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IN AUSTRIA I PIONIERI DEL BIO INVESTONO IN ARACHIDI

IN AUSTRIA I PIONIERI DEL BIO INVESTONO IN ARACHIDI

Una scommessa quella dei fratelli Stefan e Roman Romstorfer, titolari di una storica azienda bio a Nord-est di Vienna, vinta anche a causa degli effetti del climate change

I cambiamenti climatici fanno migrare verso Nord le colture macroterme. Così dalla vite si producono ormai ottimi vini anche in Inghilterra e Scandinavia, mango e papaya attecchiscono in Sicilia e specie tipiche del Sud America o Nord Africa come l’arachide vengono coltivate con successo anche in Austria.

Il coraggio dei pionieri

Anche se la coltivazione di questa specie leguminosa con un elevato fabbisogno di alte temperature e irraggiamento è stata per molto tempo considerata impossibile in questo Paese, ci hanno pensato infatti i fratelli Stefan e Roman Romstorfer a dimostrare il contrario nella propria azienda agricola biologica di Raggendorf, a nord-est di Vienna. Quello di quest’anno è stato il settimo raccolto consecutivo. Uno spirito pionieristico che i due fratelli hanno ereditato dal padre Franz, che a metà degli anni ’90 è stato uno dei primi agricoltori biologici della Bassa Austria.

Un vantaggio per le rotazioni

Nel tempo i fratelli Romstorfer hanno messo a punto la migliore tecnica agronomica fino a raccogliere circa 20-30 quintali ad ettaro di “noccioline”, ma l’inizio non è stato facile. «Ci è voluta un po’ di follia – ammettono – perché essendo i primi coltivatori di arachidi in Austria, non c’era alcun riferimento tecnico a cui eventualmente appellarsi».

La sostenibilità del km zero

Oggi la produzione di arachide è entrata nelle rotazioni aziendali investendo circa 20 ettari all’anno e assicurando un prezioso contributo in termini di aumento della fertilità dei suoli grazie alle proprietà azotofissatrici di questa leguminosa. La produzione viene tostata e imbustata direttamente in azienda e venduta nel circuito locale, abbassando la carbon footprint e dando un prezioso contributo in termini di sostenibilità.

IL PAESAGGIO DI BALI RINASCE GRAZIE ALL’AGRICOLTURA BIOLOGICA

IL PAESAGGIO DI BALI RINASCE GRAZIE ALL’AGRICOLTURA BIOLOGICA

In trent’anni il Progetto di piccoli prestiti e sovvenzioni delle Nazioni Unite in favore dei piccoli agricoltori ha portato allo sviluppo di un’economia resiliente, in grado mitigare l’effetto del climate change, con un forte radicamento nelle comunità locali. L’esempio dei centri di istruzione agraria e delle reti di piccolo agricoltori biologici sviluppata a Bali e a Nusa Penida in Indonesia

L’isola di Bali è una delle mete più ambite dal turismo internazionale. Anzi è proprio in questa piccolo isola indonesiana che è nato a fine ‘800 il primo esempio di turismo di massa.

Un fenomeno che ha portato benessere ad una fascia ristretta della popolazione ma che ha alterato profondamente la sua economia basata sull’agricoltura e sulla pesca e su un equilibrio millenario tra uomo e ambiente ora decisamente spezzato. L’isola presenta infatti molte zone in cui le barriere coralline sono state distrutte e I terrazzamenti a risaie abbandonati, lasciando spazio al rischio di erosione e spopolamento delle aree interne. Un fenomeno che si sta ripetendo nelle isole vicine come Lombok, nuove mete del turismo.

Stop al degrade ambientale

Un degrado a cui si vuole mettere la parola fine attraverso progetti come quello di piccoli prestiti e sovvenzioni agli agricoltori (Sgp) attuato da Gef (Global Environment Facility) e sostenuto dalle Nazioni Unite.

Carlos Manuel Rodriguez, amministratore delegato e presidente del Gef, ha verificato personalmente in una recente visita lo stato di avanzamento di questi progetti. Nell’isola di Nusa Penida, a metà strada tra Bali e Lombok, Rodriguez ha potuto apprezzare come le iniziative di cooperazione abbiano potuto dare vita a iniziative come quelle del Centro di istruzione di Rumah Belajar Batu Keker e la fattoria biologica SukaDanta Organic Farm.

Qui le comunità locali stanno lavorando con Gef per ripristinare i paesaggi, creare orti biologici e promuovere il compostaggio e la gestione dei rifiuti attraverso il riciclaggio e lo sviluppo di impianti di biogas. Il Centro d’istruzione è alimentato dall’energia solare ed è uno spazio per aumentare la consapevolezza sulle questioni ambientali, sviluppare capacità locali nelle pratiche agro-ecologiche e sostenere la conoscenza e la cultura tradizionali.

L’esempio della SukaDanta Organic Farm

SukaDanta Organic Farm è una piccola azienda con una superficie di poco inferiore a un ettaro ed è un esempio delle piccole realtà rurali interamente biologiche sostenute dal fondo multilaterale gestito da Gef.

«Un esempio – ha commentato Rodriguez – di un cambio radicale nella geastione delle risorse in chiave anti climate change che può essere replicato in tutte le isole dell’arcipelago indonesiano e oltre rafforzando il radicamento delle comunità rurali locali».

Catharina Dwihastarini, coordinatrice nazionale del fondo per le piccolo realtà in Indonesia, ha aggiunto che queste attività a sostegno della produzione sostenibile e del miglioramento dei mezzi di sussistenza non potrebbero essere raggiunte senza la collaborazione delle autorità e dei partner a livello locale.

502 progetti attivati in Indonesia

Il fondo per le piccole realtà aziendali Sgp è atttivo in Indonesia dal 1992, fornendo supporto finanziario e tecnico alla società civile e alle iniziative guidate dalla comunità che affrontano le questioni ambientali globali migliorando al contempo i mezzi di sussistenza locali in Indonesia. Negli ultimi tre decenni, SGP Indonesia ha sostenuto 502 progetti e ha collaborato con 200 organizzazioni della società civile e gruppi di comunità locali. La sesta fase operativa del PSC in Indonesia (2017-2022) ha applicato l’approccio paesaggistico basato sulla comunità per migliorare e mantenere la resilienza socio-ecologica dei paesaggi e dei paesaggi marini prioritari in Indonesia.

Azione locale = impatto globale

Questo lavoro si basa sulle strategie approntate da GEF e sull’offerta di servizi di azione locale delle Nazioni Unite che supportano gli attori locali su tre percorsi basati su: responsabilizzazione, resilienza e investimento. Ad oggi, in questa fase sono stati completati 95 progetti pari a 130.698 ettari in produzione sostenibile e 71.827 ettari di paesaggi marini costieri gestiti come aree di conservazione secondo la logica azione locale = impatto globale.

Quest’anno ricorre il 30° anniversario di SGP, un programma aziendale del Global Environment Facility, implementato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo dal 1992, alla vigilia del vertice per la Terra di Rio de Janeiro. Attualmente attivo in 128 paesi, SGP ha sostenuto oltre 26.000 progetti guidati dalla società civile locale e da organizzazioni comunitarie , comprese le donne, i popoli indigeni, i giovani e le persone con disabilità, per progettare e condurre azioni che affrontino le questioni ambientali globali.

NEUTRALITÀ CLIMATICA, CREDITI DI CARBONIO PER I PRODUTTORI VIRTUOSI?

NEUTRALITÀ CLIMATICA, CREDITI DI CARBONIO PER I PRODUTTORI VIRTUOSI?

La Commissione Ue pubblica la Comunicazione sui cicli del carbonio sostenibili, primo step per l’attivazione di un sistema di scambi di crediti e di impegni certificati che possa remunerare gli sforzi degli agricoltori che si impegnano in pratiche sostenibili di carbon farming

L’agricoltura può giocare un ruolo decisivo nella sfida contro i cambiamenti climatici. Il green deal ha fissato l’obiettivo della neutralità climatica (equilibrio tra emissioni e assorbimenti di gas serra) entro il 2050. Una grossa incognita era finora rappresentata dall’effettiva disponibilità di strumenti per remunerare lo sforzo degli agricoltori nell’adottare pratiche di carbon farming. Aumentare la sostanza organica dei suoli è da sempre la missione dell’agricoltura biologica. Un impegno che ora finalmente riconosce anche Bruxelles perché consente parallelamente di ridurre l’emissione di CO2 in atmosfera.

Verso una disciplina europea nel 2022

Il 15 dicembre la Commissione Ue, dopo alcuni mesi dedicati alle consultazioni con gli stakeholder, ha pubblicato la Comunicazione sui cicli del carbonio sostenibili. (clicca qui per accedere al documento). Si tratta del primo passo propedeutico per arrivare ad una proposta legislativa entro il 2022. Grazie a questo documento il tema dei crediti di carbonio entra così nell’agenda politica europea.

Mitigazione del climate change

Nel documento si prospettano le opportunità di un nuovo modello di business green che premia le best practice di agricoltori e silvicoltori che si impegnano nell’immobilizzazione della CO2 nei carbon sink del suolo e delle biomasse vegetali. Ogni pianta arborea può, attraverso il processo di fotosintesi, sottrarre circa 30kg di CO2 all’anno dalla atmosfera rilasciando al contempo circa 25 kg di ossigeno. Ciò rappresenta un vantaggio per la fertilità dei terreni e la resistenza delle colture. E grazie al meccanismo dei crediti di carbonio questo impegno può tradursi anche in fonte di reddito aggiuntivo per gli agricoltori.

Le proposte per un mercato nazionale dei crediti di carbonio

La rete rurale nazionale ha già formulato alcune proposte per stimolare lo sviluppo di mercati volontari dei crediti agricoli e forestali nel quadro dello sviluppo rurale (leggi qui per approfondire). La decisione della Commissione può consentire di mettere a fuoco le azioni chiave da compiere, a partire dalla definizione di standard di certificazione che porteranno a riconoscere il valore del mercato dei crediti di carbonio generato da queste pratiche virtuose.

SI CHIUDE LA COP26 CON ACCORDI AL RIBASSO SULLE AZIONI DI CONTRASTO AL CLIMATE CHANGE

SI CHIUDE LA COP26 CON ACCORDI AL RIBASSO SULLE AZIONI DI CONTRASTO AL CLIMATE CHANGE

Nella conferenza di Glasgow il ruolo dell’agricoltura rimane in secondo piano. «Ci auguriamo – commenta Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute – che le preoccupazioni unanimi sui cambiamenti climatici spingano ad azioni concrete almeno nell’attuazione della Pac, favorendo modelli produttivi resilienti come quelli biologici»

Va in archivio anche la 26a edizione della Conferenza globale sul clima delle Nazioni Unite. Mentre per le strade di Glasgow il movimento di Greta Thunberg e dei Friday4Climate gridava la sua sfiducia per la cattiva gestione della crisi climatica, dentro lo Scottish Event Center, dove si è tenuta la Cop26, i leader del mondo hanno chiuso un accordo decisamente al ribasso sulla limitazione del ricorso ai combustibili fossili.

Agricoltura comprimaria

Timide anche le decisioni che riguardano l’agricoltura, alla quale la Cop26 non ha nemmeno riservato una giornata dedicata (come è successo per le foreste, le finanze e i trasporti), relegandola a comprimaria della “Giornata della natura e del suolo” di sabato 6 novembre.

In questa occasione i 45 governi rappresentati a Glasgow, guidati dal Regno Unito, si sono impegnati ad investire complessivamente 4 miliardi di dollari in azioni per proteggere la natura e passare a sistemi agricoli più sostenibili. «Circa il 25% delle emissioni mondiali di gas serra – si legge nel comunicato finale della giornata – viene dall’agricoltura e dall’allevamento e questo comporta la necessità di un cambiamento nel modo in cui si coltiva e si consuma il cibo, per fronteggiare il cambiamento climatico».

Deforestazione ed emissione di gas serra

Le questioni più impattanti riguardo alla deforestazione e all’emissione dei gas serra come il metano sono state quindi affrontate nei giorni precedenti (anche qui con impegni molto labili) mentre nella giornata della natura e del suolo è stato in parte rivisto l’accordo KJWA. A partire dal 2017 (Cop23), le questioni relative all’agricoltura, nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), sono infatti discusse nel Koronivia Joint Work on Agriculture (KJWA).

La gestione del suolo e dei nutrienti

L’aggiornamento di questo piano (clicca per accedere al testo in inglese) ha portato a riconoscere  la necessità di una transizione verso sistemi alimentari sostenibili e resilienti, tenendo in considerazione la vulnerabilità dell’agricoltura agli impatti dei cambiamenti climatici. Per realizzare questa transizione, viene riconosciuto il ruolo chiave di:

  • pratiche sostenibili di gestione del suolo e dell’uso ottimale dei nutrienti, compresi i fertilizzanti organici e il letame;
  • gestione sostenibile degli allevamenti per tutelare il benessere animale;
  • l’aumento delle risorse per ottenere sistemi agricoli inclusivi, sostenibili e resilienti al clima.

Sementi resistenti

I 4 miliardi di dollari investimenti pubblici che gli Stati si impegnano a mobilitare nell’innovazione agricola saranno spesi anche nello sviluppo di sementi resistenti al cambiamento climatico e in soluzioni per migliorare la salute del suolo, rendendo disponibili queste innovazioni agli agricoltori di tutto il mondo. Sedici Paesi hanno lanciato una “Policy Action Agenda” che coinvolge anche l’agricoltura e più di 160 soggetti fra Stati e Organizzazioni pubbliche hanno aderito alla “Global Agenda for Innovation in Agriculture” in favore  di un settore agroalimentare più resistente e sostenibile. Al termine della giornata della natura e del suolo il presidente della Cop26, il britannico Alok Sharma, ha annunciato che sono saliti a 134 i Paesi che hanno aderito al piano contro la deforestazione da quasi 20 miliardi di dollari, annunciato nei giorni precedenti a Glasgow.

Energie rinnovabili

Sul tema della riduzione del ricorso alle fonti energetiche fossili che ha chiuso la Conferenza di Glasgow, la resistenza di India e Cina ha ridotto la portata degli impegni contro il ricorso al carbone, mentre è stata ribadita la funzione fondamentale delle energie rinnovabili, sena però espliciti riferimenti al ruolo delle aziende agricole nella produzione di biogas, biometano e agrisolare.

Per Suolo e Salute la portata della Cop26 è stata quindi decisamente sotto le attese. «A voler vedere per forza il bicchiere mezzo pieno – commenta Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute – si può mettere in evidenza l’accordo unanime dei Paesi che hanno partecipato alla Conferenza riguardo ai problemi da affrontare e la circostanza che nessuno abbia avanzato le ipotesi di rivedere al ribasso, come accaduto nelle precedenti riunioni, gli accordi per il contrasto al climate change raggiunti a Parigi nel 2015». «I mezzi proposti per contrastare questi problemi sono però decisamente insufficienti, la nostra attenzione si sposta quindi ora verso le importanti decisioni che l’Unione europea dovrà prendere mesi sulla politica agricola comunitaria. Ci aspettiamo che siano coerenti con le preoccupazioni della Cop26, dando seguito all’impegno a favorire un modello di agricoltura resiliente al clima come quella biologica».

 

Siccità 2017: mai così poca pioggia in 200 anni

Siccità 2017: mai così poca pioggia in 200 anni

Riscaldamento climatico, innalzamento dei mari, climate change, gas serra, inquinamento. 

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. E non è necessario andare nei ghiacciai dell’artico o su un atollo del Pacifico per rendersene conto. Basti pensare che nel 2017, la siccità in Italia ha toccato un record spaventoso: sulla penisola non ha mai piovuto così poco dal 1800 a oggi.

Lo spiega in una nota sull’anno meteorologico 2017 l’istituto Isac (Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima), parte del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche).

2017: anno peggiore per la siccità in Italia

Innanzitutto facciamo una precisazione. I dati snocciolati dall’Istituto si riferiscono al cosiddetto anno meteorologico: convenzionalmente, questo particolare anno comincia con dicembre e finisce a novembre. E quindi l’anno meteorologico 2017 va dal primo dicembre 2016 al 30 novembre 2017.

Considerando quindi l’anno meteorologico, i ricercatori hanno concluso che il 2017 è stato l’anno peggiore per la siccità in Italia. È dal 1800 che vengono registrati i dati sulle precipitazioni nella penisola. Una Banca dati enorme che ci consente di comprendere l’andamento del clima.

Secondo i ricercatori di Isac-Cnr, non è mai stato registrato un anno peggiore, dal punto di vista delle piogge. Da più di due secoli, 217 anni, in Italia non ha mai piovuto così poco.

Nella nota vengono elencate, mese per mese e stagione per stagione, le anomalie registrate dal punto di vista delle precipitazioni:

  • Dicembre -58% – 15esimo
  • Gennaio +23% – 144esimo
  • Febbraio -15% – 90esimo
  • Marzo -56% – 20esimo
  • Aprile -37% – 40esimo
  • Maggio -50% – 15esimo
  • Giugno -53% – 12esimo
  • Luglio -43% – 39esimo
  • Agosto -82% – quarto
  • Settembre +27% – 164esimo
  • Ottobre -79% – secondo
  • Novembre +10% – 109esimo

 

  • Inverno -21% – 41esimo
  • Primavera -48% – terza
  • Estate -61% – quarta
  • Autunno -20% – 39-esimo

Come risulta evidente, le piogge sono state scarse in tutte le stagioni dell’anno. E in particolare in primavera, quando sono calate del 48% rispetto al periodo di riferimento, e in estate, con una punta del -61%.

E le temperature?

Se le precipitazioni sono in forte calo, lo stesso non si può dire delle temperature, risultate ancora una volta in crescita rispetto al periodo di riferimento convenzionale (1971-2000). Il termometro ha fatto segnare +1,3°C, rendendo il 2017 il quarto anno più caldo dal 1800.

Come per le precipitazioni, anche sulle temperature i ricercatori Isac hanno stilato la lista delle variazioni mensili e stagionali:

  • Dicembre +1.00°C – 23esimo
  • Gennaio -1.69 – 135esimo
  • Febbraio +2.12 – sesto
  • Marzo +2.51 – quarto
  • Aprile+1.64 – 17esimo
  • Maggio+1.55 – 14esimo
  • Giugno +3.22 – secondo
  • Luglio +1.69 – decimo
  • Agosto +2.53 – terzo
  • Settembre -0.45 – 101esimo
  • Ottobre+0.96 – 28esimo
  • Novembre +0.40 – 43esimo

 

  • Inverno +0.48 – 21esimo
  • Primavera +1.90 – seconda
  • Estate +2.48 – seconda
  • Autunno +0.30 – 50esimo

Se escludiamo gennaio e settembre, le temperature sono incrementate durante tutto l’anno meteorologico. Con picchi significativi a marzo, agosto e giugno. L’estate è risultata estremamente più calda, mentre gli aumenti minori si sono registrati in autunno.

Siccità in Italia, Isac-Cnr: “2017 anomalo”

Insomma, il climate change si fa sentire. Lo confermano le anomalie registrate sia nelle temperature che nelle precipitazioni. Un fatto confermato dalle dichiarazioni dei ricercatori di Isac-Cnr che così commentano i dati pubblicati:

«Dal punto di vista termometrico il 2017 ha fatto registrare, per l’Italia, un’anomalia di +1.3°C al di sopra della media del periodo di riferimento convenzionale 1971-2000, chiudendo come il quarto più caldo dal 1800 ad oggi, a pari merito agli anni 2001, 2007 e 2016. Più caldi del 2017 sono stati solo il 2003 (con un’anomalia di +1.36°C), il 2014 (+1.38°C rispetto alla media) e il 2015 che resta l’anno più caldo di sempre con i suoi +1.43°C al di sopra della media del periodo di riferimento».

Ancora peggiore risulta lo scenario sul fronte delle precipitazioni, che delinea il quadro della forte siccità in Italia:

«Più significativa è risultata l’anomalia pluviometrica del 2017, che verrà sicuramente ricordato per la pesante siccità che lo ha caratterizzato. A partire dal mese di dicembre del 2016 si sono susseguiti mesi quasi sempre in perdita: fatta eccezione per i mesi di gennaio, settembre e novembre, tutti gli altri hanno fatto registrare un segno negativo, quasi sempre con deficit di oltre il 30% e, in ben sei mesi, di oltre il 50%. A conti fatti, gli accumuli annuali a fine 2017 sono risultati essere di oltre il 30% inferiori alla media del periodo di riferimento 1971-2000, etichettando quest’anno come il più secco dal 1800 ad oggi. Per trovare un anno simile bisogna andare indietro al 1945, anche in quell’anno ci furono 9 mesi su 12 pesantemente sotto media, il deficit fu -29%, quindi leggermente inferiore”, conclude l’Isac-Cnr».

Calamità naturali, l’allarme Confesercenti: “22mila PMI danneggiate in 5 anni”

calamità naturali

Migliaia di persone coinvolte, decine di migliaia di attività economiche messe in ginocchio, miliardi investiti per la ricostruzione delle aree colpite.

Le calamità naturali che colpiscono il nostro Paese – frane, alluvioni, terremoti – sembrano abbattersi con sempre maggiore intensità. Colpa di uno sviluppo sempre meno sostenibile, che erode il suolo di larga parte del Paese, e dei cambiamenti climatici in atto.

Ma non tutto è perduto, la soluzione c’è: ridare vigore all’attività agricola, recuperando importanti terreni alla coltivazione e alla riforestazione. E dando maggiore importanza al ruolo degli imprenditori e dei lavoratori del settore.

Ecco la fotografia dei rischi sismico e idrogeologico in Italia e la soluzione proposta da Coldiretti.

Non solo imprese agricole: tutti i danni delle calamità naturali

È facile immaginare come i fenomeni meteorologici estremi – la siccità registrata in questo 2017 in Italia, per esempio – possano gravemente danneggiare le imprese agricole. Ma le calamità naturali che fronteggiamo ogni anno hanno arrecato grossi problemi anche a negozi, bar, ristoranti. Per non parlare di capannoni, fabbriche, botteghe artigiane. Negli ultimi 5 anni, spiega Confesercenti, sono state almeno 22mila le imprese affette da tali fenomeni.

È il dissesto idrogeologico a creare i maggiori grattacapi. 12mila PMI, infatti, sono state danneggiate da alluvioni, esondazioni e smottamenti causati dalle precipitazioni. Sono inoltre 10mila le piccole e medie imprese rimaste vittime di terremoti. Il danno stimato dall’Ufficio economico di Confesercenti è stato pari a circa 700 milioni di euro.

«Il tema delle calamità naturali nel nostro Paese – scrive l’associazione in una nota – è in generale collegato alla difficoltà strutturale della prevenzione dei rischi e del corretto utilizzo del territorio, che rimanda all’altrettanto evidente difficoltà a programmare l’uso delle risorse e del territorio stesso. Inoltre, per ciò che riguarda la specificità dei danni al tessuto economico-produttivo, la modalità dei rimborsi alle imprese si ferma ai soli danni materiali. Per le imprese, ad esempio, non viene considerato in alcun modo il danno economico, costituito dalla perdita di valore aggiunto diretto ed indiretto, che può protrarsi per più anni. E spesso è necessario molto tempo anche per ottenere il rimborso».

Rischio sismico e idrogeologico: fenomeni in crescita

Confesercenti snocciola poi alcuni dati che dimostrano come sia il rischio sismico, che quello idrogeologico, sia in severo aumento nel nostro Paese.

Sono oggi 7mila i comuni presenti in aree a elevato rischio idrogeologico: l’85% del totale, per una superficie pari al 10% del territorio italiano. La popolazione esposta a tale rischio è quindi salita a 5,8 milioni di persone. Dal secondo dopoguerra a oggi, sono registrate più di mille frane, in 900 località, e 700 inondazioni. Sono 9mila le vittime, tra morti, feriti e dispersi.

Non va meglio per il pericolo sismico. I comuni a rischio in questo caso sono 3mila, che coprono un’area pari al 44% del territorio nazionale. Sono 21,8 milioni le persone che vivono in aree a elevato rischio sismico.

A testimoniare il peggioramento delle condizioni del Paese, i fondi statali stanziati per far fronte alle calamità naturali. Dal 1944 al 1990, la spesa media è stata pari a circa 2,8 miliardi di euro l’anno per interventi successivi a terremoti, frane e alluvioni. Dal 1991 al 2009, la cifra media è salita a 4,7 miliardi l’anno. Dal 2010 al 2014, abbiamo assistito a un ulteriore aumento: più di 6 miliardi l’anno.

Complessivamente, il nostro Paese ha speso più di 240 miliardi di euro per fronteggiare tali disastri naturali: il 74,6% per i danni da terremoto, il 25,4% per il dissesto idrogeologico.

Calamità naturali: le responsabilità di uno sviluppo insostenibile

C’è un disastro nel disastro, che sta colpendo l’Italia: quello del consumo di suolo. Se le calamità naturali non possono essere evitate, sarebbe almeno il caso di prevenire i danni maggiori, aumentando l’estensione della superficie agricola e forestale, ostacolando cementificazione e abbandono. È quanto suggerisce Coldiretti, presentando uno studio sul tema, puntando il dito su un modello di sviluppo scorretto:

«Sviluppo che ha provocato un irresponsabile consumo di suolo – spiega Roberto Moncalvo, presidente nazionale dell’associazione – con la scomparsa di oltre un quarto della terra coltivata (-28%). Negli ultimi 25 anni in Italia sono rimasti appena 12,8 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata».

Secondo gli ultimi dati, sono stati consumati in Italia 23mila chilometri quadrati di suolo: 3 metri quadrati al secondo. Si tratta del 7,6% del territorio nazionale (dati: Ispra).

«Su questo territorio meno ricco e presidiato si abbattono i cambiamenti climatici, con le bombe d’acqua che il terreno non riesce ad assorbire. Il tutto spesso aggravato anche “a monte” dall’assenza di una politica forestale e di gestione del reticolo idrografico».

Per fronteggiare le calamità naturali, occorre quindi “difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile dalla cementificazione e dall’abbandono”. Per riuscirci, è necessario l’impegno “da parte delle amministrazioni a tutti i livelli”. In particolar modo, l’obiettivo deve essere quello di riconoscere “il ruolo dell’attività agricola dal punto di vista sociale, culturale ed economico”.

FONTI:

http://italiafruit.net/DettaglioNews/41150/in-evidenza/calamita-naturali-in-aumento-i-numeri-dellemergenza

http://www.confesercenti.it/blog/imprese-confesercenti-negli-ultimi-5-anni-da-calamita-naturali-danni-gravi-per-22mila-pmi/

http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/natura/2017/09/15/maltempo-coldiretti-senza-la-campagna-litalia-affoga_99cf82fb-5492-4508-a031-5984a96cad7c.html