Tutti la vogliono, nessuno sa a cosa servirà. Anche perché, come denuncia Fabrizio Piva in un recente articolo su GrennPlanet, la legge che la istituisce disinnesca già in partenza il suo compito di portare maggiore equilibrio sui mercati
Tutti l’aspettano, tutti la vogliono, nessuno sa ancora a cosa serva e se farà il bene del biologico. Parliamo dell’Organismo interprofessionale bio, una delle grandi novità previste dalla legge sul bio (L. 9 Marzo 2022 n. 23).
L’intervento di Piva
In un articolo pubblicato sul sito Greenplanet.net Fabrizio Piva, personalità di spicco del mondo del biologico, già amministratore delegato di un importante organismo di certificazione e oggi responsabile sviluppo e sostenibilità della cooperativa G.Bellini, ironizza sul “balletto” degli accordi stretti dietro le quinte dell’ultima edizione della fiera Sana di Bologna tra «le varie organizzazioni che a vario titolo rappresentano, o affermano di rappresentare, il biologico», per salire sulla “tolda di comando” di questo nuovo organismo.
Il problema è che, con ogni probabilità, l’Interprofessione potrà comandare veramente poco.
Il groviglio tra contratti tipo, accordi quadro e intese di filiera
Piva mette infatti in evidenza le incongruenze della legge sul bio che, dopo aver stabilito all’art.14 che tale organizzazione avrà come scopo principale quello di redigere contratti-tipo vincolanti per il settore, concede subito dopo, all’art.15, la facoltà alle organizzazioni di categoria più rappresentative di stipulare, in nome e per conto delle imprese associate, accordi-quadro per la cessione di prodotti bio. In più l’art.16 introduce il dispositivo delle intese di filiera, stipulate nella cornice di un ipotetico Tavolo di filiera bio. Intese chiamate anche in questo caso a definire accordi-quadro.
Un intasamento di formule di aggregazione prive di una precisa gerarchia che rischiano di sabotare in partenza l’obiettivo di introdurre maggiore equilibrio tra offerta e domanda di prodotti bio.
Il rischio “carrozzone”
E che spinge Piva a suggerire, come alternativa, di non introdurre un’interprofessione nuova per il bio, ma di fare riferimento a quella già in essere per i prodotti convenzionali, introducendo comitati di prodotto ad hoc per il bio.
Un’ipotesi che potrebbe funzionare solo se si fa riferimento a quei pochi organismi interprofessionali che funzionano veramente nel convenzionale, riuscendo a imporre regole e vincoli commerciali in cambio della tutela di un interesse comune di valorizzazione.
Spesso infatti, nonostante l’impegno della Pac, politica agricola comunitaria, accentuato soprattutto a partire dell’ultimo periodo di programmazione 2014—2022 nel potenziare strumenti di controllo dei mercati, l’efficacia degli Oi, organismi interprofessionali, è stata spesso vanificata dalla mancanza di strumenti efficaci nell’integrare le Op, organizzazioni dei produttori e i grandi gruppi della trasformazione e distribuzione agroalimentare.