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BIOLOGICO E REGOLAMENTI: UNA STORIA LUNGA TRENT’ANNI

BIOLOGICO E REGOLAMENTI: UNA STORIA LUNGA TRENT’ANNI

Compie trent’anni, la prima normativa creata per disciplinare i prodotti agricoli biologici in Italia.

In data 24 giugno 1991 veniva adottato dal Consiglio delle Comunità europee il Regolamento n. 2092/91, “relativo al metodo di produzione biologico dei prodotti agricoli e all’indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari”.

L’unico settore ancora escluso da questa prima regolamentazione era quello zootecnico, lasciato fuori assieme al vino e all’olio e solo successivamente inserito e monitorato assieme agli altri prodotti rispetto ai criteri di procedura, etichettatura e controllo.

Al 2092/91 è seguito il Reg. CE n. 834/2007 e il Reg. CE n. 889/2008, fondamentali per la definizione e l’aggiornamento di norme generali, relative alla produzione biologica e alle nuove modalità di etichettatura dei prodotti; regolamenti ancora oggi di riferimento, che verranno integrati presto da rinnovate linee guida.

Il trentennale infatti, viene in questi giorni coronato dalla prospettiva di un nuovo disegno di legge per il settore, approvato in Parlamento e ora al vaglio della Camera per la conferma finale.

Quest’ultimo contiene la legittimazione di passaggi sostanziali per il comparto: come l’istituzione di un marchio biologico Made in Italy, che renda distintivo e immediatamente riconoscibile, il valore del biologico nazionale e l’importante messa a sistema dei bio-distretti, strumenti innovativi preziosi per lo sviluppo economico – e certo, agricolo – di territori rurali circoscritti.

L’affermazione di questo traguardo, porta con sé il sigillo di un settore cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni; tanto da rappresentare un elemento di punta del sistema agroalimentare italiano.

Dopo trent’anni, il cerchio normativo che abbraccia il biologico in Italia, compie un giro completo, contribuendo così nel suo “piccolo”, alla transizione agroecologica di impronta europea.

 

Fonte: Italia Fruit News

LA NUOVA POLITICA AGRICOLA COMUNE, TRA AGROECOLOGIA E INNOVAZIONE

LA NUOVA POLITICA AGRICOLA COMUNE, TRA AGROECOLOGIA E INNOVAZIONE

Da un primo tratteggio della nuova Politica Agricola Comune, che interesserà le annualità 2023/2027, due sono le direttrici che emergono come portanti: la transizione ecologica e quella digitale.

Nell’approccio del futuro, secondo la nuova PAC vi è l’utilizzo prevalente di pratiche agricole sostenibili, come l’agroecologia, l’agricoltura biologica, l’utilizzo di innovazioni digitali e dell’agricoltura di precisione.

Pratiche che possano favorire l’avvento di un settore agricolo più smart rispetto al passato, che rispetti maggiormente l’ambiente e convogli una certa vivacità all’interno delle aree rurali.

Questo approccio trova parti contrarie che accusano la strategia Farm to Fork immaginata dall’Unione Europea, perché troppo poco produttiva in termini alimentari; secondo questa visione, tale strategia ridurrebbe la produzione, provocando un aumento dei prezzi, a discapito di consumatori e agricoltori.

Gli ambientalisti invece, per nulla favorevoli all’approccio tecnologico, giudicano scarsa ovvero non sufficiente, la propensione ambientale tratteggiata nella nuova PAC, che favorirebbe un ristretto numero di aziende agricole non adeguatamente attente sia dal punto di vista ambientale che da quello animale.

Dobbiamo tuttavia pensare che nella concezione smart dell’agricoltura, immaginata dall’Unione, è già contemplato un incremento della produttività compatibile con una particolare attenzione e cura verso l’ambiente; potenziato dall’utilizzo dell’innovazione tecnologica.

Un piccolo investimento nella direzione ecologica era già stato seminato con la precedente PAC 2021/22, le cui fonti di finanziamento erano di provenienza del Quadro Finanziario Pluriennale 21/27, che in Italia raggiunge i 6 miliardi di euro con il cofinanziamento nazionale.

Queste ultime unite a quelle del programma “Next Generation Eu” per l’Italia, pari a 910,6 milioni di risorse in Europa, attribuite agli Stati Membri secondo una precisa ripartizione: 8% delle risorse possono essere utilizzate per il sostegno delle misure dei loro programmi di sviluppo rurale, nel rispetto dei requisiti minimi ambientali; 37% per interventi legati alla transizione ecologica; 55% per interventi legati alla transizione digitale.

Con l’avvento della PAC 2023/27 gli strumenti a favore di un’evoluzione ecosostenibile sono aumentati. Tra questi compaiono gli eco-schemi: un nuovo pagamento verde, erogato tramite un premio annuale per ettaro in aggiunta al pagamento base; dedicato a quegli agricoltori che si impegnano in pratiche ecocompatibili e innovative dal punto di vista tecnologico.

Gli eco-schemi sono il frutto di una strategia molto chiara alla base di tutto il disegno della nuova Pac, convinta che la sostenibilità possa essere perseguita attraverso l’innovazione digitale.

Tecnologie di guida satellitare, precisione nelle operazioni colturali, gestione dei dati, sono tutti elementi indispensabili per un’agricoltura moderna; efficace nel ridurre gli sprechi e nel migliorare la qualità dei prodotti e le informazioni legate alla loro origine.

Una transizione che si pone l’obiettivo di elevare le capacità professionali, dotando finalmente l’agricoltura di strumentazioni efficaci e precise, proporzionali al rilievo che il settore sta assumendo in una prospettiva di crescita consistente.

Fonte: Terra e vita

BIOLOGICO A GONFIE VELE: LA TENDENZA DEI MERCATI IN ITALIA E ALL’ESTERO

BIOLOGICO A GONFIE VELE: LA TENDENZA DEI MERCATI IN ITALIA E ALL’ESTERO

Gli interessi ricreativi che il 2020 ha dato la possibilità di esperire, in quanto anno della pandemia da Covid-19, sono stati pochi, ma tra questi spicca certamente l’attenzione alla salute e alla qualità, riservata da parte dei consumatori alla spesa alimentare e alla preparazione degli alimenti.

A confermarlo sono i dati raccolti da Nomisma e Nielsen, pubblicati sulla rivista Food, in merito alla crescita del consumo di prodotti biologici.

Il settore ha conosciuto un’impennata del 20% durante l’anno 2020, crescita che alla fine del primo semestre dell’anno, rappresentava il 3,9% della vendita totale di cibi e bevande.

Tra i prodotti alimentari più consumati durante il periodo di pandemia, troviamo le uova, la cui quota ha raggiunto i 110 milioni di euro. L’incremento economico non è stato l’unico risultato, infatti i consumatori hanno mostrato maggiore sensibilità riguardo alla provenienza delle uova e al tipo di allevamento da cui provengono.

La GDO si è mossa di conseguenza ampliando l’offerta di uova biologiche. Infatti, le uova certificate biologiche mantengono oltre il 10% dei volumi venduti, mostrando incrementi del 4% rispetto al 2019.

Le farine bio, sono diventate un “tormentone” della spesa durante il lockdown. Favorite dalla preparazione di dolci e alimenti fatti in casa, la loro vendita ha riscontrato un aumento del 44% durante l’anno 2020, cioè circa 25 milioni di euro in più rispetto alla media dell’anno precedente; con un consequenziale calo commerciale del 10% rispetto a prodotti come biscotti e merendine, penalizzati dal ritrovato gusto dell’hand made.

Anche frutta e verdura biologica sono stati tra gli alimenti più acquistati, con un incremento del 12% della prima e del 7% rispetto agli ortaggi.

I discount, gli e-commerce e i negozi specializzati si distinguono invece per essere stati i canali preferenziali di acquisto durante il periodo di pandemia.

La vendita nei discount è cresciuta del 12% circa, mentre quella online è risultata strategica per i produttori che vi hanno abbinato la consegna a domicilio, favorendo una relazione diretta con il consumatore, in queste circostanze meno scontata da realizzare.

I negozi specializzati sono stati agevolati dall’impossibilità allo spostamento da parte delle persone, costrette a rivolgersi ai commercianti nelle immediate vicinanze per l’acquisto di beni primari.

Se poniamo lo sguardo alla percentuale di suolo coltivato a metodo biologico in Italia, questo si aggira intorno al 15%. Di cui almeno la metà è distribuito tra Sicilia, Puglia, Calabria ed Emilia Romagna. La regione che accoglie la più alta concentrazione di terreno coltivato a bio è la Sicilia, con circa 400 mila ettari coltivati dedicati prevalentemente ad agrumi e olivi.

Fuori dal confine italiano, l’Italia emerge per essere il primo esportatore di alimenti bio in Europa, per un ammontare di 2 miliardi e mezzo di euro – di cui il 30% commercializzati attraverso le private label dei distributori stranieri -.

Tra i prodotti maggiormente esportati: frutta e verdura e bevande vegetali alternative al latte tradizionale. Seguono il riso, la pasta, gli oli, le carni e il vino. L’80% del fatturato del settore, deriva proprio dall’export.

Per quanto riguarda il vino, quest’ultimo nella produzione a metodo biologico ha conosciuto un’ulteriore crescita non soltanto in termini quantitativi. Chianti Classico e Franciacorta sono tra le maggiori produzioni, che ammontano relativamente al 30 e 50%.

Ad essere importate invece, sono materie prime come caffè, tè, cacao, spezie, banane, ananas, zucchero di canna, riso basmati proveniente dall’India e grano tenero di derivazione canadese.

Poco distante da noi, con un giro economico di 12 miliardi di euro, vi è la Germania, dove un consumatore su due acquista quotidianamente prodotti bio.
Durante il lockdown la vendita attraverso i discount è stata la corsia preferenziale, questi – Lidl è un esempio – si coordinano sul lavoro con l’associazione Bioland, nota per sottoporre i prodotti a un controllo di certificazione estremamente rigoroso. Controllo che attrae a sé fette di consumatori inedite.

La Francia è tra i paesi più attivamente impegnati nella transizione ecologica. Si prevede che nei prossimi anni il mercato bio incrementerà notevolmente, grazie alla strategica fusione tra la GDO e alcuni marchi specializzati. Supermercati e Ipermercati infatti, detengono il 55% del dominio sul mercato bio d’Oltralpe.

Oltre i confini europei: il Regno Unito ha registrato un aumento nel settore durante il 2020 del 6%, percentuale che durante il lockdown ha raggiunto il 18,7. Tra gli alimenti più venduti in questo paese, le banane Fairtrade e le uova biologiche.

Oltreatlantico il mercato biologico non delude: in Canada la quota dei prodotti bio ha superato i 3 miliardi di euro, di cui 780 milioni derivano dalla vendita di alimenti importati dall’estero, come caffè, pomodori, spinaci e fragole.

Negli Stati Uniti ad avere il controllo delle vendite sono le multinazionali come Walmart e i discount, che puntano sulle promozioni per favorire l’ampliamento della clientela. Il settore biologico in America, equivale oggi al 5,8% della vendita alimentare.

In Cina questo tipo di mercato è alimentato soprattutto dai Millennials, forti consumatori di spuntini freschi biologici. Si prevede che entro tre anni il mercato cinese del bio superi i 13 milioni di dollari di fatturato.

L’India ha visto schizzare alle stelle il consumo di riso e legumi bio durante il lockdown. Il fatturato di prodotti biologici del paese ammonta a circa un miliardo di dollari (860 milioni di euro). Inutile dire che Amazon ha alimentato l’attrazione delle persone per il settore, incentivando il consumo con generosi sconti su marchi di rilievo.

In uno stato come quello russo invece, il biologico è una categoria d’acquisto riservata alle élite, perché comporta rincari fino al 300%. Il mercato bio, rappresenta solo lo 0,1% delle vendite alimentari, sebbene negli ultimi dieci anni la catena healty VkusVill abbia aperto ben 1200 punti vendita all’interno del paese.

Il caso australiano è fuori dall’ordinario per regolamentazione: l’utilizzo della dichiarazione biologica del prodotto sembra infatti non essere ancora stato rigorosamente tarato secondo requisiti specifici. Tuttavia anche qui il settore risulta prolifico con prospettive di ampia crescita.

Il panorama generale legato alla tendenza dei mercati del settore bio nell’anno 2020 è stato sorprendente e seppure in condizioni attualmente differenti, ci auguriamo continui a prosperare per grandezza.

Fonte: Great italian food trade

PRODUZIONE BIOLOGICA: L’IMPORTANZA DEL “LOCALLY GROWN”

PRODUZIONE BIOLOGICA: L’IMPORTANZA DEL “LOCALLY GROWN”

Esistono elementi che fanno la differenza sulla qualità percepita rispetto a un prodotto e su quella che può essere l’intenzione al suo acquisto.

È il caso dei prodotti biologici, ormai sottoposti a un’attenta selezione da parte dei consumatori, sempre più informati ed esperti nell’approccio alla spesa, tanto da stimolare gli attori della filiera del biologico al rispetto e alla considerazione dei “loro” criteri d’acquisto; criteri che si identificano in importanti standard etici.

È l’opportunità per chi lavora nel comparto, di dedicarsi alla ricerca di nuove forme che differenzino il prodotto, attraverso alcuni attributi messi in luce dal consumatore.

Tra gli attributi che spiccano per valore vi sono quelli cosiddetti “credence”, come: l’origine, la produzione biologica e la provenienza “locally grown”, legata alla coltivazione locale e al rispetto ambientale commisurato.

Un ostacolo importante per la riconoscibilità dei prodotti, è spesso legato all’assenza di informazioni che ne raccontino le caratteristiche e il luogo d’origine. Ostacolo concreto, connesso alla pratica di consumo etico.

Diventa quindi strategico per le aziende, investire su una comunicazione efficace in merito alla qualità del prodotto, al fine di renderlo accessibile al consumatore anche nella sicurezza e nella comunicazione delle sue materie prime.

Lo spazio per raccontarlo, diventa quindi elemento centrale da difendere e  tutelare. La marca acquista valore simbolico, divenendo rappresentante iconico dei valori alla base del prodotto.

All’interno del brand convergono, infatti, i fattori culturali e sociali del territorio di provenienza del prodotto. Caratteristiche che le imprese riconoscono come valore aggiunto da sviluppare e sul quale investire.

Il rapporto collaborativo che si genera tra le imprese parte del territorio e il sistema-territorio, viene sintetizzato e raccontato attraverso la marca del prodotto; trovando così una via propria sul mercato. All’interno del quale il territorio d’origine è l’elemento distintivo, fulcro di valori e simboli.

Tra gli attributi sopraelencati definiti “credence” del prodotto biologico, vede tra i suoi elementi correlati: l’etica, la sicurezza, gli aspetti di tipo nutrizionale, la gestione del territorio, la preoccupazione per la salute e per l’ambiente.

Studi effettuati, rilevano tra le ragioni etiche di preferenza del prodotto biologico, aspetti che riguardano il fronte sociale e territoriale, come: il supporto di aziende agricole di piccole dimensioni o a conduzione familiare, aziende locali che seppur non potenti economicamente sono però in grado di apportare benefici per l’ambiente e la salute umana.

Il “locally grown”, l’adozione delle pratiche agricole tradizionali, la coltivazione di varietà vegetali specifiche del luogo che aiutino a promuovere la cultura culinaria locale, le buone condizioni lavorative, il supporto offerto alle famiglie che lavorano, prezzi che tutelino il lavoro degli agricoltori, sono tutte ragioni etiche che determinano la scelta del consumatore verso prodotti di tipo biologico.

Il 10 e 11 giugno 2021 presso l’Università di Palermo, nell’ambito del convegno Sinergie-Sima 2021, sarà approfondito il tema del “locally grown”, nell’impatto che il territorio d’origine esercita sulla qualità percepita del prodotto alimentare biologico, a partire dal caso dell’azienda Fileni.

 

 

Fonte: Mark up

NONOSTANTE LA STASI DELLE POLITICHE AGRICOLE, NASCE IL BIO-DISTRETTO DEL RISO PIEMONTESE

NONOSTANTE LA STASI DELLE POLITICHE AGRICOLE, NASCE IL BIO-DISTRETTO DEL RISO PIEMONTESE

È stato presentato al pubblico alcuni giorni fa il Bio-distretto del riso, nato nel febbraio scorso in Piemonte, per mano di sette imprenditori dei territori della Baraggia, del Biellese e del Vercellese.

Uno degli strumenti più innovativi diffusi in Italia, raggiunge anche la regione piemontese nella produzione del riso; per un’espansione attuale di circa cinquecento ettari collocata ai piedi delle Alpi, che prevede il raddoppiamento nell’arco di un futuro prossimo.

In linea generale, i terreni dedicati alle risaie nel nord Italia – tra Piemonte e Lombardia per intenderci – sono trattati con erbicidi, anticrittogamici, insetticidi; sistemi di coltivazione che risalgono alla prima industrializzazione agricola, mai aggiornati e poco sensibili al tema della sostenibilità.

Il Bio-distretto del riso in Piemonte è quindi una preziosa innovazione, in un terreno che sta esperendo la diminuzione della presenza di glifosato e dei suoi metaboliti di circa dieci volte rispetto all’utilizzo ordinario.

La scelta alla base della nuova coltivazione è stata il recupero di semi e varietà diffuse un secolo fa, varietà più forti di quelle invece selezionate negli ultimi decenni, non bisognose di elementi chimici che ne agevolino la sopravvivenza.

Molte delle varietà di piante selezionate come per esempio il Rosa Marchetti, sono inoltre resistenti al Brusone, un fungo del riso molto diffuso in Lombardia, capace di aggredire la pianta in ogni sua parte. Per le varianti più delicate invece, si utilizza l’irrorazione con lo zolfo.

I coltivatori hanno inoltre recuperato l’utilizzo di piante allopatiche ricavate dalla fermentazione del sovescio, naturalmente erbicide, molto ricche per il terreno poiché sparse sui campi prima della semina, a funzione concimante e di pacciamatura. Un cambio radicale per il terreno, in questo modo orientato a una ripulitura dai residui delle coltivazioni chimiche e alla riduzione di un terzo delle emissioni di CO2.

C’è chi si interroga sulle ragioni per il quale questo modo di praticare la risicoltura, sia stato avviato così tardi, considerando che, l’Unione Europea già nel 2009 affrontava il tema della Difesa Integrata – la strategia che consente di limitare i danni derivanti dai parassiti delle piante, utilizzando tecniche disponibili nel solo rispetto dell’ambiente e della sua salute -, individuando in questa, l’alternativa concreta all’agricoltura di tipo chimico.

Undici anni dopo, all’interno di una relazione sul tema da parte della Corte dei Conti, vengono di nuovo valutate le riduzioni dei pesticidi attraverso l’introduzione di veri e propri cambiamenti sistemici, volti a favorire la diversità strutturale e biologica e ridurre la resistenza attuata dagli organismi nocivi, ai principi attivi attraverso metodi agroecologici. Segue quindi la presa d’atto che i paesi membri non abbiano legittimato come tassativa, l’applicazione di questa strategia, denotando differenze tra un paese e l’altro, sostanziali.

Trascorrono decenni e di nuovo ci si continua a interrogare sulla stasi delle politiche agricole, così lente e monolitiche di fronte a un Green Deal che auspica il 25% della superficie a bio entro il 2030.

Stasi che si spera venga messa in discussione, oltre che dai risicoltori biocome abbiamo visto, ora attivi e operosi rispetto a un nuovo modo -, anche a livello più generale, attraverso il Recovery Plan e conseguenti e inedite azioni di investimento sostenibile, riservate all’agricoltura biologica.

Fonte: Il fatto quotidiano

BIOLOGICO FIN DAL PRINCIPIO: SI RIPARTE DAL SEME

BIOLOGICO FIN DAL PRINCIPIO: SI RIPARTE DAL SEME

La filiera del biologico sta ridisegnando la sua architettura a partire dall’approvigionamento del seme.

Da cinque giorni a un anno, questo il “tempo utile” che, dal 2022, le aziende sementiere potranno utilizzare per assicurare agli agricoltori semi certificati biologici. Una decisione che promette di tutelare e valorizzare ulteriormente la produzione biologica italiana.

Assosementi – Associazione Italiana Sementi, sottolinea come, fino ad ora, nonostante la legislazione prevedesse l’utilizzo di semente e materiale di moltiplicazione certificato bio, il ricorso alle deroghe che consentono l’uso di semente ottenuta con tecnica convenzionale, lasciasse un buco scoperto proprio sul principio della coltivazione biologica.

Solo il 4% dell’intera superficie sementiera risulta infatti ad oggi, coinvolto nella moltiplicazione delle sementi secondo il metodo bio.

Questa modifica potrà invece consentire di arginare questo meccanismo e valorizzarne il processo fin dall’inizio, dichiara Alberto Lipparini, Direttore di Assosementi.

Il tempo guadagnato sarà l’equivalente di una stagione colturale, permetterà all’azienda sementiera di programmare, produrre e seguire il seme biologico certificato fino alla consegna agli agricoltori.

Si tratta di pazientare ancora per questo 2021, poiché vedremo la concretizzazione di questa evoluzione solo nel 2022, continua Lipperini, che manifesta tuttavia la sua preoccupazione nel riscontrare che questo significativo passo in avanti, potrebbe essere messo in discussione da alcuni emendamenti al disegno di legge sull’agricoltura con metodo bio, definiti dalla Commissione Agricoltura del Senato.

Questi ultimi, darebbero via libera alla possibilità di vendere direttamente in ambito locale o di scambiare liberamente sementi biologiche anche di varietà non iscritte nei registri nazionali. Prescindendo in effetti, la trasparenza che si sta cercando di legittimare a una filiera così preziosa, a partire dalle sue basi.

Fonte: Terra e vita