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Corte di giustizia europea: Nuove tecniche di ingegneria genetica da regolamentare come OGM

Corte di giustizia europea: Nuove tecniche di ingegneria genetica da regolamentare come OGM

IFOAM UE accoglie con favore la decisione della commissione europea

Il movimento per l’agricoltura e l’agricoltura biologica accoglie con favore la decisione della Corte di giustizia europea (CGCE) che accerta come le nuove tecniche di ingegneria genetica producano organismi geneticamente modificati (OGM) e che dovranno essere regolamentate come tali nel quadro dell’attuale legislazione UE.

Jan Plagge, Presidente IFOAM UE, ha dichiarato: “La conferma da parte della Corte di giustizia europea che i nuovi OGM saranno soggetti alla tracciabilità e all’etichettatura è una buona notizia per gli allevatori, gli agricoltori e i trasformatori biologici, ma anche per tutti i produttori e i consumatori europei, poiché apporta chiarezza e assicura la libertà di evitare prodotti OGM, oltre alla protezione dell’ambiente dai potenziali rischi di queste nuove tecnologie “.

“La Commissione europea non può più aspettare e ora deve garantire che il quadro giuridico dell’UE sia applicato correttamente dagli Stati membri. La Commissione dovrebbe avviare immediatamente un progetto di ricerca per sviluppare metodi di individuazione, integrati con il sistema di tracciabilità, per garantire un adeguato isolamento di queste nuove piante geneticamente modificare, al fine di prevenire la contaminazione della produzione biologica e convenzionale di alimenti e mangimi senza OGM in Europa “, ha aggiunto Eric Gall, Policy Manager presso IFOAM EU.

Nel suo comunicato stampa, la Corte di giustizia europea ritiene “che i rischi legati all’uso di queste nuove tecniche di mutagenesi potrebbero rivelarsi simili a quelli che derivano dalla produzione e rilascio di un OGM attraverso la transgenesi” e che “la direttiva sugli OGM è applicabile anche agli organismi ottenuti mediante tecniche di mutagenesi che sono emersi a partire dalla sua adozione “.

Fonte: https://www.ifoam-eu.org/en/news/2018/07/25/press-release-new-genetic-engineering-techniques-be-regulated-gmos-ifoam-eu-welcomes

Rapporto Ismea: Primato storico per l’esportazioni agroalimentari italiane

Rapporto Ismea: Primato storico per l’esportazioni agroalimentari italiane

Record anche per il biologico scelto da 9 famiglie su 10 nel 2017

È stato presentato il rapporto sulla Competitività dell’agroalimentare italiano stillato da ISMEA. Il ruolo centrale del Made in Italy nelle esportazioni del settore primario europeo emerge chiaramente analizzando le prime cinque voci, per le quali l’Italia è leader: il 35%-36% dell’export europeo di mele e di uva, il 47% di quello di kiwi, il 61% di quello di nocciole sgusciate, il 35% di quello di prodotti vivaistici. Un business dal valore di 41 miliardi di euro a fine 2017(un aumento del 23%,), pari all’ 8% delle esportazioni agroalimentari dell’Ue (quasi 525 miliardi di euro).

Anche sulle esportazioni comunitarie dei trasformati l’Italia è uno dei primi esportatori: Pasta e conserve di pomodoro raggiungono la quota del 65% circa del valore dell’export Ue; nel caso dei vini e dell’olio d’oliva l’Italia scende in seconda posizione, incidendo rispettivamente per il 27% e per il 23% delle esportazioni europee; infine, con una quota del 13%, è il quarto esportatore Ue di formaggi e latticini.

Anche i numeri inerenti le dinamiche occupazionali che emergono dal rapporto sono positivi. Il settore agroalimentaredà lavoro a 1 milione e 385 mila persone (il 5,5% degli occupati in Italia a fine 2017), di questi oltre 900 mila sono gli addetti all’agricoltura, mentre l’industria alimentare assorbe circa 465 mila posti di lavoro.

Più da vicino, l’occupazione agricola in Italia sembra tenere meglio che negli altri Paesi Ue. La riduzione del numero degli addetti negli ultimi 10 anni è di pari al -6,7% a fronte del -17,5% in media nella  Ue, e si è interrotta a partire dal 2013, con un recupero negli ultimi cinque anni del 3%. Per l’industria alimentare italiana l’occupazione è cresciuta nel decennio e oggi è a un livello superiore del 2% rispetto all’anno pre-crisi, il 2007, con un incremento del +3,4% negli ultimi 5 anni. Quanto al confronto del costo del lavoro in agricoltura tra l’Italia e i suoi principali competitor europei (Francia, Germania e Spagna), il nostro Paese si colloca al terzo posto, alle spalle di Francia e Germania, con 10,2 mila euro per addetto. Il divario tra le retribuzioni in agricoltura e nel complesso dei settori economici è consistente in tutti e quattro i paesi. In Italia il salario annuo per il lavoratore agricolo è di 7.930 euro (sempre misurato in PPA), rispetto ai 20.133 per la media di tutti i settori di attività economica, con un differenziale 12.200 euro circa; questo differenziale salariale è ancora maggiore e sale a oltre 18 mila euro negli altri tre Paesi.

Per quanto riguarda ricchezza e utili, l’agricoltura italiana produce valore ma la ripartizione lungo la filiera presenta ancora forti squilibri a favore delle fasi più a valle (logistica e distribuzione).

Dall’analisi della catena del valore di ISMEA emerge che su 100 euro destinati dal consumatore all’acquisto di prodotti agricoli freschi, rimangono come utile solamente 6 euro, contro i 17 euro alle imprese del commercio e del trasporto. Nel caso dei prodotti alimentari trasformati, l’utile per l’imprenditore agricolo scende ulteriormente sotto i 2 euro, al pari di quello realizzato dall’industria alimentare, mentre alla fase della distribuzione e della logistica, prese insieme, sono destinati 11 euro. Analizzando invece il reddito in agricoltura, secondo le elaborazioni ISMEA, nel 2017 il reddito reale annuo per unità di lavoro è pari a 20 mila euro, molto al di sotto dei nostri principali Paesi competitor (Francia, Germania, Spagna in primis) che si attesta a 26,6 mila euro.

Assolutamente positivi anche i numeri del biologico: L’agricoltura biologica coinvolge in Italia 1,8 milioni di ettari e 72 mila operatori certificati, con un aumento per entrambe le variabili del 40% circa rispetto al 2013.

Sul fronte dei consumi, 9 famiglie italiane su 10 hanno acquistato un prodotto certificato durante l’anno. L’incidenza del biologico nei consumi complessivi degli italiani ammonta al 3%, con settori trainanti in crescita come gli ortaggi (+11,5%) e la frutta (+18,3%) e altri, che seppur partiti con ritardo, mostrano performance di tutto rilievo: vino (+109,9%), carni fresche (+65,2%) e trasformate (+35,4%), oli e grassi vegetali (+41,1%).

Oltre che per le produzioni biologiche, l’agroalimentare italiano si connota anche per un sistema di qualità certificata che non ha pari. L’Italia vanta notoriamente il primato mondiale dei riconoscimenti Dop e Igp (818 tra vini e prodotti alimentari), ma soprattutto con un valore all’origine della produzione che è cresciuto, secondo le stime ISMEA, del 50% nel decennio, e un export triplicato.

Con un valore di 4,5 miliardi di euro delle attività secondarie agricole: l’agriturismo; le vendite dirette e la produzione di energie rinnovabili. Quella italiana si rivela l’agricoltura più multifunzionale d’Europa. L’agriturismo dal suo esordio negli anni ’70 ha avuto un notevole sviluppo, affermandosi come la tipologia più efficace di diversificazione dell’attività agricola e diventando uno dei comparti di maggior successo del turismo italiano. Un segnale importante per il settore che dimostra come le imprese agroalimentari nostrane oltre alla capacità di integrare le fonti di reddito, riescono a cavalcare i cambiamenti del contesto sociale ed economico. Il fenomeno ha avuto, infatti, un impatto non trascurabile sulla tenuta del valore aggiunto agricolo nell’ultimo decennio.

160 miliardi di euro, invece, è la spesa che gli italiani hanno destinato nel 2017 all’alimentazione e alle bevande sia a casa sia fuori dalle mura domestiche. Una percentuale pari al 15% dei consumi totali. Per il solo consumo domestico, le elaborazioni ISMEA indicano un incremento della spesa del 3,2% rispetto al 2016. Tra i prodotti maggiormente acquistati nel 2017 dagli italiani, troviamo sul podio l’ortofrutta fresca con un peso sulla spesa del 13,4%, le carni fresche (9,5%) e i formaggi (8,4%). A seguire salumi, ortofrutta trasformata, pesce, vino, latte, acqua in bottiglia e solo all’ultimo posto della top 10 la pasta. La dinamica dei consumi risente dei cambiamenti dei comportamenti d’acquisto, dimostrando da parte delle famiglie italiane una crescente attenzione su quanto viene messo in tavola.

Fonte: http://www.agricultura.it/2018/07/24/rapporto-ismea-i-focus-su-export-occupazione-reddito-agricolo-bio-multifunzionalita-e-spesa/

Un “Decalogo per il futuro della PAC”

Un “Decalogo per il futuro della PAC”

È stato presentato al convegno di Roma da #CambiamoAgricoltura

“E’ il momento di decidere se continuare a promuovere un modello di agricoltura non più sostenibile per l’ambiente, i cittadini e le piccole aziende agricole oppure se, attraverso la collaborazione tra istituzioni, cittadini, agricoltori e Ong, lavorare insieme per cambiare le cose”. Queste le parole di #CambiamoAgricoltura, coalizione di associazioni ed operatori del settore agricolo ed ecologico (Aiab, Associazione per l’Agricoltura Biodinamica, Fai Fondo Ambiente Italiano, Federbio, Isde Italia Medici per l’Ambiente, Lipu-BirdLife Italia, Legambiente, ProNatura e Wwf Italia).

Il motivo di questa mobilitazione? Discutere insieme sul futuro della Politica Agricola Comune europea post 2020 alla luce delle proposte di regolamenti presentate il primo giugno dalla Commissione europea. Gli obiettivi indispensabili per la futura programmazione sono: il sostegno dell’agricoltura biologica (con un auspicato raggiungimento del 40% del territorio agricolo dedicato entro il 2027), il riconoscimento di un adeguato sostegno economico alla rete Natura 2000, sostenendo gli agricoltori che in essa operano e la ristrutturazione delle filiere zootecniche che rappresentano attualmente la fonte principale di emissioni di gas climalteranti e di azoto.

Un modello, quello auspicato da #CambiamoAgricoltura, messo a rischio da una cattiva attuazione della PAC. Secondo la coalizione infatti “i nuovi regolamenti presentano numerosi elementi di novità, alcuni dei quali lasciano intravedere la possibilità di modificare, se ben utilizzati, il paradigma dell’agricoltura di oggi. Allo tempo stesso, però, le proposte della Commissione Ue lasciano aperte diverse domande e hanno troppi ambiti di incertezza che potrebbero rendere vana questa riforma, riportando l’agricoltura pericolosamente nel passato, con una corsa al ribasso degli impegni degli Stati membri della UE per la tutela dell’ambiente e la vitalità dei territori rurali”.

Per questo, al convegno di Roma #CambiamoAgricoltura ha presentato un “Decalogo per il futuro della PAC” che riassume richieste e proposte al governo italiano e al l Parlamento Europeo alla vigilia delle trattative che dovrebbero portare entro aprile 2019 alla definitiva approvazione dei nuovi Regolamenti della PAC post 2020: “Siamo disponibili fin da ora a collaborare con il ministero delle politiche agricole e forestali e le Regioni per la definizione del Piano Strategico Nazionale della Pacche sia davvero uno strumento innovativo e partecipato, con obiettivi ambiziosi ma concreti e realistici”.

In calce il decalogo:

LA PAC POST 2020 CHE VORREMMO

Decalogo della Coalizione #CambiamoAgricoltura per una futura PAC più sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico

  1. UNA PAC PER L’AMBIENTE:Inserire nel Regolamento UE, nell’ambito del negoziato del “Trilogo” un riferimento più esplicito al ruolo della PAC come strumento finanziario per l’attuazione degli accordi internazionali, dalla Strategia UE per la Biodiversità al rispetto degli impegni degli accordi di Parigi sul clima, come contributo agli SDGs dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
  2. UNA PAC PIÙ EQUA IN AIUTO ALLE AZIENDE PIÙ DEBOLI: Abolizione nel primo pilastro delle quote per l’attribuzione del sostegno di base al reddito per la sostenibilità, per un vero superamento dell’impostazione storica dei pagamenti diretti e la creazione di opportunità di lavoro nelle aree rurali.
  3. UN PIANO STRATEGICO NAZIONALE DELLA PAC INNOVATIVO che: a) definisca a livello nazionale degli obiettivi ambientali e sociali specifici sulla base degli obiettivi contenuti nelle Strategie europea e nazionale per la biodiversità, le Direttive Ue habitat e uccelli ed i piani di gestione della rete Natura 2000.
  4. b) indichi come obiettivo concreto, realistico e misurabile una percentuale minima (10%) di aree d’interesse ecologico costituite da elementi strutturali degli ecosistemi che le aziende devono garantire nell’ambito della loro superficie agricola totale. c) indichi la priorità delle misure collettive e di cooperazione per obiettivi ambientali di area vasta e realizzazione di obiettivi ed interventi legati al paesaggio rurale ed alle reti ecologiche e per la creazione di distretti biologici, sia all’interno del primo pilastro, sia per le misure agro-climatico –ambientali dello sviluppo rurale; d) definisca specifici indicatori di risultato e di efficienzautili a determinare il reale raggiungimento degli obiettivi ambientali, consentendo anche di valutare la loro reale efficacia
  5. RISORSE MINIME GARANTITE PER L’AMBIENTE E IL CLIMA: Destinare una quota minima del 30% del budget del primo pilatro per i “regimi per il clima e l’ambiente” (eco-schemes), come già previsto per le misure agro-climatico-ambientali nello Sviluppo Rurale.
  6. CONTROLLO DEL RISPETTO DELLE REGOLE:Garanzia dei controlli sull’applicazione della nuova condizionalità e definizione di sanzioni adeguate per scoraggiare il mancato rispetto dei criteri di gestione obbligatori e delle buone condizioni agronomiche e ambientali.
  7. PREMIARE L’AGRICOLTURA BIOLOGICA:La PAC deve garantire premi maggiori ai modelli di agricoltura più sostenibili, come il biologico. Passaggio del sostegno al mantenimento dell’agricoltura biologica dal II° al I° pilastro, inserendo questo obiettivo nei “regimi per il clima e l’ambiente” del primo pilastro, lasciando nello Sviluppo Rurale il sostegno alla conversione delle aziende.
  8. RADDOPPIO DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA ENTRO IL 2027: Prevedere nel Piano strategico nazionale della PAC come obiettivo generale al 2027 il 40% della SAU nazionale certificata in agricoltura biologica, per un raddoppio effettivo delle superfici agricole rispetto all’obiettivo al 2020.
  9. IL VALORE DI NATURA 2000 NELLA PAC: Riconoscimento del valore aggiunto delle aree naturali per le aziende agricole. Passaggio dell’attuale Indennità Natura 2000 dal II° al I° Pilastro. La Misura 12 dei PSR 2014-2020 resta presente nel Regolamento proposto dalla Commissione all’Art. 67 (Svantaggi territoriali specifici derivanti da determinati requisiti obbligatori).
  10. CAMBIARE LA ZOOTECNIA PER RIDURRE L’IMPRONTA ECOLOGICA: Prevedere l’obiettivo generale della ristrutturazione delle filiere zootecniche, definendo uno o più obiettivi specifici legati a questo tema con particolare attenzione alla riduzione del loro impatto ambientale.
  11. PAGAMENTI ACCOPPIATI AD IMPATTO ZERO: Escludere dal regime dei pagamenti accoppiati le produzioni agricole e zootecniche ad elevato impatto ambientale. In particolare limitarli nel comparto zootecnico alle sole produzioni estensive.

Fonte: http://www.greenreport.it/news/agricoltura/una-svolta-per-la-politica-agricola-comune-le-richieste-della-coalizione-cambiamo-agricoltura/

Commisione Ue: Riduzioni all’impiego di solfato di rame e affini

Commisione Ue: Riduzioni all’impiego di solfato di rame e affini

Sostanze ‘candidate alla sostituzione’ a causa della persistenza e tossicità

In settimana la Commissione Ue presenterà agli stati membri un regolamento che introduce nuovi e più stringenti limiti all’impiego di solfato di rame, poltiglia bordolese e affini. “Accumulo di rame e metallo pesante non degradabile nel terreno”, questa la paura espressa dal commissario Ue competente Vytenis Andriukaitis nel motivare la sua scelta che porterà a una sostituzione di queste sostanze nel quadro delle regole Ue sugli agenti chimici.

Il verderame, però, è sostanza il cui uso non solo è autorizzato nell’agricoltura biologica, ma in alcuni casi è indispensabile per il trattamento di funghi e batteri. Come per la viticoltura bio che non può farne a meno e non può sostituirlo con sostanze di sintesi. Per i viticoltori bio francesi, che hanno inviato un corposo dossier al governo di Parigi in cui si chiede l’impegno a mantenere le regole attuali, la proposta della Commissione mette a repentaglio importanti produzioni. “Sono consapevole dell’importanza di queste sostanze per gli agricoltori, in particolare i produttori bio – ha spiegato Andriukaitis – ma Il mio lavoro è proteggere la salute pubblica, quindi sono preoccupato per il potenziale accumulo di rame, metallo pesante non degradabile nel terreno”.

Una volta presentata la sua proposta di regolamento, la Commissione vorrebbe metterla ai voti in ottobre. L’attuale licenza dei composti del rame, invece, scade nel gennaio 2019 e, probabilmente, il 19 e 20 luglio la Commissione proporrà un rinnovo di autorizzazione per 5 anni con riduzione dei limiti di utilizzo da 6 a 4 kg, cancellando la flessibilità che permette di ‘spalmare’ il totale dei kg concessi sul corso dell’intero periodo di concessione (30 kg/ha).

Fonte: http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2018/07/16/pesticidi-la-ue-prepara-il-giro-di-vite-sul-verderame_d2365966-c5cd-464e-8406-704062903c57.html

Onu e Oms contro gli alimenti ricchi di grassi saturi: “Parmigiano e prosciutto possono nuocere gravemente alla salute”

Onu e Oms contro gli alimenti ricchi di grassi saturi: “Parmigiano e prosciutto possono nuocere gravemente alla salute”

A repentaglio un’eccellenza che vanta secoli di tradizione

l’Onu e l’Oms sono pronti a dar battaglia agli alimenti ricchi di grassi saturi, sale, zuccheri. Per i due organi i danni sono al pari di quelli di alcool e fumo. L’obiettivo è frenare il consumo, in particolare del sale, anche tramite l’utilizzo di etichette da applicare a questi prodotti (toccherebbe anche a pizza, vino e olio d’oliva) per prevenire le malattie non trasmissibili causate dal loro abuso.

La discussione è già stata avviata con l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ridurre nella nostra dieta l’apporto di questi alimenti rischia però di danneggiare tante eccellenze ‘made in Italy’ e, soprattutto, ‘made in Modena’.

“Una decisione in questo senso sarebbe assurda – esordisce Matteo Panini, proprietario dell’azienda Hombre che ‘sforna’ da anni (e con grande successo) Parmigiano biologico dop –. Stiamo parlando in un alimento genuino consigliato addirittura dai pediatri nelle diete dei bambini. Essendo un formaggio a lunga stagionatura l’uso del sale è necessario per avere un prodotto di tale livello. Paradossalmente, un’etichettatura di quel tipo andrebbe ad avvantaggiare imitazioni come il Parmesan che sono di breve stagionatura e nulla hanno a che fare con il vero Parmigiano”.

Per Panini non si può «mettere a repentaglio e in discussione un’eccellenza che vanta secoli di tradizione e una preparazione impeccabile. Ricordo che il Parmigiano viene fatto solo con latte, salo e caglio senza ulteriori aggiunte di conservanti. E’ ovvio che sono presenti dei grassi ma parlare di rischi per la salute mi sembra francamente fuori luogo. Che dire poi dei danni che subirebbero i produttori e gli stessi consumatori?».

Fonte: https://www.ilrestodelcarlino.it/modena/cronaca/panini-parmigiano-prosciutto-onu-1.4044941

Ceta: facciamo chiarezza sull’accordo di libero scambio tra Canade e Ue

Ceta: facciamo chiarezza sull’accordo di libero scambio tra Canade e Ue

Il governo gialloverde vuole bloccare il trattato, Luigi Di Maio, “un cavallo di Troia per distruggere il made in Italy

Difficile fare chiarezza tra i vantaggi, svantaggi, posizioni contrastanti e punti ancora oscuri del Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), l’accordo di libero scambio tra Canada e Unione europea entrato in vigore in via provvisoria il 21 settembre 2017 e ora in fase di ratifica da parte dei Paesi membri dell’Ue.

Se sotto il governo Gentiloni il ministero dello Sviluppo economico affermava che avrebbe creato posti di lavoro e nuove opportunità per le imprese, oggi M5S e Lega vogliono bloccare il trattato. Dure le parole in merito del ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, per cui: “Se anche uno solo dei funzionari italiani all’estero continuerà a difendere trattati come il Ceta sarà rimosso”. Posizione condivisa anche dal ministro leghista dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio: “Nessuno ha fretta di portare il Ceta in aula – ha detto – e quindi vogliamo capire con dati concreti se realmente il Ceta è vantaggioso per il nostro Paese, ad oggi ci sembra di no”.

Il Ceta è un accordo misto (mixed agreement) che comporta l’abbattimento dei dazi (con l’eliminazione delle tariffe sul 92% delle esportazioni), la tutela dei prodotti agroalimentari e la semplificazione degli investimenti, dato che apre i rispettivi mercati alle imprese canadesi ed europee. Al momento il Ceta è applicato in modo provvisorio solo per quelle parti di competenza Ue (es. l’abbattimento dei dazi), mentre è momentaneamente ferma la parte che riguarda gli investimenti e che necessita della ratifica dei 28 Stati membri (una decina quelli che hanno portato a termine l’iter) e poi dell’Unione, mentre il Canada ha già firmato. Non è cosa di poco conto, che i singoli Paesi abbiano una sorta di veto sulla piena attuazione dell’accordo perché questa è la prima volta che questo potere decisionale viene dato ai parlamenti nazionali anziché agli organi europei.

Cosa accadrà ora? L’eliminazione dei dazi dovrebbe favorire un aumento degli scambi, già molto favorevoli per l’Italia che ha importato dal Canada beni per 2,3 miliardi di dollari, mentre ha esportato al gigante del nord America beni per un valore di 8,1 miliardi di dollari. Inoltre l’accordo prevede l’apertura dei mercati, con una maggiore facilità d’ingresso in Canada per le aziende europee (e viceversa), che potranno anche partecipare alle gare per gli appalti pubblici nel Paese nordamericano. Stabilendo il reciproco riconoscimento di titoli professionali.

Attualmente, con l’applicazione parziale del ceta, le esportazioni italiane verso il Canada sono aumentate dell’8% da quando l’accordo è entrato in vigore, secondo statistiche canadesi. Mentre secondo i dati dell’Ufficio Studi Cia-Agricoltori Italiani riferiti al primo trimestre del 2018 si è registrata una discesa del 46% delle importazioni di grano canadese e un aumento del 12% delle esportazioni agroalimentari italiane verso il Canada. Con vino Made in Italy, in crescita dell’11%.

Eppure Luigi di Maio ha detto: “Il Ceta dovrà arrivare in aula per la ratifica e questa maggioranza lo respingerà”. Ed in caso di mancata ratifica dell’Italia, l’intesa salterebbe e ne verrebbe revocata anche l’applicazione provvisoria. Effettivamente già dagli inizi di luglio l’europarlamentare del Movimento 5 Stelle Tiziana Beghin avevave denunciato: “Ci sono troppe protezioni e barriere che impediscono la vendita del vino europeo oltreoceano”. Il riferimento è alle “strozzature nei canali di vendita” e “al funzionamento dei monopoli degli alcolici su base locale, che il Ceta avrebbe dovuto contribuire a cancellare”. Un trend confermato da Coldiretti (da sempre contraria all’accordo) sulla base dei dati Istat relativi ai primi quattro mesi del 2018: “Calano del 4% le bottiglie di vino made in Italy esportate in Canada”. Pareri contrastanti insomma intorno all’effettivo funzionamento dell Ceta. “L’accordo di libero scambio con il Canada (Ceta) non protegge dalle imitazioni”, denuncia Coldiretti e “non prevede nessun limite per i wine kit che promettono di produrre in poche settimane le etichette più prestigiose dei vini italiani, dal Chianti al Valpolicella, dal Barolo al Verdicchio”.

Anche in merito alle eccellenze casearie si registra un simile contrasto di dati e pareri. Per Coldiretti le esportazioni di Parmigiano Reggiano e di Grana Padano in Canada “sono diminuite del 10% nel primo trimestre del 2018”, a causa anche di un’impennata dell’italian sounding, ossia le imitazioni. Mentre per lo stesso periodo di tempo, Assolatte parla di un +3,5% per quanto riguarda tutto il comparto dei formaggi. “Gli accordi di libero scambio servono all’export agroalimentare made in Italy. Inizialmente – ha sottolineato il presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano Nicola Bertinelli – il Ceta sembrava rappresentare per i formaggi a denominazione un aumento delle quote esportabili, ma queste quote andavano meglio gestite. Senza gestione, la tutela diminuisce e si amplia la presenza di imitazioni e Parmesan”.

Il riconoscimento del principio delle indicazioni geografiche è in effetti, uno dei punti più importanti del Ceta. Un passo importante, ma non una totale vittoria per il nostro Paese, le cui specialità sono minacciate dalle imitazioni. Nulla si fa infatti per l’italian sounding, punto contestato dai detrattori del Ceta. Il coordinamento di Agrinsieme, che riunisce Cia-Agricoltori Italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari ha espresso la sua posizione in merito con un comunicato ufficiale: “Con il Ceta vengono tutelate ben 41 denominazioni italiane, pari a oltre il 90% del fatturato dell’export nazionale a denominazione d’origine nel mondo e che, soprattutto, senza questo accordo non godevano di nessuna tutela sui mercati canadesi”. Come dire, meglio di niente.

Resta critica la questione relativa agli ogm il Canada, infatti, ha standard di sicurezza sul cibo più deboli e un settore agricolo molto più dipendente da sostanze chimiche e ogm rispetto all’Unione europea, parliamo, del terzo produttore di ogm al mondo. Altra questione è quella legata agli strumenti previsti dal trattato per la risoluzione delle controversie (tecnicamente Isds) tra investitori e Stato che consente a gruppi di privati di ricorrere a un arbitrato internazionale qualora vedano i propri investimenti messi a rischio da provvedimenti varati dai governi dei vari Paesi.

Sarà creato, quindi, un tribunale permanente con giudici scelti da Canada e Unione Europea, partendo dal presupposto che difficilmente i tribunali statali tutelerebbero gli interessi di un’impresa straniera. Secondo i detrattori del Ceta così facendo, si limita la possibilità, da parte di un singolo Stato, di adottare leggi di interesse pubblico che tocchino gli affari delle aziende magari per proteggere l’ambiente o la salute dei cittadini.

Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/07/19/ceta-export-e-tutela-agroalimentare-in-chiaroscuro-sulla-bilancia-del-trattato-col-canada/4498630/