Biologico a due velocità: crescono le superfici ma calano i consumi. Sono le tendenze emerse a Roma nell’evento promosso da Mipaaf, Ismea e Ciheam. Ma secondo l’economista Alberto Mattiacci non c’è da temere: il bio rappresenta ancora la risposta più solida e convincente per la richiesta di “identità” del cittadino consumatore
Biologico a due velocità in Italia. Prosegue la crescita delle superfici coltivate (2,2 milioni di ettari a fine 2021) e del numero di operatori coinvolti (oltre il 5% rispetto al 2020), ma calano – per la prima volta – i consumi, come probabile riflesso alla perdita di potere d’acquisto delle famiglie aggravata dalla spinta inflazionistica degli ultimi mesi.
L’evento romano
Questa l’istantanea scattata durante il convegno sulle prospettive del settore organizzato lo scorso 6 luglio da Ismea a Roma. Un evento organizzato da Mipaaf, Ismea e Ciheam Bari (vedi QUI il programma) con la presenza di Angelo Frascarelli e Fabio Del Bravo di Ismea; Francesco Battistoni, sottosegretario alle Politiche agricole con delega al biologico, le relazioni di Del Bravo sulla struttura produttiva e il mercato del biologico in Italia (il documento si può scaricare QUI); il punto sull’evoluzione normativa del settore fatto da Pietro Gasparri del Mipaaf; l’interessante analisi di Alberto Mattiacci, Ordinario di economia e gestione d’impresa alla Sapienza di Roma. La tavola rotonda con i rappresentanti delle associazioni di categoria è stato moderato dal giornalista Gianni Convertini.
La flessione della domanda
Affrontiamo subito le note dolenti, ovvero la flessione sul fronte della domanda. Dopo l’ottima performance del 2020 (+9,5%), sostenuta da una maggiore propensione delle famiglie italiane all’acquisto di alimenti genuini e salutari nel periodo del primo confinamento domiciliare indotto dal lockdown, lo scorso anno il valore della spesa si è infatti contratto del 4,6%, portandosi a 3,38 miliardi di euro, anche se è rimasta invariata l’incidenza del bio sul totale degli acquisti agroalimentari (3,9%).
Le evidenze sui primi 5 mesi del 2022, limitate ai soli acquisti presso la Gdo, evidenziano un’ulteriore riduzione dell’1,9% su base annua, peraltro in un contesto di generalizzata crescita dei prezzi. A preoccupare, in questo caso, è il confronto con l’agroalimentare convenzionale che segna nello stesso periodo un incoraggiante +1,8%.
Un nuovo livello di consapevolezza
C’è da preoccuparsi? Non secondo l’analisi di Alberto Mattiacci che, nella relazione “il bio fra vecchi atteggiamenti e nuove sensibilità”, ha messo in evidenza il progresso irreversibile del passaggio dalla società post-industriale a quella digitale che ha trasmesso un nuovo livello di consapevolezza al cittadino- consumatore non più disposto a rinunciare alla propria affermazione come persona anche nelle scelte d’acquisto.
Una nicchia affollata
Scelte che convergono sul messaggio portato avanti dal bio, che continua a rappresentare una “nicchia contesa”, con un messaggio e un’identità chiara, una promessa di valore a cui viene riconosciuto un prezzo premium. Una nicchia un po’ affollata a dire il vero a causa dell’affiancamento di una pletora di marchi e definizioni (km0, sostenibile, naturale, vegano, senza-qualcosa, equo e solidale, ecc) che insistono sullo stesso segmento distraendo l’attenzione del consumatore.
Il ritorno alla semplicità
La soluzione è, secondo il docente di marketing, il ritorno alla semplicità e alla trasparenza del messaggio, rappresentando la solidità senza uguali dei vantaggi assicurati da questa categoria di prodotti per vincere la sfida della “rivitalizzazione” del bio.
Una sfida da vincere innanzitutto nel nome della coerenza di scelte politiche come il “green deal”, un pacchetto di iniziative che vedono nello sviluppo dell’agricoltura biologica uno dei cardini della transizione green in agricoltura. Indirizzi che sono stati richiesti, anzi pretesi, solo pochi anni fa proprio dai cittadini-consumatori europei.