“Il pubblico deve avere accesso non solo alle informazioni sulle emissioni in quanto tali, ma anche a quelle riguardanti le conseguenze a termine più o meno lungo di dette emissioni sullo stato dell’ambiente”.
Il glifosato, prodotto chimico utilizzato come diserbante, fu iscritto nell’elenco delle sostanze attive dal luglio 2002 al luglio 2012. L’iscrizione all’elenco venne prorogata, poi, fino al 2015.
Per questo motivo, la Germania presentò alla Commissione e all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) un “progetto di rapporto valutativo per il rinnovo”, pubblicato dall’EFSA il 12 marzo 2014.
In seguito, all’EFSA venne richiesto di rendere pubblici i risultati presenti nel progetto, considerando che gli studi chiave erano stati utilizzati per determinare la dose giornaliera ammissibile (ADI) di glifosato.
L’EFSA negò l’accesso: perché?
- La divulgazione di tali informazioni potrebbe arrecare serio pregiudizio agli interessi commerciali e finanziari delle imprese che hanno presentato i rapporti di studi;
- Non esisteva alcun interesse pubblico prevalente alla divulgazione delle parti degli studi alle quali i ricorrenti chiedevano accesso, dato che tali parti non costituivano informazioni “[riguardanti] emissioni nell’ambiente” ai sensi del regolamento di Aarhus;
- Non riteneva l’accesso necessario per verificare la valutazione scientifica dei rischi.
Con le sentenze di oggi, il Tribunale spiega che un’istituzione dell’Unione, quando riceve una domanda di accesso ad un documento “non possa giustificare il suo rifiuto di divulgarlo sulla base dell’eccezione relativa alla tutela degli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica, qualora le informazioni contenute in tale documento configurino informazioni ‘riguardanti emissioni nell’ambiente’”.
“Le emissioni di glifosato nell’ambiente sono quindi reali. Detta sostanza attiva è in particolare presente sotto forma di residui nelle piante, nell’acqua e negli alimenti. Gli studi richiesti sono, di conseguenza, studi diretti a stabilire la cancerogenicità e la tossicità di una sostanza attiva che è effettivamente presente nell’ambiente”, continua il Tribunale.
Il Tribunale conclude che l’EFSA non può sostenere che gli studi richiesti non riguardano emissioni effettive né gli effetti di emissioni effettive.
Pertanto, secondo i giudici europei, “il pubblico deve avere accesso non solo alle informazioni sulle emissioni in quanto tali, ma anche a quelle riguardanti le conseguenze a termine più o meno lungo di dette emissioni sullo stato dell’ambiente, come gli effetti di tali emissioni sugli organismi non bersaglio. Infatti, l’interesse del pubblico ad accedere alle informazioni sulle emissioni nell’ambiente è appunto non solo quello di sapere che cosa è, o prevedibilmente sarà, rilasciato nell’ambiente, ma anche di comprendere il modo in cui l’ambiente rischia di essere danneggiato dalle emissioni in questione”.
“La sentenza è una pietra miliare, è una vittoria nella lotta contro la segretezza quando si tratta dei rischi ambientali e sanitari di prodotti pericolosi come il glifosato. D’ora in poi, il pubblico e gli scienziati indipendenti potranno vedere come i giganti chimici scrivono le loro relazioni sulla sicurezza dei loro prodotti per ottenere l’autorizzazione. Grazie alla pubblicazione di tutti gli studi disponibili, in futuro scienziati indipendenti saranno in grado di ricontrollare le ricerche alla base delle valutazioni dei pesticidi. È fondamentale avere a disposizione un sistema di regolamentazione che funzioni nell’interesse della salute umana, della biodiversità e dell’ambiente, e non per il profitto aziendale”, dichiara in una nota Marco Affronte, europarlamentare del gruppo europeo Verdi-ALE.
Fonte: https://www.eunews.it/2019/03/07/glifosato-tribunale-ue-efsa-aprire-studi-tossicita/114263