Suolo e Salute

Tag Archives: biologico

MASAF-ISMEA, AL SANA LA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE SUL BIOLOGICO

MASAF-ISMEA, AL SANA LA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE SUL BIOLOGICO

#IOPARLOBIO verrà presentata nel corso della kermesse bolognese il 7 settembre

Il 7 settembre al Sana, Salone Internazionale del biologico e del naturale, verrà presentata #IOPARLOBIO la campagna istituzionale di comunicazione sull’agricoltura biologica, promossa dal Ministero dell’Agricoltura, Sovranità Alimentare e Foreste e realizzata da Ismea, alla presenza del Sottosegretario al Masaf Luigi D’Eramo.

La promozione del biologico, con l’Italia ai primi posti in Europa per numero di aziende ed estensione delle superfici, ma che sconta un consumo concentrato prevalentemente al Nord, è affidata ad una campagna multicanale e multi-soggetto rivolta al grande pubblico che prenderà il via nelle prossime settimane.

Il testimonial e gli influencer

Sarà incentrata su uno spot in onda sui principali canali radio e tv, con protagonista il noto cantautore, presentatore e comico Elio e su una webserie per i social network in cui Elio è affiancato dagli influencer Revee (@sayrevee), Carlotta Ferlito (@carlyferly) e Lulù Gargari (@lulugargari).

Le pillole di Sardella

Sempre per il web e social è anche pensata la serie di pillole video dal taglio più informativo condotte dall’autore e conduttore televisivo Luca Sardella. Per tutta la durata della manifestazione lo stand Masaf-Ismea, sarà animato da una serie di appuntamenti informativi che toccheranno temi di particolare interesse a attualità per il mondo del biologico.

LA RESILIENZA DELLA VITICOLTURA BIO

LA RESILIENZA DELLA VITICOLTURA BIO

Sul mensile VVQ l’esperienza di Augusto Zuffa, storico produttore romagnolo certificato da Suolo e Salute, che quest’anno ha dovuto dribblare alluvione, peronospora, grandinate e aumento dei noli per il trasporto aereo

Prima l’alluvione, poi la peronospora, infine le estese pesanti grandinate. Per la viticoltura romagnola il 2023 sarà ricordato come un annus horribilis. Ma l’esperienza dei produttori e la resilienza del bio possono consentire di superare queste difficoltà. La conferma emerge in un ampio reportage pubblicato sul sito del mensile VVQ.

Perdite dal 30 all’80%

«Le perdite nei nostri vigneti – conferma Augusto Zuffa, titolare dell’omonima azienda vitivinicola di Imola (Bo) – vanno dal 30 all’80% in alcuni casi».

Cantine Zuffa è una delle realtà più rappresentative della viticoltura biologica italiana, capace di coniugare, fin dagli albori del bio, attenzione per l’ambiente e tutela della qualità organolettica dei vini.

Coniugare qualità e ambiente

In cantina applica le migliori tecnologie bio per proteggere al meglio la materia prima prodotta in campo e preservare in bottiglia le molecole aromatiche delle uve autoctone e internazionali che coltiva.

In vigneto applica i migliori accorgimenti per tutelare la biodiversità e la fertilità organica dei suoli, ma gli eventi estremi di questo 2023 non hanno assicurato la necessaria tempestività per effettuare i trattamenti, soprattutto nei vigneti di collina, il cui accesso era impedito da frane e smottamenti.

Certificata da sempre da Suolo e Salute, la cantina guidata da Augusto Zuffa è anche campione di export, visto che tutti i vini sono certificati biologici per Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone. «Siamo anche tra i primi al mondo ad aver ottenuto certificazione biologica per la Cina nel 2010».

Export, costi boom

Una vocazione internazionale oggi stressata anche dall’aumento dei noli. «Il costo applicato dagli spedizionieri – spiega Zuffa – per inviare le bottiglie negli Usa è quadruplicato durante il periodo del  lockdown passando da 3,77 euro a bottiglia a oltre 16». «Oggi ci siamo stabilizzati attorno a 12,2 euro a bottiglia, un costo che pesa notevolmente sui nostri consumatori oltreoceano».

L’alternativa sarebbe rappresentata dai pallet da almeno 750 bottiglie per il traporto via nave. Un’opzione scartata a priori da Zuffa proprio in virtù dell’impegno nella salvaguardia della qualità «Investiamo tutto sull’espressione della ricchezza aromatica delle nostre uve, e poi rischieremmo di vederla svanire durante il trasporto».

Un’altra eredità di questo periodo difficile che mette a dura prova la resilienza delle nostre imprese bio.

PERONOSPORA, LA CORRETTA DIFESA DEL VIGNETO BIO

PERONOSPORA, LA CORRETTA DIFESA DEL VIGNETO BIO

In Trentino le applicazioni di rame a basso dosaggio messe a punto dalla Fondazione Mach hanno consentito di limitare i danni anche in un’annata difficile come quella in corso. I riscontri sperimentali nel corso della giornata del bio organizzata dal Centro Trasferimento Tecnologico assieme al Centro di Sperimentazione Laimburg

Difendere il vigneto bio dalla peronospora si può.  Anche in un’annata ad alta pressione infettiva come quella che sta volgendo a termine le contromisure messe a punto dai tecnici della Fondazione Mach hanno infatti consentito di limitare al minimo i danni sugli impianti trentini gestiti con questo metodo di produzione. Sono 1371 gli ettari di vite coltivati con metodo biologico in Trentino, il 13,3% della superficie complessiva viticola.

L’incontro trentino

Difesa, gestione dei vigneti coltivati con metodo biologico in Trentino e sperimentazioni in corso sono stati al centro dell’incontro che si è tenuto lo scorso 3 agosto a San Michele all’Adige (Tn) presso la sede della Fondazione Mach. Organizzato dall’Unità Agricoltura Biologica del Centro Trasferimento Tecnologico, l’evento si è valso della consueta collaborazione con il Centro di sperimentazione Laimburg di Ora (BZ) che nel pomeriggio ha focalizzato l’attenzione del mondo produttivo sulle prove sperimentali in frutticoltura biologica.

Quest’anno a preoccupare i viticoltori è stata soprattutto la peronospora, ma rimane alta l’attenzione anche sui giallumi, in particolare sulla flavescenza dorata. Senza contare che le grandinate di luglio hanno provocato danni alla produzione in molte zone della provincia.

Infezioni e difesa fitosanitaria

A fare il punto sull’annata 2023 sono stati Maurizio Bottura, dirigente del Centro Trasferimento Tecnologico e Daniele Prodorutti, responsabile dell’Unità di agricoltura biologica. Le infezioni di peronospora sono state particolarmente intense tra la fine di maggio e la prima metà di giugno. La difesa fitosanitaria contro questo patogeno, basata sull’uso di prodotti rameici a basso dosaggio, ha permesso però di proteggere i grappoli dei vigneti biologici. Secondo l’analisi di Marco Chiusole i danni alla produzione sono generalmente lievi e limitati agli appezzamenti posti nelle zone più soggette agli attacchi di Plasmopara viticola. La difesa dall’oidio, altro patogeno importante per la vite, è stata impostata sull’uso di prodotti a base di zolfo che hanno permesso di ridurre la presenza di questo fungo in maniera molto significativa rispetto ai testimoni non trattati. Infatti, sui grappoli non trattati la diffusione di oidio si è manifestata precocemente e risultava già elevata a fine giugno.

Il mese di luglio ha visto il verificarsi di eventi meteorologici intensi, spesso a carattere grandinigeno, che hanno provocato danni alla produzione in molte zone della provincia.

Sempre alta anche l’attenzione verso il contenimento dei giallumi, in particolare di flavescenza dorata e del suo vettore Scaphoideus titanus.

Le sperimentazioni

Roberto Zanzotti ha illustrato i risultati delle attività sperimentali per controllare peronospora, oidio, gestione della chioma e flavescenza. Nel corso della stagione 2023, nei vigneti della Fondazione Mach, sono state infatti messe a confronto strategie di difesa da peronospora con rame a bassi dosaggi, da solo e in miscela con altre sostanze quali l’olio essenziale di arancio dolce e l’estratto di salice. L’esperienza è stata estesa con la valutazione dell’efficacia del chitosano e di un nuovo formulato rameico. Il contenimento di peronospora è stato soddisfacente in tutte le tesi in cui si è impiegato il rame, l’aggiunta di altre sostanze non ha contribuito a migliorare l’efficacia dello stesso in modo significativo. Il chitosano, impiegato da solo, non ha garantito una sufficiente protezione di foglie e grappoli.

Per la difesa dall’oidio, sono state impostate strategie a base di zolfo liquido in confronto al bicarbonato di potassio in miscela con una bassa dose di zolfo e al siero di latte, nell’ottica di diminuire l’apporto di zolfo in vigneto. I prodotti testati hanno permesso una riduzione delle infezioni in confronto al testimone non trattato.

La gestione della chioma

Gli approcci di gestione della chioma su Cabernet franc e varietà resistenti svolte in collaborazione con l’Università di Trento sono state illustrate da Michele Faralli.

Una sperimentazione di quattro anni in diversi vigneti e varietà ha avuto l’obiettivo di ottimizzare le operazioni di gestione a verde per migliorare i parametri qualitativi dei mosti e dei vini e valutare la funzionalità fogliare in relazione a potenziali stress ambientali. I risultati forniscono utili evidenze applicative per il viticoltore: la potatura verde si conferma un prezioso strumento per indirizzare la maturazione verso obiettivi enologico-qualitativi desiderati in un contesto di cambiamento climatico.

Flavescenza, i vettori e le piante ospiti sono ben più di quelli noti

Mauro Jermini, del Centro Ricerca Agroscope di Cadenazzo-Svizzera ha esposto i risultati degli studi svolti in Ticino volti allo sviluppo di una strategia di gestione della flavescenza dorata. In particolare, è stato valutato l’impatto del fitoplasma sullo sviluppo dei tessuti vegetali nei tralci e nel tronco e il ruolo del paesaggio (piante arboree e diverse specie di cicaline sono risultate positive a flavescenza dorata) nella diffusione della malattia. La strategia di gestione nel vigneto, alla quale si deve associare una gestione degli elementi chiave del paesaggio circostante, sono elementi importanti per ridurre i rischi epidemici.

ARRIVA IL RICONOSCIMENTO PER IL DISTRETTO BIOLOGICO DELLA MAREMMA

ARRIVA IL RICONOSCIMENTO PER IL DISTRETTO BIOLOGICO DELLA MAREMMA

Un obiettivo di sostenibilità condiviso dai comuni di Capalbio, Castiglione della Pescaia, Grosseto, Magliano in Toscana, Manciano, Orbetello e Scansano

È stato riconosciuto il distretto biologico della Maremma e con il nuovo arrivato salgono a sei in Toscana le realtà dedicate alla coltivazione, all’allevamento, alla trasformazione e alla commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari ottenuti con metodo biologico.

Le cifre

Il distretto della Maremma nasce dopo un percorso di condivisione di obiettivi di sostenibilità portato avanti da diversi mesi nei comuni di Capalbio, Castiglione della Pescaia, Grosseto, Magliano in Toscana, Manciano, Orbetello e Scansano. Il territorio del distretto, che corrisponde ai confini amministrativi dei sette Comuni citati, ha una superficie agricola utilizzabile di quasi 96 mila ettari complessivi, di cui il 41% condotti con il metodo dell’agricoltura biologica, grazie anche alle circa 300 aziende biologiche che partecipano al progetto economico territoriale integrato del distretto. Diverse delle aziende aderenti sono certificate bio da Suolo e Salute.

Gli obiettivi

«Anche un territorio che riveste un ruolo così importante per l’agricoltura toscana e nazionale – commenta Stefania Saccardi vicepresidente regionale e assessora all’Agroalimentare – ha fatto la scelta di dotarsi dello strumento del distretto biologico».

«Siamo una regione che vuol fare di un’agricoltura sana, di qualità, e ambientalmente sostenibile un modello da diffondere. Siamo sulla buona strada se si considera che l’Europa ha dato l’obiettivo del 25% della superficie coltivata a biologico per il 2025, e già adesso la Toscana è al 35% e oggi abbiamo riconosciuto il sesto distretto biologico della Toscana».

«Con il riconoscimento regionale si dà avvio ufficialmente alla fase operativa di un progetto molto importante per il territorio – aggiunge Leonardo Marras, assessore all’Economia e al turismo della Regione Toscana -. Il distretto biologico, infatti, è una grandissima occasione per la Maremma che dovrà sfruttarne al meglio le potenzialità: sviluppo dell’agricoltura, consolidamento e apertura di nuovi mercati, ma anche volano per la crescita del turismo”. “Il nuovo Distretto biologico della Maremma è un progetto a cui siamo particolarmente legati – spiega il neo presidente del Distretto e sindaco del Comune di Grosseto Antonfrancesco Vivarelli Colonna -. Rappresenta un’incredibile opportunità per tutto il territorio e si basa sull’unione e sulla sinergia di intenti tra il mondo delle istituzioni, quello delle associazioni di categoria e quello del vasto tessuto imprenditoriale della nostra zona».

 

LA CERTIFICAZIONE DEL BIO CONFERMA TUTTA LA SUA EFFICACIA

LA CERTIFICAZIONE DEL BIO CONFERMA TUTTA LA SUA EFFICACIA

«Il Sistema di Controllo e Vigilanza che caratterizza il biologico può essere migliorato ma è l’unico che funziona!». AssoCertBio difende a spada le peculiarità di una formula rodata di certificazione di processo che affianca Autorità pubbliche e Organismi privati assicurando trasparenza, terzietà, efficacia e anche vantaggi agli operatori in termini di tariffe (grazie alla concorrenza tra Odc)

«La conformità dei prodotti biologici? È garantita a più livelli».

Lo rivendica Riccardo Cozzo, presidente di AssoCertBio, che spiega: «viene assicurata mediante l’autocontrollo da parte dell’operatore, il controllo degli operatori da parte degli Organismi di certificazione nonché la vigilanza delle Autorità di controllo».

«Il sistema di controllo del biologico nel nostro Paese – ricorda – prevede infatti il coinvolgimento di soggetti sia di natura pubblica sia privata. Si tratta di un assetto che è tra i più diffusi tra i Paesi Ue e questa è già una evidenza del fatto che il sistema funziona!».

Il valore delle sinergie tra pubblico e privato

Nel nostro Paese il controllo del bio è assicurato infatti dall’insieme delle attività, metodi e strumenti a garanzia della conformità dei prodotti e prevede la sinergia tra Autorità Competente, Autorità di Vigilanza e Organismi di Controllo (Organismi di Certificazione, soggetti privati incaricati di pubblico servizio).

«Gli Organismi di certificazione -sottolinea il presidente – hanno l’obbligo di essere accreditati presso l’ente unico di accreditamento Accredia per gli aspetti inerenti alla terzietà, indipendenza e competenza (ai sensi della Norma ISO 17065), svolgono attività di ispezione e certificazione, su autorizzazione dell’Autorità competente nazionale (rappresentata dal Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare e delle Foreste)  e sono sotto la vigilanza del Dipartimento Icqrf  (Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Masaf), delle Regioni e delle Province autonome».

Irregolarità ridotte all’osso

La conferma della sua efficacia viene dai report annuali dell’attività di controllo di Icqrf. «Nel corso degli anni, i prodotti biologici italiani hanno sempre mostrato una difettosità minima e, inoltre, tale difettosità riguarda soprattutto problemi amministrativi, burocratici ed errori di etichettatura. I casi di tracce di residui sono rari». La conferma restituita da tali dati evidenzia come il Sistema attuale non abbia bisogno di stravolgimenti o di una “rivoluzione copernicana”.

Le proposte degli Odc

Ciò non vuol dire che non possano esserci margini di miglioramento: nel documento stilato di recente dall’Associazione, contenente sette proposte di rafforzamento del Sistema di Certificazione una di esse riguarda il mettere a sistema le criticità rilevate e sottoporle ad una discussione collettiva per stimolare il confronto tra le parti e pervenire, con una visione complessiva, alla ottimizzazione delle procedure e delle azioni dei singoli Organismi di Certificazione.

A conti fatti la concorrenza conviene

«Questo Sistema di controllo attuale – prosegue – ha determinato anche un vantaggio, per gli operatori, in termini di uniformità delle tariffe di certificazione». «Il tariffario di ogni Organismo di certificazione deve infatti essere approvato dall’Autorità competente. Inoltre, la presenza, sul mercato, di diversi Organismi di Certificazione privati ha dato vita, negli anni, ad una sana concorrenza che ha portato ad avere delle tariffe ragionevoli per gli operatori». Da un recente monitoraggio effettuato in AssoCertbio, ad esempio, se si prende in considerazione una azienda agricola di dimensione media (quindi con una superficie di circa 28,4 ettari) e a rischio basso, il costo di certificazione si aggira mediamente intorno ai 500 euro.

«Questo consente di affermare – conclude Cozzo – che il Sistema di controllo del biologico non solo garantisce efficacia, efficienza dei controlli e trasparenza per il consumatore, ma non va a gravare sul bilancio delle aziende in modo insostenibile».

«Difatti, se si considera che il mercato del biologico italiano vale dai 5 agli 8 miliardi di euro, si può stimare un’incidenza del costo della certificazione di circa lo 0,5-0,8%».

IN BRASILE IL BIO FA RINASCERE I TERRENI IMPOVERITI DALLA MONOCOLTURA

IN BRASILE IL BIO FA RINASCERE I TERRENI IMPOVERITI DALLA MONOCOLTURA

Nelle terre impoverite dall’agricoltura intensiva, l’agronomo svizzero Ernst Götsch punta su tecniche rigenerative bio per ripristinare la biodiversità e la fertilità dei suoli. Un esempio oggi seguito da altri 4mila produttori

«Diciamo addio a una mentalità basata sullo sfruttamento e sulla competizione». «Dimentichiamo i modelli di coltivazione che puntano solo sull’iperproduzione e che hanno portato all’impoverimento del suolo e al peggioramento del clima». È quanto predica da 30 anni in Brasile l’agronomo svizzero Ernst Götsch, pioniere del biologico e dell’impegno in difesa della biodiversità.

Emigrazione al contrario

Nato nel 1948, figlio di un agricoltore del cantone di Thurgau, nel Nord-Est del paese alpino, dopo la trafila scolastica che lo ha portato ad essere ricercatore di scienze agrarie presso l’Istituto federale di tecnologia ETH di Zurigo, Götsch è emigrato in Sud America nel 1982. In Brasile ha rilevato la fazenda Olhos D’Agua a Bahia, dedita alla coltivazione di cacao, ma abbandonata dopo che malattie e sfruttamento eccessivo del suolo avevano reso improduttivi i 120 ettari aziendali. La sua storia è stata recentemente raccontata da Swissinfo.ch.

Introducendo tecniche di agricoltura biologica rigenerativa è riuscito, in cinque anni, ad aumentare la biodiversità e la produttività aziendale, guadagnandosi l’attenzione della comunità rurale.

L’impatto di un modello sbagliato

In Brasile il modello di agricoltura intensiva basato su deforestazione e monocoltura sta infatti portando ad un rapido degrado del paesaggio. Dove un tempo c’era la foresta pluviale ora ci sono savane polverose riarse dal sole, caratterizzate da intensi fenomeni di erosione del suolo e sempre meno produttive. Rotazioni, trasemine, consociazioni colturali erano considerate antieconomiche in una realtà agricola come quella brasiliana, caratterizzata da vasti latifondi da migliaia di ettari gestiti attraverso un’intensa meccanizzazione e ricorso a input chimici.

25 anni di corsi e conferenze

L’esempio di Götsch ha però convinto molti agricoltori a cambiare modello produttivo. Nei 25 anni tra il 1993 e il 2018, i suoi corsi, workshop e conferenze hanno motivato più di 4.000 agricoltori, spingendoli ad adottare il suo metodo non solo in Brasile ma anche in Portogallo, Spagna, Hawaii e Suriname.

La transizione ecologica è possibile

«Ogni essere vivente – dice – svolge una funzione importantissima nella sua nicchia ecologica, innescando relazioni interspecifiche e intraspecifiche che si basano sulla cooperazione». «Funghi, batteri, piante, animali si aiutano a vicenda, hanno bisogno l’uno dell’altro e traggono beneficio dalla loro coesistenza mentre gli agricoltori li osservano e li assistono».

La messa in pratica di questi obiettivi è la più valida risposta all’impatto dei cambiamenti climatici e dimostra che la transizione ecologica non solo è possibile, ma è l’unica via per continuare a rendere vivibile il pianeta.