LA STRADA BIO CONVINCE LE GRANDI MAISON DELLO CHAMPAGNE

La storia della produzione vinicola biologica in Francia ha una lunga storia, risale infatti al 1962 la creazione dell’AFAB – Associazione francese per l’agricoltura biologica, seguita dalle prime leggi approvate negli anni ’80 e dalla vinificazione bio vera e propria, ufficializzata nel 2010.

Non desta dunque sorpresa che talune realtà stiano scegliendo di aprirsi a questo metodo e aderirvi, proprio negli ultimi tempi, un po’ in ritardo rispetto alla media, ma con particolare slancio e velocità nella realizzazione del processo.

È il caso della regione della Champagne, quella famosa per l’abate benedettino Dom Pierre Pérignon. Il metodo di produzione bio sembra aver interessato nel 2019, 1148 ettari di vigneto di cui 618 ettari di terreno in conversione, per una produzione portata avanti da 260 maison in tutta la regione.

A comunicarlo è l’Association Des Champagnes Biologiques, che rileva l’aumento della superficie al 24% rispetto al 2018, per un totale del 3,4% della superficie della denominazione.

I dati sorprendono, poiché se facciamo riferimento all’annata 2020: 137 nuove cantine sembrano aver iniziato il processo di conversione, ovvero 685 nuovi ettari di terreno, comunica l’Agence Bio. Un supplemento di superfici di quasi il 70% ha virato verso il metodo biologico, per un totale del 6% della superficie della denominazione, praticamente il doppio dal 2018 se l’Observatoire Régional de l’AB confermerà i dati.

Una nuova scelta quella del biologico, che restituisce riconoscimenti anche sul mercato. Esempi di rilievo sono Drappier – situato a Urville, possessore di un vasto vigneto, di cui un terzo della superficie è coltivata a bioe Leclerc Briant certificato biologico e biodinamico nella totalità del vigneto.

Roederer, di proprietà della stessa famiglia di fondazione dal 1776, sta agendo invece in maniera più graduale: con dieci ettari certificati Demeter già dal 2004 – certificazione del metodo biodinamico – e i restanti 122 in conversione al biologico già dall’anno 2018.

La prima annata dell’etichetta Roederer simbolo di questa rivoluzione è il Cristal 2012. Dalla struttura corposa seppure morbida, il perlage delicato e i profumi di limone candito, con note di mandorla e fiori bianchi.

Vranken-Pommery, uno dei vigneti più influenti, vasti e diffusi oltre il territorio della Champagne, ha comunicato la sua conversione ad oggi effettuata per il 60% delle sue tenute, con promessa del 100%. La sua scelta è stata contagiosa nel settore, a causa della sua fama appunto. Canard-Duchêne ad esempio, ha lanciato tra le sue linee la P181 extra brut bio prodotta con uve acquistate da sette viticoltori, una cuvée semi-fidentiel.

La Champagne sembra quindi aver intrapreso con energia la strada della sostenibilità, ma perché rispetto alle altre regioni, appare come l’ultima ad aver affrontato questo tipo di cambiamento?

Soggetta a un clima favorevole alle malattie della vite, come per esempio la muffa grigia, al frequente rischio di congelamento per l’uva nelle ore notturne di primavera e a un prezzo al kg di questa fortemente elevato (intorno ai 7 euro circa, a seconda dell’annata), non partiva come la regione con caratteristiche più congeniali a un’evoluzione di questo tipo; si sta tuttavia emancipando.

È certamente da considerare che gli approcci di conversione che la coinvolgono sono differenti: molti dei produttori che intraprendono il cambiamento infatti, non lo fanno per ottenere l’etichetta AB, ma la VDC – la Certificazione di viticoltura sostenibile in Champagne, creata dal CIVC – Comité interprofessionnel du vin de Champagne, che oggi certifica la bellezza di 335 aziende ovvero il 15% della superficie totale.

La molteplicità degli approcci non finisce qui, poiché molte delle 335 aziende nominate, sono al contempo certificate HVE – High Environmental Value, che presenta parametri di valutazione similari a VDC per la certificazione. 70 sono le aziende certificate solo HVE (per un totale di 400 maison HVE), e circa 40 quelle certificate Terra Vitis (certificazione indipendente riconosciuta dal Ministero dell’Agricoltura); si giunge così al 2,5% della superficie totale coltivata in modo sostenibile.

L’HVE è una certificazione francese creata e supervisionata dal Ministero dell’Agricoltura Agroalimentare e Forestale per promuovere la produzione di aziende agricole che si impegnano volontariamente in pratiche rispettose dell’ambiente”, racconta Franck Moussié della Maison Guy Méa, riconosciuta HVE appunto, sottolineando come l’obiettivo sia la valorizzazione della biodiversità il buon senso nel sostenerla.

D’altro canto, Pierre Lermandier, noto produttore, ha dichiarato nel 2019 al giornale Le Monde, come il logo AB sulla bottiglia, rimanga di fatto una garanzia di certificazione bio per chi consuma il prodotto e un gesto di riconoscimento e solidarietà verso i colleghi produttori.

Nonostante i rallentamenti e i multiformi approcci, l’intenzione alla base sembra essere l’univoco prendersi cura in modo efficiente e sostenibile dei preziosi vigneti di una regione che ha fatto la storia per successo e tradizione.

E per non rimanere nella sola narrazione, ecco infine un’accorta selezione di champagne biologici facilmente reperibili in Italia, direttamente consigliati da Fabio Pelliccia, esperto e appassionato sommelier per Antonello Colonna Resort: André Beaufort, Benoit Lahaye, Fleury, Claude Cazals, Francis Boulard, Jacquesson, Laherte Frères, Larmandier Bernier, Marie Courtin, Maurice Vesselle, Michel Gonet, Tarlant, Vilmart, Vouette & Sorbee.

Fonte: Repubblica

Leave a comment