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IMPORTAZIONE BIO: IL NUOVO DECRETO

IMPORTAZIONE BIO: IL NUOVO DECRETO

Un intervento mirato a chiarire le procedure, quello del 24 febbraio, per risultati il più possibile ineccepibili in materia di importazione bio, di prodotti provenienti da Paesi Terzi.

L’operazione prende avvio nell’ambito di un processo monitorato dal Mipaaf e sollecitato dalla Commissione Europea in occasione dell’ultimo rapporto di audit relativo al settore. La finalità? Perseguire un approccio diffuso, che accomuni tutti gli stati membri, per un dialogo e una messa in opera di affinata precisione sul tema dei controlli all’importazione.

A scandire le nuove modalità contenute nel decreto, due allegati tecnici. Un primo dedicato alla valutazione degli importatori attraverso l’identificazione di cinque fattori di rischio. L’obiettivo è quello di poter misurare la necessità di frequenza dei controlli da effettuare presso gli importatori stessi.

Un secondo, individua quali fattori di rischio rendano determinante un aumento dei campionamenti obbligatori. Decreta inoltre, come conditio sine qua non, i campionamenti di tutti i prodotti bio provenienti dai Paesi Terzi ed appartenenti alle categorie dei prodotti biologici importati, indicate per i controlli addizionali ogni anno, all’interno delle linee guida della Commissione Europea. Tracciabilità e valutazione del rischio quindi, le priorità da verificare.

Tra i fattori di rischio presi in esame, spiccano per necessità di campionamento: tipologie di prodotto particolari e ulteriori Paesi Terzi considerati a rischio e infine, carichi provenienti da un Paese di spedizione differente da quello di origine. Ogni importatore dovrà infine essere sottoposto a un campionamento e successiva analisi di almeno una partita di prodotto biologico importato durante il corso dell’anno.

Un nuovo decreto dunque, a tutela del consumatore, teso a evitare il fenomeno delle triangolazionil’ingresso in Italia di prodotti bio per il tramite di altri stati membri, atti a eludere i controlli imposti dallo stato – e a costituire un esempio di buona prassi a diffusione di un approccio comune per tutti gli stati membri dell’UE.

Fonte: Terraevita

PRIMA EDIZIONE ONLINE DI BIOFACH: UN ANNUARIO RACCONTA IL BIOLOGICO NEL MONDO

PRIMA EDIZIONE ONLINE DI BIOFACH: UN ANNUARIO RACCONTA IL BIOLOGICO NEL MONDO

Una mappatura d’insieme che sistematizza e descrive, quella presentata durante la prima edizione di Biofach in veste on line. Stiamo parlando di “The world of Organic Agriculture”, annuario statistico che presenta i dati relativi ai mercati di cibo biologico nel mondo, in una sintesi visiva che li pone a confronto. Una pubblicazione dell’Istituto svizzero di ricerca per l’agricoltura biologica (FiBL) e della Federazione internazionale dei movimenti di agricoltura biologica – Organics International (Ifoam) proposta pubblicamente on line lo scorso 17 febbraio.

Una crescita di 1,1 milioni di ettari, dal 2018 al 2019, per centosei miliardi di euro fatturati, più di 3 milioni di produttori partecipanti e un totale di 72,3 milioni di ettari coltivati a metodo biologico. La curva crescente sembra essere proporzionale al livello di fiducia che le persone, nelle varie parti del mondo, stanno sviluppando nei confronti dell’agricoltura bio. Fiducia declinata nell’impegno a un’alimentazione sana e una ritrovata salvaguardia dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile.

Ma quali sono le nazioni più rappresentative di questo trend in crescita? Gli Stati Uniti d’America, risaltano come mercato principale del settore, con 44,7 miliardi di euro fatturati. Anche il fronte francese non scherza, distinguendosi per crescita registrata con un aumento oltre il 13%. La Danimarca e la Svizzera invece, si difendono per la realizzazione del più alto consumo commisurato a ciascun abitante nel mondo. Un abitante danese infatti, ha investito in media 344 euro in prodotti alimentari biologici nell’anno 2019. Quasi al pari dello svizzero, con 338 euro medi di consumo pro capite.

L’India si differenzia come la nazione con il maggior numero di produttori organic, circa 1.366.000 – seguita da Uganda ed Etiopia – e l’Australia come lo stato con una superficie agricola corrispondente a 35,7 milioni di ettari, la più vasta in assoluto – seguita da Argentina e Spagna con 3,7 e 2,4 milioni di ettari – .

La seconda area più grande la possiede certamente l’Europa, con 16,5 milioni di ettari seguita in successione dall’America Latina con 8,3.

Liechtenstein, Austria e São Tomè e Principe (isole africane nel Golfo di Guinea), i paesi con la maggiore quota biologica dei loro terreni agricoli totali. Per un andamento globale il cui sviluppo, forse solo il Covid-19 può mettere in discussione.

Fonti: Cambialaterra, Sinab

LAZIO E BIO-DISTRETTI: APPROVATE NUOVE NORME A DISCIPLINA DEL SETTORE

LAZIO E BIO-DISTRETTI: APPROVATE NUOVE NORME A DISCIPLINA DEL SETTORE

Una vera e propria cassetta degli attrezzi, quella stilata dalla giunta Zingaretti, della regione Lazio, che mira a fissare tutto ciò che serve per identificare con chiarezza le parti implicate a composizione di un bio-distretto. Quattordici risultano gli articoli firmati, a sostegno di un modello di sviluppo sostenibile che risulti chiaro e compatibile con le esigenze della regione.

Benessere, ecologia, equità e precauzione i quattro principi che sottendono il regolamento, gli stessi valori che per l’IFOAM (Federazione Internazionale dei Movimenti dell’Agricoltura Biologica) identificano l’agricoltura biologica.

Il testo normativo, definisce quindi le caratteristiche che deve presentare un bio-distretto, le modalità di concessione e verifica dei contributi ottenuti a sostegno di questo e la corretta elaborazione dei programmi annuali da presentare.

Il tutto a favore del funzionamento di queste realtà tanto complesse quanto intelligenti e a salvaguardia del territorio locale, dei suoi enti e di una produzione biologica di qualità.

Fonte: Greenplanet

BIOLOGICO ITALIANO, LA PANDEMIA CONFERMA L’IMPENNATA DI UNA TENDENZA GIA’ IN CRESCITA

BIOLOGICO ITALIANO, LA PANDEMIA CONFERMA L’IMPENNATA DI UNA TENDENZA GIA’ IN CRESCITA

Tra gli strascichi del Covid-19 ne esiste uno poco scontato: il miglioramento messo in atto dagli italiani delle loro abitudini di acquisto e consumo alimentare. Che l’attenzione del cittadino italiano al cibo fosse elevata è di poco dubbio, ma che l’aspetto del gusto, potesse andare di pari passo a quello della salvaguardia della salute, del rispetto ambientale e di una commisurata politica dei prezzi che ruotano intorno al settore, è tutto fuor che scontato.

La conferma a questo cambio di atteggiamento arriva grazie ai risultati elaborati da Nielsen e al contributo di AssoBio per gli altri canali. Raccontano di un 7% in più di acquisto di prodotti biologici in Italia realizzato nel 2020, rispetto ai dati del precedente 2019. Il valore complessivo degli acquisti di prodotti biologici ha avuto un riscontro superiore ai 4,3 miliardi totali.

A registrare il cambiamento e attribuirgli valore con tempestività, è stata senz’altro la Grande distribuzione organizzata (GDO), che ha aumentato numericamente la proposta dei prodotti biologici a proprio marchio, registrando un risultato del 48,7% delle vendite bio complessive. Questa è stata accompagnata dal canale dei supermercati, quello dei discount e dei negozi specializzati, che hanno realizzato il 6,5, 12,5 e 10% in più del 2019. Ma il climax delle vendite, lo ha generato l’online, in un’impennata senza precedenti del 150% rispetto all’anno precedente.

Il quadro generale desta sorpresa, facendo pensare a una più affinata sensibilità da parte dei cittadini, che a causa della pandemia sembrano ora più attenti al tema dell’alimentazione sana, e ad alcuni processi legati al rispetto dell’ambiente e delle risorse naturali, al loro riconoscimento e forse anche tutela.

Fonte: Ansa

IL BIOLOGICO ITALIANO CHE PIACE ALLA CINA

IL BIOLOGICO ITALIANO CHE PIACE ALLA CINA

Che le eccellenze italiane siano apprezzate nel mondo non è una novità. Ma nel biologico, in particolare, l’attenzione per il made in Italy non era affatto scontata. Non solo a causa delle abitudini e degli stili di consumo tipici di ciascun Paese, ma anche per gli scogli burocratici e i requisiti in vigore tra i diversi Stati che impongono controlli severi alle frontiere del pianeta, talora più stringenti di quelli europei. Ita.Bio, ha messo in luce, nel webinar dal titolo “Internazionalizzazione del bio made in Italy: focus Cina”, come le prospettive dei prodotti “organic” siano molto promettenti per i mercati internazionali, quello cinese su tutti.  Un comparto, quello del bio, che ha registrato vendite in crescita del 233% tra il 2013 e il 2018, e che nell’Impero di Mezzo si rivolge in particolare ai consumatori cosiddetti “di prima fascia”, ovvero con una elevata capacità di acquisto, abitanti nelle grandi città: Pechino, Shanghai, Canton.

 

Un Paese dal ricco potenziale, la Cina, che con un valore di 8 miliardi di euro, vanta il quarto posto del globo per consumi bio, con 3 milioni di ettari dedicati a tali coltivazioni (+188% in 8 anni). Otto prodotti biologici su 100 venduti nel mondo sono inoltre destinati allo Stato asiatico, che con una rete di 230 ispettori certificati per il controllo Cofcc (China Organic Food Certification Centre, il principale organismo ministeriale di controllo e certificazione per il bio in Cina), assegna a 4323 prodotti il marchio cinese del biologico. Oltre sette milioni le etichette bio autorizzate dallo stesso Cofcc, la metà di quelle presenti nel Paese.

 

Qualità da vendere, dunque, quella dei prodotti alimentari italiani, ritenuti al top della classifica mondiale per il consumatore cinese, sia per quanto riguarda il food & beverage in generale (il 17% indica l’Italia e il Giappone quando pensa ad un paese produttore di eccellenze del settore) che per i prodotti a marchio bio (18%). È il risultato di una cultura crescente per la buona alimentazione e per la sicurezza a tavola, che fa rima con salute, artigianalità e rispetto per l’ambiente, e che ha portato all’Italia esportazioni bio nel mondo per un valore di 2,61 miliardi di euro nel 2020, al secondo posto dopo i 2,98 miliardi degli USA (dato 2018).

 

Un ventaglio di preferenze, quelle che la Cina esprime verso il segmento “organic” made in Italy, che potrebbe affondare, almeno in parte, le proprie radici nello scandalo del latte contaminato da melamina, sostanza chimica normalmente utilizzata per produrre materie plastiche, aggiunta al latte stesso per mantenerne il contenuto proteico artificialmente alto. Lo dimostrerebbero le ricerche effettuate proprio su alimenti lattiero-caseari, compreso il latte per l’infanzia, e il baby food in generale, tra le referenze più cliccate assieme a carne e derivati, pasta e prodotti da forno.

 

Sempre maggiore, inoltre, in Cina, la sensibilità per la spesa online: gli acquisti in rete sono passati dal 3,4% del 2014 all’8,3% del 2019, con una quota del 26% che acquista agroalimentare bio made in Italy. Ma i margini di crescita, rispetto all’Occidente, sono ancora praterie. Un cinese spende infatti non più di 5,5 euro, contro i 57 euro dell’Italia, i 125 euro degli Stati Uniti e i 312 euro a testa della Danimarca, per il proprio carrello di prodotti biologici.

 

Ma quali sono i principali canali di vendita del bio in Cina? I supermercati fanno la parte del leone, con una distribuzione di oltre otto prodotti su dieci. Ciò non toglie che “in alcune grandi città – spiega Giampaolo Bruno di Ice Cina e Mongolia – i prodotti biologici siano venduti anche attraverso la vendita diretta con la consegna a domicilio e i servizi di ristorazione. È presente anche il canale dei negozi specializzati, che offrono naturalmente una gamma più ampia di prodotti rispetto ai produttori con vendita propria”.

 

Grande la propensione all’acquisto del nostro bio per chi ha assaggiato un pezzo di Stivale visitando la penisola italiana. Per loro, l’interesse ai prodotti biologici del Belpase raddoppia, come sottolinea Evita Gandini di Nomisma: “Il 19% dei consumatori cinesi dichiara di aver acquistato almeno una volta nell’ultimo anno alimentari o bevande made in Italy a marchio bio. E tra i turisti che negli ultimi anni sono stati in Italia, la quota di bio-users raggiunge il 28%”.

 

Fonte: Agronotizie

BIO-DISTRETTI, UNA LEVA PER LO SVILUPPO (ANCHE OLTRECONFINE)

BIO-DISTRETTI, UNA LEVA PER LO SVILUPPO (ANCHE OLTRECONFINE)

Sostenibilità come obiettivo e come impegno comune tra produttori, cittadini, operatori turistici e pubbliche amministrazioni: nasce da qui il concetto di bio-distretto, area dedicata al biologico e finalizzata alla gestione congiunta delle risorse a tutela dell’ambiente e dei territori: un’oasi di efficienza ed ecocompatibilità, in un equilibrio di rispetto per il pianeta ed efficacia socio-economica, che traina oggi lo sviluppo del comparto bio.

In Italia, esistono 40 bio-distretti, di cui 32 già operativi e 8 in fase di costituzione (fonte di IN.N.E.R), come emerge dalla pubblicazione “Distretti biologici e sviluppo locale. Linee guida per la programmazione 2021-2027” a cura della Rete Rurale Nazionale. Ma il loro numero è in continuo aumento, sull’onda delle attese per la programmazione 2021-2027 e dei progetti di legge in via di definizione.

Ma qual è l’identikit del bio-distretto? Si tratta di un modello agricolo e produttivo biologico, impiegato come strumento per valorizzare il territorio e dare impulso all’economia locale all’insegna di obiettivi ambientali e climatici. Tra questi, spicca la tutela della qualità del suolo, che subisce la minaccia dell’agricoltura intensiva e dell’uso massivo di fitofarmaci e fertilizzanti, responsabili del suo impoverimento. Un tema, la difesa del terroir, che è profondamente connesso alla salvaguardia delle specificità di ciascun territorio, e sta alla base dell’agricoltura biologica.

I bio-distretti sono dunque realtà nate dal basso, che vedono i produttori biologici protagonisti di una progettualità territoriale basata sulla creazione di reti di aziende biologiche. E nell’epoca del marketing territoriale e della valorizzazione delle aziende locali, rappresentano una concreta opportunità di sviluppo socio-economico, a tutto vantaggio della redditività su base – appunto – “distrettuale”.

Ma se i bio-distretti sono una realtà già consolidata e foriera di benefici per le aree in cui sono presenti, il loro quadro giuridico è ancora in fase di regolamentazione nel nostro Paese. È di alcune settimane fa infatti, l’avanzamento dell’iter della legge sul bio, quando il DdL 988 “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico” è stato sbloccato in Commissione Agricoltura, al Senato, dopo uno stallo di oltre due anni. Dopo l’approvazione all’unanimità, il testo dovrà ora passare attraverso il voto in Aula, sempre a Palazzo Madama, e poi alla Camera per il vaglio definitivo. Tra le novità che saranno introdotte, quella sui bio-distretti (articolo 13) conferirà a tali realtà un riconoscimento formale importante all’attività di operatori, amministratori locali e cittadini coinvolti nei distretti biologici italiani. Si tratta di un contributo fondamentale per i territori locali, da arricchire con nuove filiere e prodotti di qualità che spingano verso la creazione di nuova occupazione. E il disegno di legge sul biologico va proprio in questa direzione, completo come è di misure essenziali volte a favorire lo sviluppo del settore, quella che riguarda l’introduzione di un marchio per il biologico italiano su tutte.

Occorre un incoraggiamento da parte del Governo e delle autorità regionali per l’istituzione dei distretti biologici in quanto rappresentano un valido strumento di governance territoriale e producono un impatto positivo in termini di sostenibilità ambientale, economica e sociale, anche nelle aree rivelatesi “insostenibili” con gli strumenti dell’economia convenzionale. In un’ottica di approccio condiviso alle produzioni e alle risorse agricole e artigianali, oltre che naturali e culturali, i bio-distretti permettono infine di ricomporre un tessuto sociale troppo spesso disgregato e di ridestare un rapporto di fiducia col cittadino, anche tramite la creazione di mercati di vicinato. Il loro è anche un ruolo educativo e didattico, che introduce, grazie alle mense pubbliche, ad esempio, un valido spunto di riflessione su abitudini alimentari sane. Ecco perché è importante, per il nostro Paese, sostenere lo sviluppo di queste realtà nate dall’aggregazione locale di soggetti della filiera, che offrono un elevato potenziale di competitività, anche nel rapporto con il mercato globale.

Fonte: Greenplanet