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Allevamenti biologici: dove ogm e antibiotici sono banditi

In questi ultimi anni si sente sempre più parlare, anche in Italia, di carne biologica e allevamenti biologici.

L’allevamento biologico è una pratica fortemente legata alla terra, esercitata nel pieno rispetto dell’ambiente e degli animali, secondo norme ben precise stabilite dall’Unione Europea.

All’interno di questi allevamenti, gli animali vengono alimentati con foraggi freschi o secchi o con mangimi biologici. Qui, sono banditi i farmaci e gli antibiotici a effetto preventivo di cui, soprattutto negli ultimi anni, si è fatto abuso all’interno degli allevamenti intensivi.

Così, il rispetto per l’animale, alla base della regolamentazione di un allevamento bio, si traduce inevitabilmente in benessere per l’uomo.

Nel 2014, gli allevamenti biologici presenti in Italia hanno fatto registrare numeri importanti, sintomo di un andamento di mercato che premia chi opera in maniera sostenibile: 4.806.887 animali, tra pollame (3.490.702), ovini (757.746), bovini (222.924), 146.692 (arnie con api), caprini (92.647), suini (49.900) ed equini (12.970) – oltre altri animali (20.336) – con una crescita di circa il 15% sull’anno precedente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Paolo Carnemolla, Presidente di FederBio, spiega: “Sempre più consumatori scelgono latte, uova e carne biologica, sinonimo di benessere per gli animali e per l’uomo. Allevare con metodo biologico significa offrire agli animali spazi appropriati in stalla o all’aperto, alimentazione fresca o secca  preparata con ingredienti bio. Nel rispetto della loro natura gli animali non vengono “spinti” alla produzione esagerata. Ma non solo: il bio non prevede l’impiego di antibiotici o di farmaci a effetto preventivo e questo ha un inevitabile beneficio per il consumatore. La scelta del bio comporta sì costi più elevati, ma con benefici estremamente palesi e importanti per il benessere dell’uomo. L’auspicio è che sempre più consumatori, consapevoli e sensibilizzati, scelgano il bio come garanzia di alimentazione sana”.

Solo molto tardi, l’Unione Europea ha iniziato a far analizzare gli intestini degli avicoli al macello provenienti dagli allevamenti intensivi, trovando percentuali di batteri resistenti agli antibiotici preoccupanti. Batteri che i consumatori si ritrovano nel piatto perché le linee di macellazione non proteggono integralmente dalla contaminazione.

L’allevamento biologico, quindi, offre al consumatore la possibilità di prendersi cura di sé stesso, anche in vista dell’aumento di questi batteri, dovuto in parte proprio all’abuso che l’industria della carne fa dei medicinali all’interno degli allevamenti tradizionali.

Fonti:

http://www.feder.bio/comunicati-stampa.php?nid=1028

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/29/report-allarme-batteri-resistenti-agli-antibiotici-dagli-allevamenti-intensivi-arrivano-in-tavola/2778153/

Farmageddon la vera faccia degli allevamenti intensivi

Ben più di una riflessione ne nasce dopo aver letto il libro Farmageddon  –  il vero prezzo della carne economica di Philip Lymbery, dove ne evince un’indagine globale sul resoconto delle devastanti modalità di produzione di carne e pesce, e dell’impatto anche a livello ambientale. Viene spontaneo a chiedersi qual è l’impatto che la produzione massiccia di carne ha sull’ambiente? Quale il reale costo? E proprio a queste domande ha cercato di rispondere  nel suo libro Philip Lymbery, direttore generale della ong CIWF-Compassion in World Farming, scritto in collaborazione con la giornalista Isabel Oakeshott.

Gli allevamenti intensivi risultano essere devastanti per gli animali, per l’uomo, per il Pianeta, la loro espansione nel suolo terrestre e nei mari genera effetti devastanti. All’interno di questo raccapricciante scenario finiscono la metà degli antibiotici fabbricati al mondo e buona parte delle monocolture di cereali e soia.  Nello specifico secondo quanto rivelato dal Ciwf oltre il 50% dei cereali prodotti in Italia è utilizzato per nutrire gli animali (stime basate su dati Faostat); il 71% degli antibiotici venduti in Italia è destinato agli animali (fonte: Ecdc/Efsa/Ema). E ancora, il nostro Paese è il terzo maggiore utilizzatore di questi medicinali negli animali da allevamento in Europa, dopo Spagna e Germania (European Medicines Agency).

E le emissioni? Il 79% delle emissioni di ammoniaca prodotte in Italia proviene dall’allevamento come il 72% delle emissioni di gas serra generate dall’agricoltura (Ispra).

Operazioni decisamente insostenibili, soprattutto se si pensa che questi numeri sono di gran lunga superiori, rapportati alla produzione mondiale di carne.

allevamenti intensivi

Con la sua indagine, Lymbery ha solo dato conferma di quanto gli allevamenti intensivi rechino sofferenza agli animali e danno alle comunità locali. Animali rimpinzati di cibo eppur costretti a vivere in spazi angusti, in cui è difficile muoversi. Malattie causate dallo stress e dal sovraffollamento degli allevamenti, curate con antibiotici e farmaci vari che causano la proliferazione di superbatteri antibiotico resistenti. Come afferma lo stesso Lymbery: “Ciò nonostante il sistema intensivo continua a prevalere. Sono in gioco enormi interessi che permettono introiti straordinari grazie a una formula pensata proprio per i grandi profitti, anziché per  nutrire le persone in modo dignitoso. I governi perseguono apparenti successi sul breve periodo, senza prendere atto del danno a lungo termine: l’allevamento intensivo non è sostenibile per nessuno“.

Poi c’è anche il problema dello smaltimento degli escrementi, che in Paesi come il Perù, a esempio, vengono semplicemente buttati in mare o nel terreno dove, ovviamente, inquinano. Altro discorso grave collegato agli allevamenti intensivi sono le coltivazioni di mangime che rubano spazi e risorse alla Terra. Si disbosca, si distrugge, come se non dovesse esserci un domani, come se ciò che dobbiamo avere oggi sia più importante di ciò che i nostri figli non avranno in un futuro neanche troppo lontano.

Ecco un passaggio raccapricciante : “La corsa cinese alla produzione suina è carica di orrore fantascientifico. Stipulato nel 2011 un accordo d’oro con la Gran Bretagna, interi Boeing 742 affittati al costo di 420mila euro a viaggio hanno portato migliaia di maiali vivi e fertili  “di prima qualità” negli stabulari orientali, dove tutto è così automatizzato che un uomo solo può gestire tremila animali spingendo qualche bottone. Seguendo la politica della più sregolata quantità si sono selezionati esemplari così grassi da non potersi reggere sulle fragili zampe, imbottiti di sostanze pericolose, e  interi laghi sono tanto contaminati dai loro liquami che l’acqua non è più potabile“.

Sono tante ormai le persone che hanno preso consapevolezza dell’insostenibilità degli allevamenti intensivi e dello sfruttamento animale. Per scelte etiche e di amore, sempre più persone hanno abbracciato la dieta vegana o vegetariana. Lymbery propone un compromesso: “Sostenere una produzione di cibo che sia in grado di rimettere gli animali all’aria aperta, al pascolo, anziché dentro capannoni; un allevamento estensivo connesso alla terra, in grado di fornire cibo più nutriente con metodi che risultano migliori sia per il territorio che per il benessere animale. I governi di tutto il mondo possono contribuire a migliorare la salute delle loro nazioni e salvaguardare le future scorte alimentari basandosi su risorse naturali come i pascoli. Cibo che insomma provenga da fattorie, e non da fabbriche“.