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LA GENERAZIONE Z E I MILLENNIALS AMANO IL BIOLOGICO

LA GENERAZIONE Z E I MILLENNIALS AMANO IL BIOLOGICO

In Gran Bretagna, almeno. Emerge da una ricerca condotta su YouGov dagli amici della Soil Association, la storica associazione biologica britannica

Nonostante la crisi economica e gli incrementi del costo della vita, risulta che poco meno della metà dei 25-34enni (43%) si sente più felice quando acquista prodotti biologici, perché fa la differenza per l’ambiente. Estendendo a tutta la popolazione, quasi un quarto (22 % ) di tutti i britannici si sente più sano e felice scegliendo opzioni sostenibili.

Il 41 percento degli adulti afferma che la sostenibilità ambientale influisce parecchio sulle decisioni che prende in merito al cibo.

L’indagine condotta su oltre 2.000 adulti del Regno Unito ha scoperto che le generazioni più giovani, in particolare quelle di età compresa tra 18 e 34 anni, stanno guidando il cambiamento verso decisioni di acquisto rispettose del pianeta. Oltre il 20  percento dei 25-34enni considera essenziali fattori come sostenibilità, imballaggi ridotti e benefici per la salute, piuttosto che gli altri aspetti, il che è promettente, se si considera che la percentuale crolla al 9  percento di chi ha 65 anni e più.

Per i consumatori più giovani, scegliere il biologico non è solo una decisione personale per la salute, è  un modo per sostenere attivamente il pianeta, ma anche più di uno su tre (37 percento ) dei 35-44enni è motivato dal desiderio di fare scelte migliori per l’ambiente, con le donne leggermente più propense degli uomini a selezionare prodotti con un impatto ambientale positivo.

Il 90 percento dei britannici crede che piccoli cambiamenti possano fare una differenza significativa; Soil Association li incoraggia a considerare le loro scelte quotidiane nel suo “Organic September”, intero mese in cui l’organizzazione concentra iniziative divulgative, promozionali, visite aziendali ed eventi: “Fare la scelta consapevole di sostituire nella propria spesa uno o due articoli con prodotti biologici è un modo semplice per contribuire a un pianeta più sano e a un futuro più sostenibile, e anche un modo che fa sentire bene”.

 

Per saperne di più: https://www.ukorganic.org/organic-september

È IMPORTANTE CONOSCERE ESATTAMENTE I PROPRI CLIENTI E QUALE RUOLO GIOCANO GUSTO E CREDIBILITÀ

È IMPORTANTE CONOSCERE ESATTAMENTE I PROPRI CLIENTI E QUALE RUOLO GIOCANO GUSTO E CREDIBILITÀ

Per raggiungere l’obiettivo del 30% di superficie biologica entro il 2030 (il governo tedesco non si è accontentato del 25% obiettivo della UE) sono necessari cambiamenti fondamentali nel modo in cui avviciniamo i consumatori: questa la raccomandazione dell’Institut für Handelsforschung Köln (IFH, Istituto per la ricerca sul commercio al dettaglio di Colonia)

Per prima cosa, nella comunicazione, dove gusto e salute dovrebbero venire prima della sostenibilità.

È emerso nella 19° conferenza sul mercato organizzato dalla rivista specializzata BioHandel.

L’IFH ha esaminato il comportamento d’acquisto dei consumatori di prodotti biologici, che ha suddiviso in tre categorie:

  • Acquirenti biologici selettivi, per i quali il biologico non è l’aspetto principale, per i quali sono cruciali criteri come il gusto (53%)
  • Acquirenti che per scelta consapevole, nella misura del possibile acquistano solo biologico (26%)
  • Acquirenti non biologici, la metà dei quali acquista anche biologico in modo piuttosto casuale (21%)

Anche in tempi economicamente difficili, il tema della sostenibilità è saldamente radicato nella società, e sta emergendo un nuovo gruppo di acquirenti, soprattutto tra le generazioni più giovani, per le quali l’adozione di uno stile di vita sostenibile è ormai scontata.

Ma da un lato il potere d’acquisto dei giovani è limitato (anche in Germania si registrano precariato, part-time e basso reddito), dall’altro gli scaffali sono invasi di prodotti che vantano la loro sostenibilità, anche se spesso è greenwashing: il tema è ormai banalizzato. Ma in ogni caso, anche il grippo dei consumatori convinti necessita di un approccio adeguato.

Secondo i risultati dell’IFH, il gusto è il fattore dominante nella motivazione all’acquisto di prodotti biologici (42% degli intervistati), seguito dai problemi di salute (34%); la sostenibilità (23%) si colloca al terzo posto, anche se è più pronunciata tra gli acquirenti del secondo gruppo.

Le imprese, quindi, dovrebbero conoscere meglio la tipologia della propria clientela, per individuare la narrazione più adatta per attirare maggior interesse sui propri prodotti ed espandere le quote di mercato.

Secondo l’IFH è possibile conquistare nuovi clienti anche con un buon assortimento. È stato sviluppato uno scenario in cui ai consumatori è stato chiesto di indicare cosa avrebbero fatto se le mele biologiche nel loro punto vendita non avessero soddisfatto le loro aspettative.

Risultato: il dieci per cento cambierebbe negozio. Non sembra molto, ma sono molti meno i consumatori che dichiarano che lascerebbero un punto vendita che ritenessero avere prezzi troppo alti.

In ogni caso, l’indagine conferma che non c’è un “unico” luogo di acquisto: in media i clienti ne visitano 3,1 tra negozi biologici, mercati, supermercati e discount; il punto di forza del canale specializzato è stato per anni l’ampiezza e la profondità dell’assortimento, che ora pesa meno, con le catene di supermercati convenzionali che ampliano continuamente la loro offerta biologica, sia in termini di quantità che di qualità. La GDO non si limita più a copiare i prodotti, adesso porta i marchi specializzati anche nei suoi punti vendita, spesso in accordo con le associazioni dei produttori biologici.

Non va nemmeno dimenticato che stanno cambiando i consumi in generale dei tedeschi, con un deciso calo nelle vendite di carne e prodotti animali (solo il 39% dichiara di non aver ridotto o eliminato l’acquisto di queste categorie).

Insomma, sia le imprese che il canale specializzato devono studiare bene i propri clienti e trovare nuovi argomenti con cui rimanere attraenti per quelli acquisiti e conquistarne di nuovi.

RIPRISTINO DELLA NATURA, IL CONSIGLIO UE APPROVA DOPO MESI DI STALLO

RIPRISTINO DELLA NATURA, IL CONSIGLIO UE APPROVA DOPO MESI DI STALLO

Contro ogni pronostico post-elettorale, la nuova legislazione europea passa a maggioranza. Ogni Stato membro dovrà elaborare piani nazionali per il ristoro del 20% degli ecosistemi terrestri e marini degradati entro il 2030 por poi passare al 90% entro il 2050

Ripristino della natura: dopo il voto positivo dell’EuroParlamento dello scorso febbraio (leggi qui) arriva anche l’inatteso via libera del Consiglio Ue. Nella riunione che si è tenuta in Lussemburgo lo scorso 17 giugno il cambio di posizione dell’ultimo minuto da parte dell’Austria, annunciato dal ministro dell’ambiente di Vienna Leonore Gewessler, ha ribaltato l’esito della votazione segnando l’ultimo passo per uno dei dossier più dibattuti del Green Deal.

Anche la Slovacchia, che in precedenza aveva espresso pubblicamente dubbi sulla proposta, ha sostenuto il testo durante il voto cruciale, consentendo alla legge di passare con una maggioranza risicata di 20 paesi che rappresentano il 66% della popolazione dell’Ue (la soglia per l’approvazione a maggioranza qualificata in seno al Consiglio è del 65%).

L’opposizione dell’Italia

L’Italia si è opposta a lungo al testo e l’ex ministro Gian Marco Centinaio ha commentato, all’indomani del voto, che il Consiglio non ha voluto tenere conto della chiara indicazione emersa dalle elezioni europee.

In Parlamento, la legislazione ha infatti incontrato una significativa opposizione da parte del Partito popolare europeo (PPE) di centro-destra, che ha sollevato preoccupazioni per l’impatto sul settore agricolo dell’UE, un’opposizione successivamente alimentata dalle proteste agricole di inizio anno.

Il regolamento pionieristico fissa obiettivi giuridicamente vincolanti per ripristinare il 20% degli ecosistemi terrestri e marini degradati dell’UE entro il 2030 e tutti gli ecosistemi entro il 2050.

Per raggiungere questi obiettivi, i paesi dell’UE devono sottoporre alla Commissione appositi progetti di piani nazionali per ripristinare almeno il 30% degli habitat naturali in situazione di degrado entro il 2030, come foreste, praterie, zone umide, fiumi e laghi, e il 90% entro il 2050. Gli Stati membri devono inoltre garantire che tali aree non si deteriorino una volta ripristinate.

Vincoli annacquati per l’agricoltura

Tuttavia, il testo finale ha annacquato molti dei requisiti per il settore agricolo, in particolare introducendo un “freno di emergenza” in modo che gli obiettivi che interessano l’agricoltura possano essere sospesi “in circostanze eccezionali” che minacciano la sicurezza alimentare.

La legge entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE.

QUANDO IL GIOCO SI FA DURO… SUOLO E SALUTE RILANCIA SULLA SOSTENIBILITÀ

QUANDO IL GIOCO SI FA DURO… SUOLO E SALUTE RILANCIA SULLA SOSTENIBILITÀ

Il nostro organismo di controllo e certificazione supporta il 15° Sustainable Foods Summit in programma ad Amsterdam il 4 e 5 luglio. Ecco i temi sul tavolo e i nodi da sciogliere…

Quando il gioco per la sostenibilità si fa duro, i duri rilanciano sulla sostenibilità. Parafrasando il motto reso immortale da John Belushi in Animal house (“When the going gets tough… let the tough get going”), è questo lo spirito con cui Suolo e Salute sostiene con la sua partnership la 15 edizione del Sustainable Foods Summit, in programma ad Amsterdam il 4 e 5 luglio.

I temi sul tavolo

Organizzato da Ecovia Intelligence, una società di ricerca, consulenza e formazione sulla produzione e consumo equo&sostenibile con sede a Londra, il Sustainable Foods Summit si occupa dal 2009 dello sviluppo sostenibile dell’industria alimentare. Come si stanno evolvendo i sistemi di sostenibilità e i marchi di qualità ecologica nell’industria alimentare? Con la crescente proliferazione delle etichette, quali sono le prospettive di un unico standard di sostenibilità per i prodotti alimentari? Quali sono le prospettive future per gli alimenti a base vegetale? Quali sviluppi si stanno verificando negli ingredienti sostenibili? In che modo le aziende del settore food & beverage possono muoversi verso la circolarità? In che modo gli operatori possono chiudere i cicli dei materiali? Sono solo alcuni dei temi affrontati nella due giorni di Amsterdam.

La biodiversità degli ingredienti alimentari

La quindicesima edizione europea del summit intende in particolare approfondire il tema dell’innovazione nel campo delle alternative sostenibili agli ingredienti alimentari.

Jeroen Hugenholtz, co-fondatore di NoPalm Ingredients, spiegherà ad esempio una nuova alternativa biotecnologica all’olio di palma. Questa start-up ha sviluppato infatti una tecnologia basata sulla fermentazione da parte di lieviti di biomasse alimentare per la produzione di oli e grassi alimentari saturi e monoinsaturi.

Dorothy Shaver, Global Food Sustainability Director di Unilever, parlerà invece dell’importanza della biodiversità degli ingredienti. Specie alimentari poco conosciute di cereali, leguminose,ecc, edibili sotto forma di tuberi, germogli, verdure, noci e semi, possono infatti avere un minore impatto ambientale e un valore nutrizionale più elevato. Mentre molte aziende alimentari si preparano ad affrontare i nuovi vincoli del regolamento europeo sui prodotti a deforestazione zero (EUDR), che dovrebbe essere implementato nel dicembre 2024, un esperto del settore fornirà indicazioni su come garantire che catene di approvvigionamento agricolo conformi.

Il ruolo sempre più decisivo degli enti di certificazione

«E questo è solo l’ultimo esempio – commenta Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute – che mostra come trasparenza e tracciabilità stiano diventando sempre più importanti per consolidare le partnership tra produttori, trasformatori e distributori all’interno delle filiere agroalimentari». «Organismi di certificazione e controllo come il nostro assumono un ruolo sempre più importante nel consolidare la catena del valore».

Al centro della sessione Social Value il Summit di Amsterdam mette invece il tema della sostenibilità sociale della produzione di cibo. La sessione inizierà con un intervento di Julian Baggini, intellettuale inglese cofondatore della rivista The Philosophers’ Magazine , sull’evoluzione del ruolo del cibo nella società moderna e su come i temi della sostenibilità stiano influenzando la produzione alimentare e le scelte dei consumatori. Julian condividerà estratti dal suo prossimo libro, “How The World Eats: A Global Food Philosophy”.

L’impatto sociali delle catene di approvvigionamento alimentare

Cristina Figaredo di FAIRR Initiative (una rete internazionali di investimenti sostenibili) proporrà un nuovo metodo per analizzare i rischi sociali legati alle catene di approvvigionamento alimentare e agricolo e un approccio per mitigare tali rischi. Claudio Krause di Fairtrade International evidenzierà l’impatto positivo dell’approvvigionamento equo e solidale sui piccoli produttori. Secondo l’organizzazione, nel 2023 le organizzazioni di produttori hanno ricevuto 222 milioni di euro a titolo di Premio Fairtrade, a beneficio soprattutto dei produttori di banane, cacao, zucchero, caffè e tè.

Deborah Vorhies, CEO di FairWild Foundation, spiegherà come lo standard FairWild promuova l’approvvigionamento sostenibile di piante selvatiche, bacche e frutti correlati. Aduna Superfoods, pioniere dell’approvvigionamento etico, condividerà le sue esperienze nell’approvvigionamento e nella commercializzazione di baobab, moringa e fonio dall’Africa attraverso il suo CEO e co-fondatore Andrew Hunt.

La sessione di marketing si aprirà con un keynote di Bibianne Roetert di Tony’s Chocolonely. Nato come protesta contro il cioccolato convenzionale nel 2005, è ora il marchio di cioccolato leader nei Paesi Bassi e si è espanso in Europa e negli Stati Uniti. Bibianne parlerà della strategia di marketing del brand, spiegando come sta sensibilizzando l’opinione pubblica sullo sfruttamento della manodopera nelle catene di approvvigionamento del cacao.

«La domanda chiave – conclude D’Elia – a cui il Summit è chiamato a trovare una risposta è: “Nell’attuale clima economico, come possono incoraggiare i consumatori ad acquistare prodotti sostenibili e ad essere più responsabili?”».

GREENWASHING E CARBON CREDIT, UNA DIRETTIVA PER FARE CHIAREZZA

GREENWASHING E CARBON CREDIT, UNA DIRETTIVA PER FARE CHIAREZZA

Il Consiglio dei ministri dell’Ambiente dei 27 Paesi membri dell’Unione traccia la cornice della Direttiva Green Claims: gli slogan ambientali e climatici devono essere dimostrati

Non solo la Nature Restoration Law (vedi la prima notizia di questa newsletter), il Consiglio Ue sdogana anche la nuova Direttiva Green Claims.

Nodi green da sciogliere

I ministri dell’Ambiente europei hanno infatti voluto affrontare i più spinosi nodi “green” ancora da sciogliere nel corso della riunione del Consiglio Ue svolto in Lussemburgo il 17 giugno.

Una riunione particolarmente prolifica, visto che i ventisette Paesi membri hanno raggiunto l’accordo su una serie di proposte relative alla Direttiva Green Claims, un provvedimento volto a contrastare il greenwashing e a fornire ai consumatori informazioni affidabili e verificabili per decisioni d’acquisto più ecologiche, proposto per la prima volta nel marzo 2023 e approvato dall’Europarlamento un anno dopo (Suolo e Salute ne ha parlato qui).

Alcuni recenti casi giudiziari (vedi il ricorso di Ifoam Organics Eu contro il sistema Ecoscore) mostrano che la necessità di portare chiarezza riguardo alle indicazioni ambientali presenti sulle etichette dei prodotti agroalimentari è ormai inderogabile. L’orientamento generale espresso il 17 giugno dal Consiglio costituirà la base per i triloghi sulla forma finale della direttiva, i cui negoziati inizieranno nel nuovo ciclo legislativo.

Dichiarazioni da dimostrare

La proposta di Direttiva si rivolge alle dichiarazioni ambientali esplicite e alle etichette ambientali volontarie utilizzate dalle aziende per promuovere i loro prodotti. Include anche i sistemi di etichettatura ambientale esistenti e futuri, sia pubblici che privati, specificando gli obblighi per ciascun comparto. Le aziende devono utilizzare criteri chiari e prove scientifiche aggiornate per corroborare le loro asserzioni. Le dichiarazioni e le etichette devono essere chiare, comprensibili e specifiche rispetto alle caratteristiche ambientali dichiarate. Un principio fondamentale ribadito dalla bozza di direttiva è la verifica ex ante delle dichiarazioni ambientali da parte di esperti indipendenti, per garantire la loro veridicità prima della pubblicazione. Tuttavia, è prevista una procedura semplificata per esentare alcune tipologie di asserzioni dalla verifica di terze parti, purché le imprese forniscano un documento tecnico di conformità.

I sistemi di etichettatura ecologica EN ISO 14024 tipo 1 riconosciuti ufficialmente in uno Stato membro saranno esentati dalla verifica se rispettano le nuove norme. Il riconoscimento in un Paese permette dunque la validità in tutta la UE.

Crediti di carbonio, il ruolo dell’agricoltura

La direttiva affronta anche il tema spinoso delle dichiarazioni relative al clima, comprese quelle che coinvolgono i crediti di carbonio, introducendo nuovi requisiti. Le aziende devono fornire dettagli sul tipo e la quantità di questi crediti, dichiarando anche se sono permanenti o temporanei. Verrà fatta una distinzione fra crediti per azioni climatiche e crediti di compensazione, cioè tra quelli che dovrebbero avere un effetto “addizionale” e quelli che invece bilanciano un’attività inquinante. In entrambi i casi, i problemi di metodologia hanno finora dimostrato la fallacia del sistema di “finanziarizzazione” del clima. Positivo, al riguardo, il commento di Copa-Cogeca, la centrale di rappresentanza delle associazioni agricole a Bruxelles. «Questo approccio sui carbon credit prende in considerazione la realtà delle aziende agricole e dà la giusta flessibilità all’uso dei crediti di carbonio nel mercato volontario».

ECOSCORE DEVE TROVARSI UN NUOVO NOME

ECOSCORE DEVE TROVARSI UN NUOVO NOME

Accordo stragiudiziale tra IFOAM Organics Eu e l’agenzia nazionale francese Ademe: il famigerato sistema di etichettatura a semaforo infrange le fattispecie “semantiche” del regolamento sul bio e dovrà trovare una nuova denominazione

La nuova direttiva sui “green claims” non è ancora approvata (vedi notizia precedente) e già produce i primi frutti. Sembra infatti risolversi in maniera positiva la querelle legale che ha contrapposto in Franca la rete di riferimento del bio europeo (IFOAM Organics Eu) e l’agenzie nazionale per l’ambiente Ademe, l’applicazione mobile Yuka e le catene della gdo transalpina partner di questa discussa iniziativa.

Il ricorso di IFOAM Organics Europe

Nel gennaio 2023, la federazione europea dell’agricoltura biologica (IFOAM Organics Europe) e i suoi membri francesi (IFOAM France) avevano infatti avviato un’azione legale dinanzi al Tribunale giudiziario di Parigi e un ricorso dinanzi all’INPI (Istituto nazionale della proprietà intellettuale) contro l’indicatore di impatto ambientale “Ecoscore”.

I punti dell’accordo

La mediazione, prima giudiziale e poi convenzionale, in corso da allora, ha raggiunto a inizio giugno  un accordo tra le parti che pone fine a queste procedure legali. Secondo il sito Bioecoactual tale accordo prevede in particolare che:

 

  • poiché le autorità pubbliche si stanno muovendo verso un altro nome per designare il sistema di etichettatura ambientale, Ademe ritirerà il marchio denominativo “Ecoscore” per il settore alimentare e agroalimentare presso l’Inpi;
  • Yuka ed Eco2 Initiative rinunciano, entro e non oltre il 31 dicembre 2024, a disegni e modelli contenenti il termine “Ecoscore” registrati a livello europeo;

IFOAM Organics Europe, IFOAM France, Yuka, Eco2 Initiative, Open Food Facts e Ademe dichiarano di essere d’accordo su:

  • l’importanza di fornire ai consumatori informazioni affidabili e trasparenti sull’impatto ambientale dei prodotti alimentari al fine di aiutarli a compiere scelte più responsabili e sostenibili;
  • il ruolo essenziale dell’agricoltura biologica e dell’agroecologia per la transizione agroalimentare;
  • la necessità di promuovere nuove abitudini alimentari e di lavorare allo stesso tempo, in particolare, su:
    • verso un’agricoltura di qualità e più rispettosa dell’ambiente,
    • un’agricoltura che limiti il suo impatto sui cambiamenti climatici,
    • un’agricoltura che preserva la biodiversità,
    • ridurre l’uso di pesticidi,
    • la riduzione della porzione di carne nella nostra dieta, in una logica di “less but better” che ci permette di privilegiare la carne proveniente dagli allevamenti più sostenibili, come gli allevamenti estensivi a marchio,
    • ridurre la pressione sulle risorse marine,
    • rispetto delle stagioni per frutta e verdura,
    • ridurre il trasporto di derrate alimentari e promuovere la produzione locale;
    • riduzione dei rifiuti di imballaggio inquinanti,
    • la difficoltà di condurre contemporaneamente queste diverse battaglie e la necessità di collaborazione tra tutti gli attori che lavorano per la transizione del sistema alimentare, di cui fanno parte.