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PRODUZIONE INTEGRATA, LA CERTIFICAZIONE FA LA DIFFERENZA

BIO, UN’IMMAGINE DA “SVECCHIARE”

Doppia intervista del direttore generale di Suolo e Salute Alessandro D’Elia e a Matteo Grillenzoni, responsabile dello schema di certificazione Sqnpi per Suolo e Salute sui Sistemi di qualità sul settimanale Terra e Vita. «Con il sistema Sqnpi la produzione integrata impara del biologico e si evolve»

Obbligo di adesione al sistema Sqnpi. È la novità più incisiva dell’intervento “Sra01 Aca01” (l’ex misura di produzione integrata) all’interno dei nuovi complementi regionali allo Sviluppo rurale.

Un’evoluzione che secondo Alessandro D’Elia, intervistato dal settimanale Terra e Vita, può garantire un doppio vantaggio alla produzione integrata volontaria. Rivalutata oggi dall’inserimento in un sistema di qualità tutelato e promosso a livello nazionale. Un’esigenza pressante per uno schema di produzione che ha avuto difficoltà a comunicare al mercato i propri plus dopo che il piano d’azione per gli usi sostenibili degli agrofarmaci ha reso obbligatoria la produzione integrata “base”. E finalmente valorizzata e tutelata dall’inserimento in uno schema nazionale di certificazione.

Gli obiettivi del Green deal

È questa l’opzione che fa la differenza?

«La sostenibilità ambientale – risponde D’Elia– è oggi al centro della nuova politica agricola comune perché il ruolo del comparto agroalimentare è decisivo per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica e transizione ecologica fissati dal Green deal». «Si tratta di un elemento diventato decisivo per la valutazione della qualità del nostro cibo, ma non è un attributo evidente».

«Va gestito e comunicato con rigore perché la sostenibilità si basa sulla fiducia dei consumatori e la certificazione da parte di un organismo terzo garantisce la coerenza tra le indicazioni dei disciplinari, le azioni dei produttori e le esigenze dei consumatori».

Due filosofie produttive diverse

In questo modo l’integrato assomiglia sempre di più al biologico?

«L’agricoltura biologica fa parte del nostro DNA. Il nostro ente di certificazione è nato dall’evoluzione dell’associazione Suolo e Salute che, a partire dal 1969, è stata tra i precursori di questo metodo di produzione». «Siamo leader nella certificazione del biologico in Italia ma stiamo crescendo anche nel sistema Sqnpi». «Se l’obiettivo della sostenibilità è comune, le strade per arrivarci sono diverse, ma le due filosofie produttive non sono in competizione. Ma è innegabile che il modello di agricoltura biologica, così come codificato e normato dalla Ue e dagli Stati membri, è quello che presta più attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale e alla qualità dei prodotti alimentari». «Per molte aziende agricole la produzione integrata è poi spesso l’anticamera per passare con maggiore convinzione al metodo biologico».

Come si certifica la produzione integrata?

«Il sistema Sqnpi prevede un doppio livello di controllo per dimostrare l’applicazione dei disciplinari di produzione integrata regionali, che sono il documento tecnico di riferimento, nelle fasi di produzione agricola, trasformazione, confezionamento ed identificazione del prodotto finito attraverso il segno distintivo “Qualità sostenibile”».

«I due livelli sono l’autocontrollo aziendale, che prevede la possibilità di verificare i requisiti di conformità da parte degli operatori inseriti nel Sqnpi per le attività svolte presso i propri siti produttivi. E poi il vero controllo da parte degli organismi di certificazione appositamente autorizzati dal Masaf».

 

I controlli

«I sostegni dell’intervento Sra01 Aca01 – spiega Matteo Grillenzoni, responsabile dello schema di certificazione Sqnpi per Suolo e Salute – sono vincolati all’osservanza di alcuni impegni riguardo alle lavorazioni del terreno, con obbligo in alcuni casi di semina su sodo o minima lavorazione, avvicendamento colturale, irrigazione e fertilizzazione».

«Il controllo viene effettuato sul 100% degli operatori aderenti in forma singola e occorre mettere a disposizione documenti come la registrazioni delle operazioni colturali, i risultati delle analisi del suolo obbligatorie per la gestione delle fertilizzazioni ecc.».

La fase più “calda” è però quella relativa ai trattamenti fitosanitari?

«Certo, è in questo caso occorre essere in grado di giustificare i trattamenti sulla base dei monitoraggi delle fitopatie o delle soglie di intervento vincolanti o dei criteri di prevenzione riportati nei disciplinari in modo da limitare il numero dei trattamenti. Utilizzando solo le sostanze attive ammesse dai DPI per ciascuna coltura».

«Ma anche di dimostrare l’avvenuta taratura delle macchine irroratrici nei centri prova autorizzati e la loro regolazione strumentale in sede aziendale». «Controlli che non sono solo documentali ma basati sulla competenza ed esperienza degli ispettori».

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