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La più grande mobilitazione ambientalista della storia americana per chiedere l’impegno di Obama contro il global warming e le multinazionali del petrolio

Dopo le promesse, i fatti. E’ questo che hanno invocato a gran voce le oltre 40.000 persone che, lo scorso week end, si sono date appuntamento a Washington, davanti alla Casa Bianca, proprio nei giorni del President’s Day, dando vita a quella che è considerata la più imponente iniziativa ambientalista nell’intera storia degli Stati Uniti. Oltre alla capitale, i cortei infatti hanno coinvolto oltre 20 città americane e oltre un milione di attivisti on line che tramite blog e social media hanno rilanciato i contenuti della campagna.

Coinvolte tutte le principali organizzazioni ambientaliste (americane e non),  da Greenpeace al Sierra Club, da 350.org fino all’Indigenous Environmental Network: uno schieramento senza precedenti per invocare da parte di Barak Obama il mantenimento della promessa fatta nel suo recente discorso sullo stato dell’Unione, durante in quale il presidente degli Stati Uniti aveva dichiarato che «Per il bene dei nostri figli e del nostro futuro, dobbiamo fare di più per combattere il cambiamento climatico».

Simbolo della lotta ambientalista, il controverso progetto che prevede la realizzazione dell’oleodotto Keystone XL, un’infrastruttura gigantesca che, nelle intenzioni dei progettisti, dovrebbe convogliare il petrolio dal Canada fino alle coste del Texas, per poi essere spedito all’estero partendo dal Golfo del Messico (già peraltro drammaticamente deturpato dalla ben nota tragedia della Deepwater Horizon).

La posta in gioco è elevatissima: nei piani delle Big Oil, le grandi compagnie petrolifere nordamericane, l’oleodotto costituisce infatti l’elemento centrale di un piano che intende triplicare la produzione di petrolio da sabbie bituminose dagli attuali 2 milioni di barili al giorno fino a 6 milioni di barili al giorno entro il 2030 e, nel lungo periodo, giungere a superare la quota di 9 milioni di barili al giorno. Le minacce all’ambiente sono molteplici e di enorme entità, come sottolineato da un rapporto dell’Nrdc, il Natural Resources Defense Council americano. Innanzitutto, la natura stessa della risorsa indicherebbe una scommessa a lungo termine su una forma di investimento energetico basata non solo su un combustibile fossile, ma addirittura uno dei più sporchi del pianeta (quello appunto proveniente dalle sabbie bituminose). Secondariamente, attraverserebbe in pieno quella parte degli Stati Uniti considerata il vero e proprio “granaio d’America”, con ovvi e pesanti impatti sul territorio; infine, comporterebbe impatti climatici assai gravosi che porterebbero ad un importante aumento delle emissioni di anidride carbonica, vanificando gli sforzi che faticosamente la comunità internazionale sta producendo per ridurre l’impatto dell’uomo sul clima e ridurre gli effetti del global warming. «Sarebbe un disastro per il nostro clima – hanno dichiarato alcuni portavoce dell’iniziativa – la produzione di tar sands crude emette  due o tre volte più inquinamento da CO2 prodotto dal greggio convenzionale».

Molto chiare le parole di Bill McKibben, fondatore di 350.org, che ha stigmatizzato l’atteggiamento dei precedenti governi USA auspicando un deciso, concreto cambio di rotta: «Per 25 anni il nostro governo ha sostanzialmente ignorato la crisi climatica: ora un gran numero di persone stanno finalmente chiedendo che si metta al lavoro».

I problemi ambientali sono oramai al centro anche dell’agenda politica americana, come dimostrato da numerosi studi e sondaggi. Secondo le rilevazioni effettuate da Public Policy Polling subito dopo il discorso di Obama sullo stato dell’Unione, il 65% degli americani considera il cambiamento climatico un problema serio e la  maggioranza degli americani sostiene l’impegno del presidente per ridurne la causa principale, costituita appunto dalle emissioni di gas climalteranti, prima fra tutte l’anidride carbonica. .

«Fra 20  anni, nel  President’s Day, la gente vorrà sapere che cosa ha fatto il presidente di fronte all’innalzamento del livello del mare, alla siccità record ed alle furiose tempeste causati dalla distruzione del clima. Il presidente Obama ha in mano una penna e il potere di mantenere le sue promesse di speranza per i nostri figli. Oggi siamo qui per chiedergli di usare quella penna per respingere la Keystone XL tar sands pipeline e di garantire che questo sporco, pericoloso oleodotto non sarà mai costruito», ha dichiarato Michael Brune, direttore esecutivo di Sierra Club.

Fonte: Greenreport.it

FiBL e IFOAM presentano al BioFach le ultime statistiche in materia di agricoltura biologica nel mondo

L’Istituto di ricerca dell’agricoltura biologica (FiBL) e l’IFOAM hanno presentato al Biofach di Norimberga, conclusosi sabato scorso 16 febbraio,  le ultime statistiche in materia di agricoltura biologica nel mondo. Il 2012 è stato un anno molto importante per il biologico, come dimostrato dalla crescita costante del settore. Per la prima volta infatti è stata superata quota 60 miliardi di dollari totali per quanto riguarda le vendite di biologico a livello internazionale.

Secondo i dati FiBL-IFOAM, l’agricoltura biologica oggi coinvolge circa  1,8 milioni di agricoltori in 162 paesi interessando oltre 37 milioni di ettari di terreni agricoli in tutto il mondo (dato riferito al 2011). Il mercato globale degli alimenti biologici raggiunge oggi la ragguardevole cifra di 62,9 miliardi di dollari, equivalente a circa 45 miliardi di euro, con un incremento di 4 miliardi di dollari rispetto a quanto fatto registrare per il 2010.

Secondo le rilevazioni della società di ricerche di mercato Organic Monitor, il mercato principale è rappresentato dagli Stati Uniti, con 21 miliardi di euro. In Europa, dove sono stati spesi oltre 21,5 miliardi di euro in prodotti bio nel corso del 2012, la Germania detiene il primato di mercato più attento alle produzioni biologiche con vendite pari a 6.6 miliardi di euro, seguita dalla Francia (3,8 miliardi di euro). I paesi con la più alta spesa annuale pro capite sono stati la Svizzera e la Danimarca con più di 160 euro pro-capite.

Passando dai consumatori ai produttori, circa l’80 per cento degli 1,8 milioni di aziende agricole (salite in un anno  dai precedenti 1,6 milioni) sono situate in paesi in via di sviluppo. Come negli anni precedenti, i paesi con il maggior numero di produttori restano l’India (547.591), l’Uganda (188.625), il Messico (169.570) e la Tanzania (145.430), dati questi che rispecchiano quanto riportato in un altro autorevole studio pubblicato recentemente sul bio, il rapporto del Worldwatch Institute intitolato “Organic Agriculture Contributes to Sustainable Food Security” sul quale abbiamo scritto in un altro articolo nella nostra NL.

Dal punto di vista terreni agricoli, alla fine del 2011 erano coltivati secondo il metodo biologico un totale di 37,2 milioni di ettari. La crescita più significativa è avvenuta in Asia, con un aumento di quasi 1 milione di ettari, portando il totale delle coltivazioni biologiche in questa parte del mondo a 3,7 milioni di ettari (+34%  rispetto all’anno precedente). In Europa, campi agricoli bio sono cresciuti  di 0,6 milioni di ettari (+6 per cento): oggi ben 10,6 milioni di ettari sono ora biologici. Su scala globale, i  paesi con i più alti tassi di crescita sono stati la Cina (+510.000 ettari), l’India (+304.266 ettari) e la Spagna (+165.226 ettari).

Un terzo di tutti i terreni bio del mondo si trova è in Oceania (3%), seguita dall’Europa (2%), e dall’America Latina (1%). L’Australia è il paese con la più grande area agricola biologica (12 milioni di ettari, con il 97% di questa superficie utilizzata come pascolo), seguita da Argentina (3,8 milioni di ettari) e dagli Stati Uniti d’America (1,9 milioni di ettari). I paesi con la maggiore quota di terreni bio sul totale dei terreni agricoli sono le Isole Falkland (36%), seguite dal Liechtenstein (29%) e dall’Austria (20 per cento). In ben dieci paesi del mondo la quota di terreni bio è superiore al 10% del totale.

Queste cifre dimostrano che nei paesi in cui l’agricoltura biologica è istituzionalmente ben integrata, vi è una crescita costante del mercato e un’espansione continua delle superfici coltivate a biologico. Questo è particolarmente evidente nel caso dell’Europa, dove molti paesi forniscono una vasta gamma di misure di sostegno al biologico quali  pagamenti diretti, servizi di consulenza, ricerca e azioni mirate di marketing.

I dati qui brevemente riassunti sono stati presentati per il quattordicesimo anno consecutivo al BioFach. Il testo “Il mondo dell’agricoltura biologica in tutto il mondo”, realizzato in collaborazione tra FiBL e IFOAM, contiene relazioni e contributi a cura di  esperti nel settore biologico e riporta i trend emergenti nel settore. Il volume inoltre fornisce specifiche le informazioni sugli aspetti normativi e legislativi. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito www.organic-world.net.

Fonte: IFOAM, FiBL, Organic World

Suolo E Salute al Biofach 2013: il bio rappresenta la via per un’economia capace di futuro

Quattro giorni di manifestazione con oltre 40mila visitatori e 2400 espositori: l’edizione 2013 di Biofach si è focalizzata sui presupposti necessari per un’economia sostenibile e capace di futuro. Proprio sul tema dello sviluppo sostenibile all’insegna del bio si è concentrata la presenza di Suolo e Salute alla fiera di riferimento mondiale dedicata al mondo del biologico e del naturale. Il progetto BioTerr, volto alla valorizzazione del territorio in termini economici ed ambientali, di rinascita sociale e di tutela della biodiversità grazie alla pratica dell’agricoltura biologica, è stato il motivo conduttore di molti incontri con aziende, opinion leaders ed istituzioni.

Lo stand ha visto una elevata partecipazione sia di aziende italiane che estere interessate ai servizi di certificazione offerti da Suolo e Salute. Nell’ambito del rafforzamento delle collaborazioni, soprattutto all’estero, Suolo e Salute ha incontrato diversi Enti di certificazione tra i quali: BioIspecta ed IMO della Svizzera, l’olandese Control Union e l’indiano Biocert. Suolo e Salute ha partecipato a diversi convegni e manifestazioni organizzate nell’ambito della fiera; molto interessante è stato l’incontro organizzato da BioSuisse sui nuovi termini di accreditamento delle aziende bio autorizzate dall’associazione di produttori elvetica. Inoltre ha stretto rapporti con il KRAV svedese per la concessione del marchio alle aziende controllate ed interessate a commercializzare prodotti bio in Svezia.  Considerato il carattere internazionale della manifestazione Suolo e Salute ha incontrato aziende provenienti da diverse nazioni, interessate alla certificazione e allo sviluppo del biologico; in particolare è stato interessante l’incontro con il Presidente dell’associazione BioGhana per lo sviluppo del bio nel paese. Inoltre ha avuto modo di consolidare i rapporti con le istituzioni del biologico della Romania, paese a cui era dedicata l’edizione 2013 del Biofach.

Per ulteriori informazioni: sviluppo@suoloesalute.itwww.suoloesalute.it

“Mettiamo la sicura al nostro vino”: al via la campagna FederBio a tutela del vino biologico

“Noi, produttori di vino biologico, siamo sicuri di garantirti un prodotto unico e autentico. La nostra (e la tua) sicurezza si fonda sulla certificazione che impone al vino biologico di essere libero, naturale, privo di fertilizzanti, diserbanti, fungicidi e insetticidi chimici di sintesi. Solo quello certificato, infatti, è il vero vino biologico”. Con queste parole FederBio ha lanciato nei giorni scorsi la propria campagna di comunicazione a tutela del vino biologico dopo le recenti polemiche riguardo i cosiddetti vini “liberi” e “naturali”. La campagna, promossa in collaborazione con numerosi produttori, cantine e organismi di certificazione, intende rimarcare l’importanza della certificazione nel vino bio, principale strumento di garanzia e tutela per il consumatore e di salvaguardia per l’ambiente. Solo un vino effettivamente biologico, infatti, è caratterizzato dall’assenza di fertilizzanti, diserbanti, fungicidi e insetticidi chimici di sintesi, nel rispetto da quanto previsto e specificamente codificato dalla normativa europea in materia. Inoltre, come ogni prodotto biologico, anche il vino sottosta a verifiche, analisi ed ispezioni che consentono di conseguire un riconoscimento che lo rende effettivamente “libero” e “naturale”. E solo questo iter consente effettivamente, come recita il claim della campagna, di “mettere la sicura al vino”, grazie alla certificazione bio.

Fonte: FederBio

 

Assosementi: forti preoccupazioni per il vuoto normativo riguardo la certificazione delle sementi

Toni preoccupati quelli espressi da Paolo Marchesini, presidente di Assosementi, l’associazione che riunisce e rappresenta a livello nazionale l’industria sementiera. Secondo quanto si legge in un comunicato stampa dell’Associazione, infatti, a preoccupare è in particolare “il vuoto normativo lasciato dal ministero dell’agricoltura, che in questo settore mette seriamente a repentaglio la tracciabilità e il controllo delle produzioni agroalimentari». In questo modo, continua la nota di Assosementi, “è concreto il rischio che si ripresentino ritardi e disguidi nella certificazione ufficiale delle sementi, dopo i problemi dello scorso autunno, in vista delle nuove semine in Italia”.

Secondo quanto previsto dalla legge, infatti, tutte le sementi delle principali colture agrarie devono essere certificate, e l’intero settore sta attendendo da oltre sei mesi i decreti attuativi del Mipaaf in materia di certificazione di qualità. Il problema è sorto inizialmente nel 2010, con il confluire dell’Ense, l’ Ente nazionale sementi elette, nell’Inran, Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, in seguito abolito nell’estate del 2012 nell’ambito della celebre spending review. Con legge 228 del 24 dicembre 2012 la certificazione delle sementi è diventata competenza del Cra, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, ma manca a tutt’oggi uno specifico assetto operativo. “I consumatori purtroppo ignorano che il seme certificato è il primo anello della filiera agroalimentare ed è il fulcro di un sistema produttivo orientato alla qualità, che viene garantita dall’alta germinabilità e dalla sanità del seme e dalla tracciabilità del raccolto – ha dichiarato Marchesini – Chiediamo che il ministro dell’agricoltura emani con la massima urgenza i previsti decreti attuativi con cui si chiariscano le procedure e le responsabilità del Cra nella certificazione di qualità delle sementi». L’assenza di indicazioni normative precise infatti mette pesantemente a rischio sia la tracciabilità delle produzioni che i controlli di filiera, con conseguenti problemi e danni potenziali non solo per gli agricoltori e le aziende sementiere, ma per l’intero sistema distributivo alimentare.

Fonte: Assosementi, Agrinotizie

Un nuovo studio per prevenire i danni dovuti alla siccità

Come è noto, la siccità rappresenta una delle calamità principali per il settore agricolo, con danni spesso pesantissimi alle coltivazioni. Nei soli Stati Uniti si stimano perdite pari ad otto milioni di dollari causate dalla scarsità idrica. Ma oggi è disponibile uno strumento ulteriore e più efficace per contrastare i danni da siccità. A proporlo un recente studio apparso sull’Agronomy Journal, prestigiosa rivista di settore, nel quale viene proposto l’utilizzo dell’ARID, acronimo per The Agricultural Reference Index for Drought (Indice di riferimento agricolo per la siccità), concepito per  quantificare il deficit idrico delle coltivazioni e prevedere l’effetto del deficit stesso sulle rese dei raccolti. Lo studio, riferito a cinque diverse località selezionate nel sud-est degli Stati Uniti utilizzando dati meteorologici storici relativi al trentennio 1971-2000, suggerisce in particolare la realizzazione di calendari di siccità stagionale sui quali sincronizzazione le coltivazioni. Il tutto riferendosi in particolare ai dati relativi alle precipitazioni e alla conseguente disponibilità idrica dei suoli nonché al tasso di umidità del terreno,  considerato secondo il modello il fattore predittivo più efficace, seguito dalla profondità delle radici. La combinazione di queste analisi, secondo lo studio, consente di formulare calendari anti-siccità assai più precisi ed efficaci rispetto alle informazioni fornite dalle semplici misurazioni atmosferiche.

Fonte: Agronomy Journal, Agrinotizie