Fino alla metà del 1800, l’agricoltura era dominata dalla pratica del maggese, la pratica agricola che consisteva nella messa a riposo di un appezzamento di terreno per restituirgli fertilità.
Con l’arrivo delle colture industriali, tali pratiche agronomiche andarono evolvendosi in una serie di colture che hanno dominato il mondo agricolo fino al 1960.
La rotazione, ancora oggi, è una pratica molto importante per mantenere la fertilità del terreno, soprattutto in quelle aziende dove si limita l’uso di pesticidi e fertilizzanti o che hanno adottato il metodo di produzione biologica.
Per la coltivazione del riso è opportuno adottare la rotazione colturale?
Ente Risi sostiene che la semina di colture alternative al riso crea le migliori condizioni per il contenimento delle infestanti tipiche delle risaie sommerse, oltre a migliorare la qualità del suolo, soprattutto per gli importanti quantitativi di azoto organico residui.
Da questi presupposti, Ente Risi ha impostato due diversi piani quinquennali di rotazione colturale in due diversi appezzamenti dai quali verranno analizzati la flora infestante, dati produttivi e qualitativi. Al termine dei 5 anni verrà poi fatto anche un conto economico del quinquennio, in base anche ai risultati agronomici ottenuti.
“Molti pensano che il terreno “si stanca”: è più corretto dire che si esaurisce, o meglio, esaurisce i metaboliti utili a quella varietà vegetale. Per non parlare poi di tutti i problemi legati alle malattie e ai parassiti. Per ottenere dei buoni risultati, la rotazione del terreno agrario dovrebbe essere attuata per almeno 3-4 anni di fila prima di iniziare, daccapo, il ciclo”, afferma Paolo Gamalerio, conduttore di un’azienda risicola in lomellina.
“Senza dubbio si avrà un terreno più fertile, questo perché tutte le piante necessitano di alcune sostanze piuttosto che altre e viceversa ne rilasciano nel terreno (modificare la loro posizione aiuterà a mantenere il terreno più equilibrato e sano), migliorando di conseguenza il raccolto; meno parassiti, questo perché spostando le coltivazioni eviterai la proliferazione e diffusione di questo in ambienti favorevoli e statici; si risparmierà in concimazioni; viene ridotta la crescita delle malerbe, quindi, verranno utilizzati meno pesticidi aiutando a ridurre l’inquinamento ambientale e miglioreranno anche la qualità e la resa della produzione”, racconta Andrea Tacconi, risicoltore del Pavese.
Per chi pratica la rotazione colturale è sconsigliato il reimpianto, ammesso solo se al terreno vengono applicati alcuni interventi:
- lasciare a riposo il terreno per un congruo periodo durante il quale praticare una coltura estensiva o un sovescio
- asportare i residui colturali;
- effettuare una concimazione organica sulla base delle analisi del terreno;
- sistemare le piante in posizione diversa da quella occupata dalle precedenti.
È ammessa la possibilità di coltivare colture da sovescio.