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BIO E GDO, UN ABBRACCIO CHE PUÒ ESSERE SOFFOCANTE

BIO E GDO, UN ABBRACCIO CHE PUÒ ESSERE SOFFOCANTE

Cresce la presenza di aziende bio a Marca, la fiera dei prodotti a marchio del distributore. Quasi il 60% del fatturato di settore viene realizzato sugli scaffali di iper, supermercati e hard discount, ma la quota di consumo relativa non cresce e il rischio omologazione è dietro l’angolo

Sostenibilità ambientale, neutralità climatica, benessere sociale, economia circolare a fianco dei claim, quasi scontati, sulla qualità nutrizionale ed organolettica. Temi sparati sulle etichette delle anteprime dei nuovi prodotti alimentari, confezionati e freschi, e sulle pareti degli stand. Promesse virtuose di un mondo – food e non food-  migliore che hanno portato l’edizione 2024 della Fiera Marca, a Bologna il 16 e 17 gennaio, a superare il record sia dei visitatori che degli espositori. Attirando per la prima volta l’attenzione delle massime istituzioni italiane.

L’evasione della Meloni

La premier Giorgia Meloni si è infatti concessa un fuori programma con la sua visita nel corso della seconda giornata della manifestazione, una piccola evasione nel bel mezzo del vertice sul post alluvione dell’Emilia-Romagna con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il governatore Stefano Bonaccini. Assicurandosi un caloroso bagno di folla tra i variopinti stand dei 1.100 espositori che hanno portato la superficie espositiva dedicata da BolognaFiere a 26mila metri quadrati (+26% rispetto al 2023).

Se c’è più bio a Marca che a Sana…

Molti di questi occupati da produttori bio che ormai, ed è un vero paradosso, sono più presenti a Marca che al Sana (tanto che si moltiplicano le voci di un prossimo abbinamento delle due manifestazioni fieristiche felsinee, con la prima a cercare di fare da traino alla seconda).

Il paradosso più vistoso è però quello relativo al fatto che Marca è il salone dedicato ai prodotti a marchio del distributore, organizzato da BolognaFiere in collaborazione con Adm – Associazione Distribuzione Moderna, ma la maggior parte delle aziende presenti in fiera non sono fornitrici delle private label (anche se a quasi tutte piacerebbe esserlo).

Alla ricerca di sicurezza

Perché in un’epoca di forte crisi inflattiva e di strenua difesa da parte dei consumatori della propria capacità di spesa, essere rappresentati dalla voce e dal brand del più forte diventa un fattore di sicurezza. O almeno così può sembrare.

Perché l’abbraccio della grande distribuzione organizzata può rincuorare, ma anche strangolare.

Ne sa qualcosa il biologico, le cui vendite, con la flessione del canale specializzato, sono ormai concentrate soprattutto negli scaffali di iper e supermercati (ma anche hard discount). Secondo i dati presentati da Nomisma nel convegno “L’Italia di oggi e di domani: il ruolo sociale ed economico del biologico nella Distribuzione Moderna”, che si è tenuto il 17 gennaio nella galleria sospesa sopra i padiglioni 21 e 22 (leggi il resoconto nel prossimo articolo) è infatti nella gdo che viene realizzato quasi il 60% del fatturato del bio in Italia, con una crescita in valore del 4,7% rispetto al 2023 (effetto inflazione) e una leggera flessione in volume (-0,3%).

Isole inaridite

Per i consumatori più attenti e motivati è però evidente che le isole di vendita del bio stanno diventando sempre più omologate, spesso con prodotti di un solo fornitore (soprattutto nel fresco) e scarsa differenziazione nel packaging e nell’offerta rispetto alle referenze convenzionali che le circondano.

Tanto che la quota del bio sull’agroalimentare totale continua a mantenersi ad un livello non superiore al 3%. Senza dubbio insufficiente a sostenere l’obiettivo Green deal di una produzione che deve rappresentare il 25% delle terre agricole europee entro il 2030.

COSÌ IL BIOLOGICO CERCA DI DRIBBLARE L’EFFETTO INFLAZIONE

COSÌ IL BIOLOGICO CERCA DI DRIBBLARE L’EFFETTO INFLAZIONE

La ricerca di sostenibilità alimenta un nuovo rapporto tra consumatore e distribuzione moderna. Le performance 2023 del mercato del bio e le prospettive per il 2024 nell’analisi di Nomisma

«La gdo (grande distribuzione organizzata) ha un ruolo determinante per lo sviluppo del biologico, dal momento che veicola quasi il 60% della spesa domestica degli italiani e sviluppa assortimenti a marchio proprio in grado di conquistare una quota di mercato significativa, oltre alla fiducia del consumatore».

È quanto sostiene Silvia Zucconi, Chief Operating Officer Nomisma, commentando l’analisi sul mercato del bio in Italia presentata alla fiera Marca nel corso del workshop “L’Italia di oggi e di domani: il ruolo sociale ed economico del biologico nella Distribuzione Moderna”, organizzato nell’ambito del progetto Being Organic in Eu promossa da FederBio in collaborazione con Naturland.

«Ma il supporto allo sviluppo – continua – non si ferma ai numeri di vendite e assortimenti: la distribuzione moderna rappresenta, infatti, un veicolo formidabile per garantire al consumatore un flusso informativo che consenta di costruire una completa mappa valoriale del biologico declinata sia sul prodotto che sul metodo produttivo nonché le relative implicazioni ambientali e sociali». «E le attività sul punto vendita rappresentano certamente un vettore determinante in tal senso».

2,4 miliardi di vendite a scaffale (su 4,2 totali)

Secondo lo studio realizzato da Nomisma, il biologico si conferma infatti come categoria d’interesse per il consumatore italiano. Nel 2023 gli acquisti bio nella distribuzione moderna si sono infatti attestati a 2,4 miliardi di euro ( +4,7% a valore rispetto al 2022). Paragonata al totale del paniere agroalimentare (+8,7%) la crescita del bio a valore è più contenuta, ma la dinamica a volume del bio segnala una sostanziale tenuta della categoria (-0,3%), viceversa nell’agroalimentare nel complesso si registra una frenata più marcata del carrello (-1,2%).

La distribuzione moderna si conferma quindi il canale di acquisto di riferimento per il biologico in Italia, con un peso pari al 58% del totale delle vendite (mentre i negozi specializzati scendono al 23% e il commercio di vicinato al 19%). La private label (marca del distributore) oggi rappresenta il 47,5% delle vendite a valore veicolate della distribuzione moderna, con un numero medio di referenze vendute pari a 130 unità in iper e super e 70 nei discount.

Nuovi stili alimentari

Nel 2023 la consumer base di prodotti bio è risultato l’indicatore di maggior interesse per il bio: il 90% della popolazione di età compresa tra 18 e 65 anni ha acquistato consapevolmente almeno un prodotto alimentare bio nell’ultimo anno. La composizione dei carrelli alimentari è però sempre più complessa, riflettendo l’affermazione di differenti stili alimentari, con:

  • 86% di user di prodotti 100% vegetali,
  • 55% di prodotti “free from” (64% senza lattosio, 45% senza glutine);
  • 33% di prodotti ricchi di proteine.

L’interesse per altre caratteristiche di prodotto ha così determinato l’orientamento degli assortimenti del bio, che ad oggi concentrano gran parte della proposta presente nella gdo verso prodotti espressioni dell’italianità (34,5% delle referenze della categoria bio) e “rich in” (23,5%) con maggior offerta relative a referenze ricche di fibra (14,2%) o integrali (7,8%) piuttosto che di proteine ( 5,3%) che rimane l’area di maggiore sviluppo dei prodotti convenzionali.

Inoltre, il bio rappresenta ancora per la maggior parte degli acquirenti (58%) la prima scelta, soprattutto per alcune categorie come frutta e verdura fresca, uova (12%) e olio extra vergine di oliva.

Consumatori motivati

Tra le principali motivazioni che spingono i consumatori italiani ad acquistare prodotti bio rimane il benessere personale. Il 27% ritiene infatti prodotti bio più sicuri per la salute rispetto all’opzione convenzionale, il 23% li ritiene invece più rispettosi dell’ambiente, il 10% del benessere animale e un ulteriore 10% fa riferimento alla sostenibilità sociale e intende sostenere i piccoli produttori.

Il monitoraggio di Nomisma evidenzia alcune aree di lavoro fondamentali per la categoria, coerentemente con gli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 – con particolare riferimento al Goal 12.8 che ambisce entro il 2030, ad abilitare tutte le persone, in ogni parte del mondo, ad accedere ad informazioni rilevanti e ad acquisire giusta consapevolezza dello sviluppo sostenibile e di uno stile di vita in armonia con la natura.

Richiesta di maggiore informazione

In questa logica la richiesta di conoscenza del consumatore arriva direttamente dal consumatore: il 28% ritiene di non avere informazioni sufficienti per valutare le caratteristiche del prodotto bio e un ulteriore 57%, nonostante abbia una buona consapevolezza di prodotto, vorrebbe comunque avere maggiori informazioni.

In particolare il consumatore richiede di entrare nel merito della comprensione delle differenze esistenti tra il prodotto bio e quello convenzionale (per l’85% degli intervistati), del profilo di sostenibilità collegato al metodo di produzione biologica (72%), dei vantaggi concreti del metodo bio per l’ambiente (75%).

Impatto del caro-vita

A condizionare i risultati del 2023 è stato ancora lo scenario inflattivo, nonostante il suo progressivo rallentamento. L’anno scorso la crescita dei prezzi è stata infatti pari al 5,7%, (il 2022 aveva registrato un +8,1%), ma l’impatto è ancora rilevante per le famiglie italiane.

Situazione che, nonostante il rallentamento nella crescita dei prezzi, ha spinto gli italiani ad adottare strategie di salvaguardia del potere di acquisto. In questo contesto, circa 9 italiani su 10 hanno messo in atto strategie per gestire la spesa alimentare: nello specifico, il 71% ha rinunciato all’acquisto di prodotti superflui, il 64% ha effettuato la spesa guardando in primis alle promozioni mentre più di 6 italiani su 10 hanno acquistato prodotti a marchio del distributore. Per il 2024 sembrano migliorare le intenzioni di spesa degli italiani.  Un segnale di ottimismo arriva infatti dall’ inversione di tendenza dell’ortofrutta che, dopo le rinunce registrate nel periodo estivo, è ora tra i prodotti con maggiore incremento nelle vendite.

I commenti della filiera

«In questo scenario critico – commenta Maria Grazia Mammuccini, Presidente FederBio – è confortante l’incremento del 4,7% a valore registrato dalle vendite di prodotti bio nella Distribuzione Moderna e soprattutto che 24 milioni di famiglie, il 93% del totale, abbiano acquistato biologico». «Si tratta di un’ulteriore conferma di come i consumatori si stiano sempre più orientando verso scelte alimentari sostenibili che contribuiscono a preservare la biodiversità e a contrastare i cambiamenti climatici».

«Il fatto che nella gdo – evidenzia invece Nicoletta Maffini, presidente di Assobio-  la vendita del prodotto biologico sia ferma al 3% è un dato che non ci soddisfa e ci auguriamo di poter raggiungere quanto prima almeno il 10%. Per far questo è necessario che le associazioni di categoria facciano sinergia tra di loro ma anche con la politica e con la gdo stessa per supportare i progetti di filiera e il giusto prezzo».

BIOLOGICO, STRATEGIE OPERATIVE PER UN RILANCIO VINCENTE

BIOLOGICO, STRATEGIE OPERATIVE PER UN RILANCIO VINCENTE

Suolo e Salute porterà il suo contributo al convegno organizzato da Edagricole alla prossima Fieragricola di Verona mercoledì 31 gennaio

Alla prossima Fieragricola di Verona, il 31 gennaio, Suolo e Salute parteciperà al convegno “Biologico, strategie operative per un rilancio vincente” organizzato da Edagricole. L’appuntamento è alle ore 15:30 nell’Area Forum del Padiglione 5.
L’evento affronterà le problematiche di un mercato che attraversa le turbolenze innescate dalle crisi geopolitiche e inflattive. I numeri del comparto dell’agricoltura biologica parlano infatti chiaro: crescono superfici e operatori ma in Italia calano le vendite. Il convegno affronterà la questione con gli interventi di alcuni dei maggiori protagonisti di questo tipo di produzione.

 

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STANDARD DI SOSTENIBILITÀ IN CRESCITA IN TUTTO IL MONDO

STANDARD DI SOSTENIBILITÀ IN CRESCITA IN TUTTO IL MONDO

La settima edizione del rapporto sullo stato dei mercati sostenibili a cura di Fibl testimonia la dinamicità degli standard di sostenibilità e il loro decisivo impatto sul commercio globale

Esce la settima edizione sullo stato dei mercati sostenibili relativa al 2023 (clicca per scaricare il rapporto). Un studio realizzato dal Fibl(l’istituto di ricerca svizzero sul bio) in collaborazione con l’International Trade Center (ITC) l’Istituto internazionale per lo sviluppo sostenibile (IISD). Il rapporto si concentra su otto prodotti: banane, cacao, caffè, cotone, palma da olio, soia, canna da zucchero, tè e silvicoltura.

La sfida di una produzione certificata

Il rapporto fa luce sui progressi e sulle sfide affrontate dalle principali organizzazioni di definizione degli standard nella promozione della sostenibilità e aiuta a modellare le decisioni dei politici, dei produttori e delle imprese che lavorano per affrontare le sfide sistemiche del lavoro e dell’ambiente attraverso una produzione sostenibile certificata.

L’impegno delle aziende

«Mentre i Governi e gli Organismi internazionali – afferma Pamela Coke-Hamilton, direttore esecutivo di ITC – intensificano gli sforzi per affrontare il cambiamento climatico, le aziende che abbracciano gli standard di sostenibilità possono dimostrare un impegno aziendale responsabile per posizionarsi come pionieri nell’affrontare tematiche in forte evoluzione».

Gli standard che mirano direttamente all’adozione generale all’interno di un settore specifico guidano in gran parte la crescita e l’adozione da parte del mercato. Laddove sono stati sviluppati standard per un singolo prodotto, di solito questi hanno infatti un’applicazione più ampia. Questo è stato il caso del cotone (Better Cotton e Cotton made in Africa), della palma da olio (Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile) e della soia (Tavola rotonda sulla soia e zucchero di canna responsabili).

 

Nel complesso, la maggior parte delle materie prime ha registrato una crescita nel periodo 2020-2021, mentre banane, cacao e caffè certificati hanno perso terreno. Tuttavia, il caffè e il cacao certificati rappresentano la quota maggiore del terreno agricolo totale, con oltre il 20% della superficie certificata per caffè e cacao.

Il primato del biologico

Il biologico è stato di gran lunga lo standard di sostenibilità più dominante in termini di superficie e varietà di prodotto, coprendo oltre 76 milioni di ettari o l’1,6% dei terreni agricoli in tutto il mondo. La Rainforest Alliance ha certificato più di 5 milioni di ettari nel 2021 dopo una crescita di quasi il 26% nel periodo 2020-2021, mentre Better Cotton, Round Table on Sustainable Palm Oil e GlobalG.AP hanno certificato più di 4 milioni di ettari. La maggior parte degli standard coperti dal rapporto continuano a mostrare una crescita dell’area totale certificata.

L’ ITALIA È LEADER NEL BIOLOGICO E NELL’OGM FREE

L’ ITALIA È LEADER NEL BIOLOGICO E NELL’OGM FREE

Coldiretti contesta la visione pessimista di Legambiente e dopo il rapporto sui pesticidi nel piatto mette in evidenza: «Nei cibi stranieri i residui chimici irregolari sono 10 volte superiori»

«L’Italia può contare sull’agricoltura più green d’Europa». È quanto afferma la Coldiretti nel commentare il report di Legambiente “Stop pesticidi nel piatto 2023” (vedi notizia precente) dalla quale emerge il primato dell’agricoltura nazionale nella sicurezza con il numero di campioni irregolari che scende all’1,62%.

I record del Belpaese

Sono infatti 5.547 le specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni censite dalle Regioni, 325 specialità Dop/Igp/Stg riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg. Coldiretti mette anche in evidenza la decisione di non coltivare Ogm e la leadership nel biologico con circa 86mila aziende agricole.

Gli allarmi vengono da altrove

«Risultati che – sottolinea la Coldiretti in una nota stampa- confermano i dati dell’ultimo Rapporto pubblicato da Efsa secondo il quale i cibi e le bevande stranieri sono oltre dieci volte più pericolosi di quelli Made in Italy per quanto riguarda il numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari oltre i limiti di legge». Non a caso in Italia, continua la Coldiretti, oltre otto prodotti su dieci pericolosi per la sicurezza alimentare provengono dall’estero (86%) sulla base delle elaborazioni del sistema di allerta Rapido europeo (Rassf). Sul totale dei 317 allarmi rilevati nel 2022 – evidenzia Coldiretti – 106 scaturivano infatti da importazioni da altri Stati dell’Unione Europea (33%) e 167 da Paesi extracomunitari (53%) e solo 44 (14%) hanno riguardato prodotti con origine nazionale.

NUOVI OGM- BIO, SERVONO CHIARE REGOLE DI CONVIVENZA

NUOVI OGM- BIO, SERVONO CHIARE REGOLE DI CONVIVENZA

Il via libera alle Ngt, new genomic techique, ovvero agli ogm di ultima generazione, non può essere forzato. Il percorso della nuova normativa europea si arena in Consiglio per la mancanza di previsioni sull’impatto sull’agricoltura biologica e sulla brevettabilità di queste nuove biotecnologie

Si arena a Strasburgo la discussione sulle New genomic technique (Ngt, ovvero i nuovi ogm). Il Consiglio dell’Ue, sotto la presidenza spagnola, ha infatti promosso numerosi confronti su questo tema ma non è riuscita a trovare il compromesso tra le posizioni espresse dai Paesi Membri.

Compromesso impossibile

Uno stop che condiziona anche l’EuroParlamento dove sono in corso i dibattiti presso la Commissione Agricoltura e la Commissione Ambiente. Il voto in assemblea plenaria era previsto il 24 gennaio e da lì dovevano partire i triloghi tra Commissione, Consiglio e Parlamento Ue per arrivare alla pubblicazione nella prossima primavera, prima delle elezioni per il rinnovo della legislatura. L’attuazione non sarà comunque immediata, essendo programmata a due anni di distanza, per dare modo alle autorità comunitarie e agli Stati Membri di stabilire le norme applicative.

«Siamo molto vicini a un accordo, ma ancora non c’è la maggioranza», ha detto il presidente di turno del Consiglio dei ministri dell’Agricoltura Luis Planas, invitando le delegazioni e la Commissione europea a «fare uno sforzo» per chiudere quanto prima il dossier superando le divisioni sui punti controversi.

«Noi – ha dichiarato Planas – continueremo a lavorare affinché la presidenza belga, che comincia il suo lavoro a gennaio possa adottare delle conclusioni». In caso contrario la normativa rimarrebbe in stand by fino al 2025, viste la pausa legislativa legata al rinnovo di Parlamento e Commissione europea con le elezioni del prossimo giugno.

Due categorie diverse

In un recente incontro organizzato dalla Regione Emilia-Romagna, Ilaria Ciabatti della Dg Salute e Sicurezza alimentare, Unità Biotecnologie della Commissione Europea ha ricordato che la normativa riguarda piante, alimenti e mangimi ottenuti attraverso mutagenesi mirata (genome editing) e cisgenesi, compresa l’intragenesi (ma non la transgenesi, ovvero l’inserimento di pool di geni provenienti da specie non affini, per cui varranno le vecchie regole).

La proposta di regolamento presentato lo scorso luglio dalla Commissione distingue i nuovi Ogm in due categorie in base all’entità delle modifiche genetiche indotte. Entrambe continuano ad essere definite Ogm dal punto di vista legislativo (la proposta della Commissione non può superare quanto sancito da una sentenza della Corte di Giustizia Ue) ma le Tea di cat. 1 saranno considerate, per quanto riguarda il percorso di registrazione, equivalenti alle piante convenzionali.

Coesistenza e tracciabilità

Dovranno però essere etichettate come Ngt e le informazioni al loro riguardo dovranno essere accessibili attraverso una banca dati pubblica e nei registri delle varietà. Le Tea di cat. 2 sono invece considerate non equivalenti alle convenzionali, dovranno essere tracciate ed etichettate come ogm ma per la loro autorizzazione è stata comunque prevista una valutazione del rischio meno onerosa rispetto all’attuale, con ulteriori incentivi e facilitazioni per Tea che presentino tratti e caratteristiche considerati desiderabili.

Gli Stati membri dovranno allestire misure di coesistenza per evitare il rischio di contaminazioni, ma non avranno la possibilità di esercitare il diritto di escluderne la coltivazione (come invece accade oggi).

Le garanzie per il biologico

Su questi punti è intervenuto anche il ministro Francesco Lollobrigida che, in una recente riunione del Consiglio Agrifish, ha dichiarato il parere favorevole italiano sulla proposta di regolamento, chiedendo però di chiarire come garantire in maniera oggettiva la prevista coesistenza con le Tea di categoria 2 e di assicurare lo stesso livello di sicurezza anche per le piante e i prodotti importati da Paesi terzi.

La proposta della Commissione prevede l’esplicita esclusione sia delle Tea di categoria 1 che 2 per il biologico (su forte pressione delle associazioni del settore), un’esclusione che apre le porte alla possibilità di dover garantire la tracciabilità e la coesistenza anche con le Tea della prima categoria. Del resto la proposta della Commissione, se non verrà modificata durante il trilogo, prevede un’intensa attività di monitoraggio sull’impatto della normativa nei suoi primi cinque anni di applicazione, sia riguardo a potenziali rischi per la salute o l’ambiente, sia per la verifica degli obiettivi di sostenibilità, compresi eventuali limiti allo sviluppo della produzione biologica auspicato dal Green deal che riguardo all’accettazione delle Tea da parte dei consumatori.

Da un recente articolo pubblicato sul sito www.politico.eu emerge che il tentativo di Bruxelles di accelerare l’adozione di regole più flessibili per le nuove piante geneticamente modificate sta mostrando delle fratture, poiché sorgono più domande che risposte. E i problemi sottovalutati riguardano proprio la convivenza con il bio e la poca chiarezza riguardo alle possibilità di brevettare queste nuove biotecnologie.