USA: petizione contro l’uso del termine “natural” nel cibo
Spesso e volentieri, in particolare nei paesi anglosassoni, i termini natural (naturale) e organic (ovvero biologico) vengono confusi dai consumatori, aumentando il disorientamento al momento dell’acquisto. E secondo stime del gruppo Nielse, ammontano ad oltre 40 miliardi di dollari le vendite negli Stati Uniti di alimenti che riportano sulla confezione la parola “natural”: un termine che in realtà non ha un significato chiaro e univoco e il cui utilizzo è tuttavia autorizzato dalla FDA, la Food and Drug Administration (FDA) per gli alimenti che non contengono coloranti, aromi artificiali o sostanze sintetiche. Anche se è la stessa FDA a riconoscere che è difficile definire “naturale” un alimento o una bevanda che ha subito un processo industriale.
Per tutte queste ragioni l’organizzazione Consumers Reports ha lanciato recentemente una petizione on line chiedendo che sia proprio la FDA a vietare l’utilizzo di un’indicazione considerata fuorviante ed ingannevole. Secondo un’indagine del Consumer Reports National Research Center un numero elevatissimo di consumatori, compreso tra l’80 e l’89%, pensa erroneamente che nel caso della carne l’indicazione “natural” stia ad indicare che l’animale non è stato trattato con ormoni della crescita, antibiotici o altri farmaci. Cosa che nella maggior parte dei casi non corrisponde affatto al vero. Analogamente, per altri prodotti alimentari, la stragrande maggioranza dei consumatori americani ritiene che con il termine “natural” vengano indicati prodotti per la cui lavorazione non sono stati utilizzati prodotti chimici, pesticidi, ingredienti geneticamente modificati. Anmche in questo caso invece molto spesso non è così, dato che solo la dicitura “organic”, ovvero “biologico”, garantisce che si sia in presenza di alimenti controllati e regolamentati secondo precise normative che indicano le modalità di allevamento degli animali e di coltivazione dei vegetali.
Non resta che augurarsi che la battaglia per la trasparenza e la correttezza dell’informazione segni un nuovo punto a favore del biologico anche oltreoceano.
Fonte: Il Fatto Alimentare