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IL GRANO RESISTENTE AL CLIMATE CHANGE CHE VIENE DALL’ACROCORO ETIOPICO

IL GRANO RESISTENTE AL CLIMATE CHANGE CHE VIENE DALL’ACROCORO ETIOPICO

Due ricerche pubblicate su Pnas della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa anno selezionato, da un campione di 1.200,  le varietà più con maggiori capacità di adattamento e produttività mettendo a frutto le conoscenze dei cerealicoltori del paese africano

Varietà di frumento più resistenti al clima che cambia. È uno degli obiettivi più sfidanti per la genetica agraria, ma una delle linee più promettenti deriva dall’attività di selezione massale effettuata per secoli dagli agricoltori etiopi. Alcune delle acquisizioni più recenti su questo tema sono state infatti  evidenziate in due ricerche, pubblicate entrambe su Pnas, Rivista della Società per l’avanzamento delle scienze degli Stati Uniti.

Pisa epicentro del miglioramento genetico del frumento

Tutti e due gli studi parlano italiano, grazie al contributo della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa con il suo Centro di Ricerca in Scienze delle Piante. I cui ricercatori hanno messo a punto un metodo per accelerare la produzione di piante più resistenti e produttive, grazie all’esperienza degli agricoltori degli altipiani dell’Etiopia, per l’appunto. Il primo studio, coordinato dal della Scuola Sant’Anna, è stato condotto in collaborazione con l’Amhara Regional Agricultural Research Institute (Etiopia), il Biodiversity International e il Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano (Italia).  Il secondo è invece coordinato da Biodiversity International. Entrambe le ricerche dimostrano che approcci in grado di integrare informazione genetica, climatica e conoscenza tradizionale degli agricoltori siano la chiave per aumentare la sostenibilità dell’agricoltura e la sicurezza alimentare nel Sud del mondo.

Milleduecento varietà al vaglio

Oltre 1.200 varietà di grano sono state prodotte e analizzate, identificando nuovi tipi di grano con maggiori capacità di adattamento e produttività. La selezione, svolta in collaborazione con gli agricoltori locali, ha dimostrato di avere un’accuratezza più che doppia rispetto a quella eseguita da tecnici e ricercatori.

«Il grano dell’Etiopia – rileva Matteo Dell’Acqua, docente di Genetica agraria della Scuola Sant’Anna e coordinatore del Centro di ricerca in Scienze delle piante – rappresenta un’enorme ricchezza, sviluppata nei secoli dagli agricoltori locali».

Il progetto Africa connect

La ricerca è stata condotta nell’ambito del progetto AfricaConnect, un programma speciale della Scuola Superiore Sant’Anna che si pone l’obiettivo di unire le scienze sociali e le scienze sperimentali con l’obiettivo di supportare lo sviluppo sostenibile in Africa. Mario Enrico Pè, docente alla Sant’Anna e impegnato in AfricaConnect, rileva che «è grazie a metodi transdisciplinari che uniscano scienze del clima, della genetica, dell’agronomia, e delle scienze sociali che è possibile avere un impatto duraturo sulle vite degli agricoltori dei paesi emergenti».

Sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 23 febbraio 2023 è stato pubblicato il Decreto n. 663273 28 dicembre 2022, che disciplina i requisiti necessari per la costituzione e il riconoscimento dei distretti biologici e dei biodistretti.

IL BIO FA BENE AL TERRITORIO  E ALLA QUALITÀ DEL BRUNELLO

IL BIO FA BENE AL TERRITORIO E ALLA QUALITÀ DEL BRUNELLO

Tredici vendemmie bio certificate da Suolo e Salute hanno assicurato all’azienda Col d’Orcia la possibilità di preservare la biodiversità e la storicità di un territorio considerato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Un impegno che ora si affianca a quello della certificazione di sostenibilità Equalitas per soddisfare le richieste di attenzione alla tutela sociale richiesta nei mercati del Nord Europa. Il Patron Marone Cinzano: «Il futuro continua però a essere bio»

È il percorso che sta tracciando l’azienda Col d’Orcia, storica realtà al confine sud ovest dell’areale di produzione del Brunello di Montalcino Docg. La ricerca dell’equilibrio tra produzione e ambiente è la molla che ha spinto Francesco Marone Cinzano, proprietario dell’azienda, a puntare sul biologico, certificato da Suolo e Salute sin dal 2010. «Ma ricorriamo agli inerbimenti – specifica- all’interramento del letame e al sovescio da oltre 40 anni». Una sfida affrontata con decisione, rappresentando per anni il vigneto bio più esteso della Toscana e costituendo, sei anni fa, il comitato di produttori Montalcino bio, per promuovere la responsabilità collettiva sulla necessità della salvaguardia della biodiversità di un territorio unico.

Il “buon governo” del paesaggio

Un’attenzione giustificata dal rispetto di un paesaggio riconosciuto come patrimonio dell’umanità dall’Unesco. L’attuale aspetto della Val d’Orcia è infatti da collegare direttamente alle sistemazioni agrarie compiute ai margini della via francigena nel corso del tardo Rinascimento, seguendo gli ideali di buon governo. «In questo territorio il vigneto non è mai stato predominante, ma accompagnato da vaste aree cerealicole, olivicole e a bosco». Un orientamento rispettato nell’azienda Col d’Orcia, il cui vigneto copre “solo” 145 ettari, meno della metà dell’intera superficie aziendale (dove trova spazio un’ampia macchia mediterranea).

La ricetta per unire qualità e attenzione all’ambiente

Accurata gestione del suolo, attenta selezione clonale, bassa resa per ettaro, rigorosa cura manuale delle uve consentono ai vigneti di esprimere al meglio le straordinarie potenzialità ambientali di questa zona unica. Recenti prove quadriennali del dipartimento Diproves dell’Università Cattolica di Piacenza hanno evidenziato, in altri areali, un effetto significativo causato dalla copertura vegetale perenne del suolo sui parametri di qualità dei vini prodotti come il contenuto in antociani e polifenoli totali dei vini rossi.

L’effetto del bio

Marone Cinzano non è sicuro dell’effetto del biologico sulla durata dell’invecchiamento di referenze come il Brunello Riserva Poggio al Vento, top di gamma ottenuto da un cru aziendale caratterizzato da un suolo ricco di sabbia e calcare, in grado di assicurare acidità elevate e tannini fini e vellutati.

«L’attenta gestione della copertura dell’interfilare – dice – ha comunque assicurato una migliore gestione idrica dei suoli, con effetti positivi nella prevenzione fitosanitaria nelle annate critiche per i livelli di precipitazione e assicurando maggiore resilienza nelle ultime annate, quando l’effetto climate change si è fatto evidente anche in Val d’Orcia».

L’attenzione al sociale

Una certificazione biologica che negli ultimi tempi di sta affiancando anche a quella Equalitas per i vini sostenibili. «In questo incide – spiega Marone Cinzano – l’attenzione alla sostenibilità sociale che manifestano in particolare alcuni mercati del Nord Europa».

La sostenibilità del vino non ha infatti un significato univoco in ogni Paese. In Scandinavia ad esempio sono predominanti aspetti come il rispetto del lavoro e della parità di genere. Con le ispezioni degli organismi di controllo dei distributori di riferimento che arrivano a verificare le date di scadenza dei medicinali negli armadietti pronto soccorso destinati ai lavoratori.

La marcia in più del biologico

Una doppia certificazione di prodotto e di processo che rafforza l’impegno e la riconoscibilità di Col d’Orcia sui mercati internazionali senza “tradire” le convinzioni di Marone Cinzano. «Il biologico – dice – è il metodo che garantisce di più l’ambiente e la salute delle persone e per avere la conferma basta eseguire un’analisi multiresiduo sui vini ottenuti con questo metodo di produzione». «Il futuro è bio – conclude Marone Cinzano – non ci sono dubbi su questa necessità».

B/OPEN IN CONCOMITANZA CON VINITALY E SOL&AGRIFOOD

B/OPEN IN CONCOMITANZA CON VINITALY E SOL&AGRIFOOD

Dal 2 al 5 aprile al padiglione C di Fiera di Verona workshop, degustazioni guidate e incontri B2B sul biologico certificato

Torna B/Open e si affianca a Vinitaly e Sol&Agrifood. La terza edizione dell’unico evento B2B in Italia dedicato esclusivamente al food biologico si svolgerà infatti al padiglione C della Fiera di Verona dal 2 al 5 aprile (clicca per accedere alla pagina della fiera).

Sinergie tra rassegne

Con questa sinergia tra manifestazioni, Veronafiere desidera creare un hub dedicato al food di qualità, che già comprende in Sol&Agrifood prodotti di valore come olio evo, birra artigianale, alimenti tipici che ora, attraverso B/Open, si allarga al mondo del biologico certificato e alle produzioni attente alla sostenibilità.

Nel corso dell’evento sono previsti incontri B2B con delegazioni commerciali selezionate da Veronafiere; workshop, degustazioni guidate e cooking show.

Il workshop con le tendenze del bio

Nell’ambito del salone si terrà, martedì 4 aprile (dalle 11.30 alle 12.30) il talk show “Biologico, da nicchia a mercato” con la partecipazione del Sottosegretario di Stato del Masaf On. Luigi D’Eramo il Presidente di Assocertbio, Riccardo Cozzo (che presenterà i trend di numero operatori e superfici nel 2022 secondo l’osservatorio di Assocertbio), la piattaforma The Fork, che presenterà i risultati di una prima survey sull’utilizzo di ingredienti e prodotti biologici nei ristoranti abbonati all’app.

ANAPROBIO: «LE TEA STIANO LONTANE DAL BIOLOGICO»

ANAPROBIO: «LE TEA STIANO LONTANE DAL BIOLOGICO»

Le tecniche di evoluzione assistita sono incompatibili con la naturalità di questo metodo di produzione. Cirronis: «Il bio deve difendere la sua specificità rispetto all’agricoltura convenzionale»

«Le New Breeding Techniques (Nbt) o Tecniche di Evoluzione Assistita (Tea), ovvero quelle metodologie di modificazione genetica che intervengono sul DNA delle piante, non devono essere usate per il comparto biologico che deve difendere la sua specificità rispetto all’agricoltura convenzionale».

«Non a caso gli ogm sono espressamente vietati in agricoltura biologica e dobbiamo dare ai consumatori messaggi chiari sul prodotto biologico».

Lo afferma il presidente di Anaprobio Italia Ignazio Cirronis, precisando di non voler entrare nel merito delle scelte generali su queste tecniche.

Le sentenze europee

«Sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno affermato, fra l’altro, che i rischi legati all’impiego di nuove tecniche o nuovi metodi di mutagenesi potrebbero essere simili a quelli risultanti dalla produzione e dalla diffusione di ogm tramite transgenesi e cioè, in sostanza, che la modifica diretta del materiale genetico di un organismo tramite mutagenesi consente di ottenere i medesimi effetti dell’introduzione di un gene estraneo in detto organismo; peraltro, lo sviluppo di tali nuove tecniche o nuovi metodi consente di produrre varietà geneticamente modificate ad un ritmo e in quantità non paragonabili a quelli risultanti dall’applicazione di metodi tradizionali di mutagenesi casuale».

Cirronis fa notare che «il dibattito tra scienziati è aperto e che il Governo sembrerebbe orientato a introdurre queste nuove tecniche».

Rischio ibridazione

«L’agricoltura biologica non può essere intesa come semplice sostituzione di tecniche rispetto all’agricoltura convenzionale, in quanto è un approccio complessivo che investe tutto il modello agricolo».

«In questo contesto – rimarca il presidente di Anaprobio Italia – ci preme sottolineare un aspetto particolare e cioè che omologare la produzione di sementi, come potrebbe avvenire con una produzione massiva di semi tutti omogenei, è esattamente il contrario del principio della biodiversità, la cui tutela rappresenta uno dei principi cardine dell’agricoltura biologica».

«Non solo: le piante Nbt-Tea possono ibridarsi con parenti selvatici o piante affini, per cui la scomparsi di alcune cultivar è molto alta ed i rischi per la biodiversità sono altissimi: il biologico non ha bisogno di correrli».

«IL RUOLO DEI TECNICI PROFESSIONISTI PER FAR EVOLVERE IL COMPARTO AGRICOLO»

«IL RUOLO DEI TECNICI PROFESSIONISTI PER FAR EVOLVERE IL COMPARTO AGRICOLO»

Il presidente di Aiab (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) Giuseppe Romano ribadisce il valore della competenza all’assemblea dei Periti Agrari di Roma.

Aiab ritiene essenziale il confronto con le professioni tecniche. Il momento secondo il presidente Giuseppe Romano è infatti strategico per il settore biologico, chiamato dal Green deal a fare evolvere tutto il sistema agroalimentare nella direzione della transizione ecologica.

Il ruolo dei professionisti

«Un passaggio importante per il bio – ha ribadito Romano all’Assemblea dei Periti agrari a Roma – è quello della necessità di dare sviluppo all’idea delle organizzazioni interprofessionali, realtà in cui i tecnici giocano un ruolo decisivo al fine di garantire anche attraverso queste strutture l’assistenza tecnica alle aziende, per produrre un prodotto biologico ancora più di qualità e in grado di competere sui mercati nazionali ed esteri».

Le sfide della Pac

«Queste ed altre sfide legate alla nuova Pac e al Piano d’azione nazionale per il bio attendono il comparto, ed è necessario oggi più che mai fare sistema tra Istituzioni, produttori bio, associazioni, cittadini e tecnici».

“SI – RIPARTE”, UN PROGETTO PER LA DIGITALIZZAZIONE DELLE PMI

“SI – RIPARTE”, UN PROGETTO PER LA DIGITALIZZAZIONE DELLE PMI

Un progetto del Pei Agri marchigiano per lo sviluppo e il test di un prototipo innovativo per la digitalizzazione rapida ed economica delle aziende agricole biologiche

Dare una risposta concreta al bisogno di digitalizzazione delle piccole e medie imprese della filiera biologica marchigiana. È l’obiettivo del progetto “Si–Riparte” (ovvero “sistemi digitali rapidi, innovativi e partecipati per l’integrazione delle pmi agricole marchigiane nelle filiere biologiche globali”).

I partner

Il progetto vede la cooperativa Montebello come capofila referente dei produttori bio, insieme con l’Università Politecnica delle Marche, partner scientifico, Apra – Vargroup company, partner tecnologico, e il Consorzio Marche Biologiche. L’iniziativa rientra nell’ambito del PSR Marche 2014/2020, sottomisura 16.1 – Sostegno per la costituzione e la gestione dei gruppi operativi del PEI in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura.

Filiere digitalmente connesse

«La filiera cerealicola biologica marchigiana ha di fronte due importanti sfide – dichiara Pierfrancesco Fattori, presidente della Montebello, ovvero garantire l’assoluta integrità del processo di produzione del bio made in Marche e promuovere il miglioramento continuo della sostenibilità ambientale ed economica». «È indispensabile che le piccole imprese agricole, colonna portante del biologico marchigiano, siano messe nelle condizioni di “connettersi digitalmente” con il resto della filiera. Su questo si concentra il progetto».

«La scarsa alfabetizzazione digitale delle imprese agricole – aggiunge Francesco Torriani, presidente del Consorzio Marche Biologiche –, unita all’impossibilità di investire risorse economiche rilevanti, costituisce un’importante barriera alla digitalizzazione».

Tracciabilità via smartphone

«La possibilità di effettuare un tracciamento automatico delle operazioni con dispositivi a basso costo e con ridotta interazione da parte dell’utente rappresenta una chiave di volta per avviare la transizione al digitale. In quest’ottica, il progetto Si-Riparte propone lo sviluppo e il test di un prototipo innovativo per la digitalizzazione rapida ed economica delle aziende agricole biologiche».