi prodotti, ma che in breve tempo ha valicato i confini locali conquistando anche un rilievo a livello nazionale.

La petizione è stata accolta con grande favore da Vendola, secondo il quale “meno chimica e più biologico fa bene all’ambiente e fa bene persino al portafoglio”. Il presidente della Regione Puglia ha indicato due ragioni principali alla base del suo sostegno alla petizione: “La prima è una ragione di natura ambientale: i pesticidi e l’abuso della chimica contribuiscono a intensificare il processo di desertificazione. L’impoverimento dei terreni è una grande tragedia, significa sfruttarli soffocandoli. I terreni hanno bisogno di respirare, cominciano a non respirare più. In una situazione in cui i gas alteranti e la mutazione climatica sono il contesto anche drammatico in cui viviamo , lottare per l’agricoltura biologica significa lottare contro quello che sta accadendo in termini di catastrofe dal punto di vista ambientale. E c’è anche una seconda ragione perché oggi sui mercati mondiali si cerca di leggere sempre di più l’etichetta di un prodotto per comprenderne la qualità, la tracciabilità e anche come è stato coltivato. Sta crescendo cioè un pubblico sempre più colto ed esigente. Ecco perché l’ingrediente del biologico e della sua qualità significa un valore aggiunto che cresce di giorno in giorno dal punto di vista dell’economia e della competizione”.

Il percorso della petizione però non si ferma qui: dopo aver interessato diversi enti locali, tra cui diversi Comuni della zona e la provincia di Lecce, il testo arriverà presto al Ministero delle politiche Agricole, con lo scopo “di inibire l’uso di fitofarmaci chimici, in particolar modo di quelli classificati come tossici, molto tossici e nocivi, e di regolamentare in maniera restrittiva l’utilizzo di quelli catalogati come irritanti e non classificati e dei fertilizzanti sintetici”. Anche perché nonostante convegni medici e nei rapporti dell’Oms e dell’Ispra, l’associazione puntualizza come manchi ancora una consapevolezza diffusa sui rischi. Secondo i promotori della petizione i tempi sono maturi per portare avanti con successo una battaglia di questo genere: “le tante firme raccolte tra la gente comune dimostrano che il problema inizia a essere più sentito tra i cittadini che tra le istituzioni. A noi spetta il compito di portarlo anche alla loro attenzione. E di chiedere conto delle decisioni, coerenti, che devono essere prese”.

E, per una volta, veniamo copiati anche all’estero: “In Francia, proprio qualche mese dopo la presentazione della nostra petizione, ne è stata lanciata una simile a livello nazionale. A firmare “l’appello di Montpellier” sono stati intellettuali, medici e ricercatori. In Italia non se ne parla. Eppure, qualcosa inizia a cambiare”. Anche in Italia sta cambiando qualcosa in maniera rapida e significativa: è il caso per esempio di Malles Venosta, primo Comune italiano “zero pesticidi, in una zona in cui tradizionalmente le mele vengono trattate con prodotti chimici. Segno che consapevolezza, volontà e costanza possono portare lontano. Diverse le adesioni provenienti dal mondo istituzionale e della cultura: da Maurizio Pallante, presidente del Movimento per la decrescita felice, alla famiglia Girolomoni (storico nome del biologico italiano e fondatrice del marchio Alce Nero), la regista Cecilia Mangini, ma anche il direttore generale dell’Asl di Lecce, Valdo Mellone e i sindaci dei Comuni di Andrano, Montesano e Galatina.

Una situazione, quella italiana, che è stata recentemente affrontata dalla prestigiosa rivista “Science” che nel 2013 ha pubblicato dati che rivelano l’abuso di pesticidi nelle nostre terre: basti pensare che il nostro paese risulta il maggior utilizzatore di pesticidi per unità di superficie coltivata di tutta l’Europa occidentale, con un consumo doppio rispetto a Francia e Germania. La petizione, dunque, ha il grande merito di portare all’attenzione nazionale un problema che riguarda l’intero sistema-agricoltura italiano, con conseguenze molto significative sull’ambiente e con potenziali, importanti rischi per la salute umana.

Fonte: ADNKronos, Lecceprima.it

Francia, una nuova ricerca premia il biologico

L’INRA, l’Istituto Nazionale Francese per la Ricerca in Agricoltura, ha condotto recentemente presso Mirecourt, nei Vosgi, una sperimentazione mettendo a confronto due diversi sistemi di colture miste e allevamento del bestiame da latte condotti secondo i criteri dell’agricoltura biologica. I risultati, presentati la settimana scorsa nel corso di un incontro con diversi rappresentanti del mondo agricolo, dimostrano chiaramente che è possibile mantenere dei sistemi agricoli autonomi, utilizzando poco o per nulla fertilizzanti e altri prodotti chimici di sintesi, preservando quindi la biodiversità ma al tempo stesso mantenendo elevati livelli di redditività economica. Dal 2004 infatti l’unità di ricerca Aster (acronimo per Agrosistemi, Territorio e Risorse) del centro Inra di Nancy ha messo a punto due diversi sistemi di produzione biologica del latte (un sistema di pascolo e un sistema agricolo misto) costituiti da un appezzamento di 240 ettari di seminativi e pascoli permanenti e da una mandria di 100 mucche da latte, utilizzando nel proprio protocollo principi molto semplici ma estremamente significativi: valorizzare la diversità ambientale, massimizzare l’area coltivata destinata al consumo umano, limitare l’impoverimento dei terreni e ridurre al minimo l’uso di fertilizzanti o altri prodotti. Il risultato è stato il raggiungimento di livelli di autonomia molto elevati dei sistemi agricoli sperimentali, pur mantenendo alti i livelli di produzione agricola. Per ottimizzare tale produzione in base alle potenzialità del suolo,è stata infatti condotta un’analisi preliminare dei territori che ha contribuito a definire le aree più idonee ad ospitare coltivazioni e quelle al contrario più vocate al pascolo. Il successivo monitoraggio delle popolazioni di coleotteri e delle piante erbacee ha dimostrato che la biodiversità si è conservata rivelandosi una vera risorsa per l’agricoltura, fornendo cioè dei servizi eco sistemici di grande rilievo per il mantenimento della produttività dei terreni. Entrambi i sistemi oggetto della sperimentazione sono ecologici, le emissioni di gas serra in atmosfera basse, altrettanto quelle di azoto e le perdite e gli sprechi idrici. Non solo: al termine della sperimentazione la sostenibilità economica dei sistemi si è rivelata più alta rispetto agli anni in cui il campo era coltivato secondo i principi dell’agricoltura convenzionale:il prodotto lordo è aumentato del 25% in 10 anni e i costi dimezzati, grazie soprattutto alla significativa riduzione dei prodotti (fertilizzanti, coadiuvanti etc.) utilizzati. In definitiva, un’ulteriore dimostrazione, frutto di 10 anni di ricerche, della grande efficacia dell’agricoltura biologica non solo per quanto riguarda la salubrità dei suoi prodotti e la sostenibilità ambientale, ma anche (ed è qui la vera novità della ricerca francese) da un punto di vista della sostenibilità economica. Non vi sono pertanto vere ragioni produttive alla base della scelta di non convertirsi al biologico da parte dei produttori, ma al contrario ostacoli, diffidenze e barriere culturali che solo un’adeguata informazione potrà infine piegare alle ragioni di un’agricoltura veramente sostenibile quale quella biologica.

Fonte: Inra France

Svezia, cresce la Nordic Organic Food Fair

Cresce l’interesse per la Nordic Organic Food Fair, fiera dei prodotti biologici tenutasi il 26 e 27 ottobre scorsi a Malmö, in Svezia, e che ha visto la partecipazione di oltre 3.500 professionisti del settore provenienti da 51 paesi. Giunta alla seconda edizione, l’interesse per l’appuntamento ha portato al raddoppio delle presenze rispetto al 2013. Ora, in prospettiva 2015, cominciano già ad arrivare le adesioni da parte di molti marchi di prestigio. L’ente organizzatore, Diversified Communications UK, ha annunciato che è previsto per l’anno prossimo un aumento del 30% degli stand per accogliere la crescente domanda da parte dei fornitori di cibi e bevande biologiche certificate. Appuntamento quindi l’1 e il 2 novembre 2015 nella città scandinava dove ben 170 aziende espositrici porteranno alcune delle eccellenze del biologico nordeuropeo (e non solo) all’attenzione dei visitatori. Ulteriori informazioni sono disponibili a questo link http://www.nordicorganicexpo.com

Fonte: Organic Market

Parigi: alla conferenza europea cresce la richiesta di cambiare il nuovo regolamento sul bio

Si è tenuta il 17 e 18 novembre scorsi a Parigi la conferenza europeo sul biologico organizzata da IFOAM UE-Group insieme all’associazione francese Synabio. All’incontro hanno preso parte rappresentanti delle associazioni del settore di Germania, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Inghilterra, Svizzera, Finlandia, Spagna e di diversi altri Stati membri dell’UE. I 125 delegati, dopo un giorno e mezzo di dibattito si sono trovati d’accordo su un punto fondamentale: è opportuno ritirare la versione del regolamento biologico europeo proposta dalla UE nella sua interezza o di modificare alcuni punti importanti. Secondo i partecipanti all’incontro di Parigi, anziché riscrivere interamente le normative sul biologico sarebbe al contrario utile utilizzare il regolamento in vigore a partire dal 2007, modificandolo con una serie di nuovi apporti e contributi. Per giungere a queste conclusioni, i tavoli di confronto sono stati organizzati in sei gruppi di lavoro distinti e paralleli che hanno approfondito, analizzato e discusso diverse parti della proposta.

Nel corso della sua dichiarazione conclusiva, il direttore dell’associazione olandese Bionext, Bavo van den Idsert, ha così riassunto l’esito dei lavori: “Non abbiamo bisogno di più regole, ma di attuare al meglio ill regolamento già esistente.” E, rivolgendosi al rappresentante dell’Unità Bio della DG Agricoltura UE, Manuel Rossi-Prieto, ha dichiarato: “Siamo lieti che la Commissione europea sia disposta a lavorare con noi per affrontare i problemi e le questioni emerse: avviamo una nuova fase di dialogo.

L’avvocato Hans-Peter Schmidt, che teme che una valanga di problemi si abbattano sul settore del biologico europeo, ha invitato Rossi-Prieto, anziché sostituire completamente l’attuale regolamento, ad integrare la normativa vigente con le nuove modifiche emerse in fase di dibattito.

Dal canto suo, Rossi-Prieto, parlando a nome della Commissione europea, ha chiarito e ribadito che l’intenzione della rigorma è quella di semplificare e migliorare la normativa di settore, spiegando uno dei motivi principali per cui si è deciso di arrivare a questa proposta: “È molto importante agire contro le frodi nel biologico, perché ne va della credibilità di tutto il comparto. L’anno prossimo sarà avviato un programma anti frode chiamato “Tracce”, che permetterà di controllare direttamente i certificati bio on-line”

Il punto forse più dibattuto nel corso dell’intera conferenza ha riguardato la possibilità di perdita di certificazione nel caso di presenza di residui di sostanze non consentite nel biologico. Mentre la Commissione e un piccolo numero di partecipanti da un lato vorrebbero soddisfare in pieno le aspettative dei consumatori, premendo per avere alimenti completamente privi di ogni contaminazione, la stragrande maggioranza dei partecipanti si è detta convinta del fatto che questo è un pio desiderio. “Il biologico non esiste su un’isola, ma nel bel mezzo di un mare di agricoltura convenzionale e di un ambiente contaminato da pesticidi e loro residui,” è stato il senso di diversi contributi sul tema. Non è accettabile, questo in sostanza il senso dell’obiezione, che un agricoltore debba temere la persecuzione e l’onere della prova dimostrando che non è lui il responsabile di una contaminazione proveniente magari da un’altra fonte. A questa idea è stato opposto invece il principio del “Chi inquina paga”, ovverosia una posizione che individua nell’agricoltore che ha utilizzato il pesticida il responsabile degli eventuali danni provocati.

Sul tema, un caso emblema tic è stato portato dall’agricoltore biologico francese Dominique Marion: la sua associazione di produttori ha dovuto pagare 5.000 € per le prove di laboratorio, perché vi era il sospetto di una contaminazione da glifosato.

Anche Hans Braekman, responsabile dello sviluppo e del supporto tecnico presso Fytolab, laboratorio di analisi in Belgio, ha spiegato che spesso capita imbattersi in risultati contraddittori provenienti da diversi laboratori e che in Europa meno della metà dei 150 laboratori autorizzati fornisce risultati davvero attendibili. Ribadendo così che la buona reputazione del settore biologico, ne caso di una scelta improntata alla “tolleranza zero” potrebbe davvero trovarsi nelle mani di pochi laboratori. Con risultati in grado di determinare il destino di lotti interi e raccolti. Il concetto di “falso positivo” infatti è stato uno dei termini chiave che preoccupavano i partecipanti alla conferenza. E’ un’evenienza che è accaduta in passato e che accadrà anche in futuro: un laboratorio sostiene di aver trovato residui nei prodotti biologici, ma, quando quegli stessi campioni vengono esaminati da un altro laboratorio, i risultati non vengono confermati. Nel frattempo però magari il problema è già divenuto di pubblico dominio, con seri danni d’immagine, accuse ingiustificate e intere partite di merci ritirate frettolosamente dal mercato.

Un ulteriore aspetto della questione ha riguardato il problema dei residui di veleni persistenti come il DDT, sostanze che si sono accumulate nel terreno per decenni e che hanno tempi di degradazione molto lenti.

Il punto è delicato: tutti concordano sul fatto che non deve essere punito il singolo agricoltore bio che suo malgrado incappa in una contaminazione “vecchia” di questo tipo: se la contaminazione rientra entro i limiti di legge, deve giustamente essere tollerata. Ma con l’ipotesi “tolleranza zero” passasse senza modifiche, significherebbe che sempre, in presenza di residui di questo genere, l’intero lotto di materie prime o, peggio ancora, dei prodotti trasformati vedrebbero revocato il loro status biologico. Con conseguenze facilmente prevedibili. Per alcuni, questo potrebbe essere in futuro l’ordine del giorno: una situazione a rischio di concreta in gestibilità.

Inoltre, ciò consegnerebbe a tutti i detrattori e “nemici” dell’agricoltura biologica un potente strumento in grado di promuovere azioni di richiamo di prodotti del commercio al dettaglio. E il regolamento di compensazione previsto dalla UE, i governi nazionali hanno la possibilità (ma non l’obbligo) di recepire, beneficerebbe solo i produttori e non i commercianti, che subirebbero per intero il danno. Con il rischio concreto della chiusura di intere attività che difficilmente potrebbero reggere un impatto di questo tipo.

A complicare le cose, resterebbe anche la possibilità del ritiro delle licenze, nel caso di ritrovamento di residui di pesticidi. Come ha ricordato il presidente di Ifoam UE-Group Christopher Stopes, “questo è il vero motivo per cui è fondamentale che venga chiarita la nostra posizione complessiva sulle questioni ancora aperte che riguardano il settore biologico”. Per Stopes “l’agricoltura biologica è un continuum che parte dalla fertilità del suolo e delle sementi e arriva allai trasformazione, no né una semplice domanda di prodotto finale incontaminato.

Un altro punto controverso discusso a Parigi ha riguardato i criteri da applicare per il futuro riguardo le importazioni nell’Unione. Finora è stato applicato il principio di equivalenza del regolamento biologico, ma in futuro invece dovrebbe valere il principio di conformità delle norme e dei regolamenti. Un’innovazione che vede la decisa oppozionione del gruppo IFOAM-UE: ” non crediamo nell’idea di linee guida completamente omogenee e non vogliamo un approccio neo-coloniale al problema”, ha dichiarato sempre Stopes, sottolineando che esistono innumerevoli sistemi di tutto il mondo e che le differenze dovrebbero essere eliminate poco a poco.

Jean Verdier, presidente dell’associazione di trasformatori Synabio, ha detto che vi è la necessità di una certa armonizzazione anche in Europa: “Si tratta di far convergere i vari approcci per creare un punto di vista comune. In Francia, stiamo già lavorando con diverse organizzazioni come la Coop de France. Non siamo contro una riformain linea di principio, ma deve essere una riforma coerente.

“Qui a Parigi è condivisa l’idea che le ispezioni annuali dovrebbero continuare in futuro. L’UE aveva proposto che, al fine di ridurre la burocrazia, in settori non rischio ispezioni ogni due anni sarebbero sufficienti”, aggiungendo che a suo avviso “ciò che è davvero importante è che le piante vengano coltivate sul terreno e non su altro substrato, cosa che la Commissione istituita per nuovo regolamento organico non proibisce in maniera chiara.  Gerald Herrmann, di ORganic Services, ha sottolineato invece la necessità di predisporre misure preventive per combattere le frodi tramite banche dati on-line. Per queste ragioni l’azienda di Monaco ha sviluppato il programma CheckOrganic che potrebbe aiutare in questo sforzo. Avere a disposizione un database aiuterebbe perché si potrebbe accedere allo stato attuale di un attestato di controllo. “Su questo punto, le linee guida del Regolamento biologico UE non sono neanche lontanamente sufficienti per combattere più efficacemente la le future frodi del settore biologico”, ha detto Herrmann.

Bavo Van Den Idsert, dall’associazione Bionext, si è detto a favore dell’ulteriore sviluppo di un approccio basato sul rischio al fine di prevenire le frodi. “Non solo i trasformatori, ma anche gli Organismi di Controllo e le autorità hanno bisogno di poter effettuare controlli incrociati”, ha detto Van Den Idsert. “In definitiva, abbiamo bisogno di una migliore attuazione delle linee guida esistenti e non una completa riscrittura del regolamento biologico.”

Altro punto di dissenso tra i rappresentanti del mondo del bio e la Commissione europea riguarda la possibilità che in futuro sia contemplata la possibilità di avere aziende agricole in cui coesistano terreni convenzionali e bio, visto il rischio che fertilizzanti e altre sostanze finiscano per mescolarsi.

Secondo Luc Maurer, del Ministero dell’Agricoltura francese, non c’è nessun problema nel controllare due differenti tipi di produzione, perché diverse colture vengono coltivate. Secondo Maurer l’abolizione delle colture convenzionali è un obiettivo nobile, ma irrealizzabile sul breve periodo.

Sono stati molti altri i punti discussi sia dai gruppi di lavoro che in riunione plenaria, e hanno riguardato i materiali di imballaggio, la gestione dell’ambiente e la sostenibilità, la qualità e i controlli obbligatori per tutti quei punti vendita nell’UE che attualmente vendono prodotti biologici. I delegati hanno convenuto circa l’opportunità che non vengano al momento introdotti nuovi controlli obbligatori per i prodotti biologici preconfezionati: il timore dei partecipanti è che l’eventuale introduzione di controlli più rigorosi porterebbe molti piccoli esercizi (negozi che vendono bevande, chioschi etc.) a eliminare dalle loro forniture i prodotti biologici per evitare di sostenere costosi oneri economici per il loro controllo

In conclusione, quello di Parigi è stato un incontro che ha dato vita ad uno scambio molto importante e fruttuoso di opinioni da parte di moltissimi operatori del settore biologico: agricoltori biologici, trasformatori, commercianti e organizzazioni bio, anche se gli organizzatori non hanno nascosto la loro delusione per la presenza di un unico membro della Commissione Europea.

Ciò che è importante è che il settore biologico in Europa parli con una sola voce e che le richieste rivolte alla Commissione non diano l’impressione di un settore disunito e pieno di contrasti al proprio interno. . La direzione tracciata dall’incontro di Parigi è quello di una piattaforma comune, affinchè il mondo del biologico possa portare chiaramente le proprie istanze a Bruxelles in una fase cruciale di trasformazione dell’intero biologico europeo.

Fonte: Organic Market