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Calamità naturali, l’allarme Confesercenti: “22mila PMI danneggiate in 5 anni”

calamità naturali

Migliaia di persone coinvolte, decine di migliaia di attività economiche messe in ginocchio, miliardi investiti per la ricostruzione delle aree colpite.

Le calamità naturali che colpiscono il nostro Paese – frane, alluvioni, terremoti – sembrano abbattersi con sempre maggiore intensità. Colpa di uno sviluppo sempre meno sostenibile, che erode il suolo di larga parte del Paese, e dei cambiamenti climatici in atto.

Ma non tutto è perduto, la soluzione c’è: ridare vigore all’attività agricola, recuperando importanti terreni alla coltivazione e alla riforestazione. E dando maggiore importanza al ruolo degli imprenditori e dei lavoratori del settore.

Ecco la fotografia dei rischi sismico e idrogeologico in Italia e la soluzione proposta da Coldiretti.

Non solo imprese agricole: tutti i danni delle calamità naturali

È facile immaginare come i fenomeni meteorologici estremi – la siccità registrata in questo 2017 in Italia, per esempio – possano gravemente danneggiare le imprese agricole. Ma le calamità naturali che fronteggiamo ogni anno hanno arrecato grossi problemi anche a negozi, bar, ristoranti. Per non parlare di capannoni, fabbriche, botteghe artigiane. Negli ultimi 5 anni, spiega Confesercenti, sono state almeno 22mila le imprese affette da tali fenomeni.

È il dissesto idrogeologico a creare i maggiori grattacapi. 12mila PMI, infatti, sono state danneggiate da alluvioni, esondazioni e smottamenti causati dalle precipitazioni. Sono inoltre 10mila le piccole e medie imprese rimaste vittime di terremoti. Il danno stimato dall’Ufficio economico di Confesercenti è stato pari a circa 700 milioni di euro.

«Il tema delle calamità naturali nel nostro Paese – scrive l’associazione in una nota – è in generale collegato alla difficoltà strutturale della prevenzione dei rischi e del corretto utilizzo del territorio, che rimanda all’altrettanto evidente difficoltà a programmare l’uso delle risorse e del territorio stesso. Inoltre, per ciò che riguarda la specificità dei danni al tessuto economico-produttivo, la modalità dei rimborsi alle imprese si ferma ai soli danni materiali. Per le imprese, ad esempio, non viene considerato in alcun modo il danno economico, costituito dalla perdita di valore aggiunto diretto ed indiretto, che può protrarsi per più anni. E spesso è necessario molto tempo anche per ottenere il rimborso».

Rischio sismico e idrogeologico: fenomeni in crescita

Confesercenti snocciola poi alcuni dati che dimostrano come sia il rischio sismico, che quello idrogeologico, sia in severo aumento nel nostro Paese.

Sono oggi 7mila i comuni presenti in aree a elevato rischio idrogeologico: l’85% del totale, per una superficie pari al 10% del territorio italiano. La popolazione esposta a tale rischio è quindi salita a 5,8 milioni di persone. Dal secondo dopoguerra a oggi, sono registrate più di mille frane, in 900 località, e 700 inondazioni. Sono 9mila le vittime, tra morti, feriti e dispersi.

Non va meglio per il pericolo sismico. I comuni a rischio in questo caso sono 3mila, che coprono un’area pari al 44% del territorio nazionale. Sono 21,8 milioni le persone che vivono in aree a elevato rischio sismico.

A testimoniare il peggioramento delle condizioni del Paese, i fondi statali stanziati per far fronte alle calamità naturali. Dal 1944 al 1990, la spesa media è stata pari a circa 2,8 miliardi di euro l’anno per interventi successivi a terremoti, frane e alluvioni. Dal 1991 al 2009, la cifra media è salita a 4,7 miliardi l’anno. Dal 2010 al 2014, abbiamo assistito a un ulteriore aumento: più di 6 miliardi l’anno.

Complessivamente, il nostro Paese ha speso più di 240 miliardi di euro per fronteggiare tali disastri naturali: il 74,6% per i danni da terremoto, il 25,4% per il dissesto idrogeologico.

Calamità naturali: le responsabilità di uno sviluppo insostenibile

C’è un disastro nel disastro, che sta colpendo l’Italia: quello del consumo di suolo. Se le calamità naturali non possono essere evitate, sarebbe almeno il caso di prevenire i danni maggiori, aumentando l’estensione della superficie agricola e forestale, ostacolando cementificazione e abbandono. È quanto suggerisce Coldiretti, presentando uno studio sul tema, puntando il dito su un modello di sviluppo scorretto:

«Sviluppo che ha provocato un irresponsabile consumo di suolo – spiega Roberto Moncalvo, presidente nazionale dell’associazione – con la scomparsa di oltre un quarto della terra coltivata (-28%). Negli ultimi 25 anni in Italia sono rimasti appena 12,8 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata».

Secondo gli ultimi dati, sono stati consumati in Italia 23mila chilometri quadrati di suolo: 3 metri quadrati al secondo. Si tratta del 7,6% del territorio nazionale (dati: Ispra).

«Su questo territorio meno ricco e presidiato si abbattono i cambiamenti climatici, con le bombe d’acqua che il terreno non riesce ad assorbire. Il tutto spesso aggravato anche “a monte” dall’assenza di una politica forestale e di gestione del reticolo idrografico».

Per fronteggiare le calamità naturali, occorre quindi “difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile dalla cementificazione e dall’abbandono”. Per riuscirci, è necessario l’impegno “da parte delle amministrazioni a tutti i livelli”. In particolar modo, l’obiettivo deve essere quello di riconoscere “il ruolo dell’attività agricola dal punto di vista sociale, culturale ed economico”.

FONTI:

http://italiafruit.net/DettaglioNews/41150/in-evidenza/calamita-naturali-in-aumento-i-numeri-dellemergenza

http://www.confesercenti.it/blog/imprese-confesercenti-negli-ultimi-5-anni-da-calamita-naturali-danni-gravi-per-22mila-pmi/

http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/natura/2017/09/15/maltempo-coldiretti-senza-la-campagna-litalia-affoga_99cf82fb-5492-4508-a031-5984a96cad7c.html

Sicurezza alimentare a rischio. La FAO: “Il mondo non può più aspettare”

La sicurezza alimentare è in pericolo. È l’allarme lanciato dalla FAO nel suo nuovo rapporto intitolato “Il futuro del cibo e dell’agricoltura: tendenze e sfide“. La causa sarebbe da ricercare nella crescente pressione attuata sulle risorse naturali, nell’ineguaglianza e nel cambiamento climatico.

Secondo l’Organizzazione, nonostante negli ultimi 30 anni siano stati fatti dei passi in avanti in termini di riduzione della povertà, l’aumento della produzione alimentare e la crescita economica hanno continuato a infliggere duri colpi all’ambiente. Tanto che, senza ulteriori sforzi, annuncia la FAO, l’obiettivo di porre fine alla fame entro il 2030 sarà disatteso.

Sicurezza alimentare a rischio: il rapporto FAO

Ogni aspetto della produzione alimentare, avverte la FAO nel suo rapporto, è influenzato dai cambiamenti climatici. Così come dalle pressioni esercitate sulle risorse naturali: già oggi quasi la metà delle foreste che una volta ricoprivano il pianeta è andata perduta. Non solo: le risorse idriche si vanno prosciugando, a causa anche dell’aumento della siccità e della variabilità delle precipitazioni.

Entro il 2050, la popolazione mondiale probabilmente raggiungerà quasi i 10 miliardi di persone, con un conseguente aumento della domanda mondiale di prodotti agricoli del 50%. Allo stesso tempo, a seguito del cambiamento delle diete già in atto a livello globale, sempre meno persone mangeranno grandi quantitativi di cereali. In sostituzione, aumenterà il consumo di carne, frutta, verdura e prodotti alimentari lavorati. Questo porterà inevitabilmente a una maggiore pressione sulle risorse naturali, già ampiamente sfruttate.

Le soluzioni

Con uno scenario del genere, avverte la FAO, è assolutamente necessario intensificare i nostri sforzi.

Secondo l’Organizzazione, i sistemi alimentari del pianeta sono in grado di produrre cibo a sufficienza ma, per riuscirci in modo sostenibile, sono necessarie “grandi trasformazioni”.

«Senza maggiori sforzi per promuovere lo sviluppo a favore dei poveri, ridurre le disuguaglianze e proteggere le persone più vulnerabili, più di 600 milioni di persone saranno ancora denutrite nel 2030». Infatti, il tasso attuale di progresso non sarebbe neanche sufficiente a sradicare la fame entro il 2050.

Da dove verrà il nostro cibo?

Principalmente dal miglioramento della produttività e da una maggiore efficienza nell’uso delle risorse.

Per farlo, però, superando anche la preoccupante stabilizzazione della resa delle principali colture «saranno necessarie importanti trasformazioni nei sistemi agricoli, nelle economie rurali e nella gestione delle risorse naturali».

Sistemi di produzione agricola, si legge nel rapporto, capaci di produrre di più, ma con meno. Preservando e valorizzando le condizioni di vita dei piccoli agricoltori, e garantendo l’accesso al cibo ai più vulnerabili.

Sistemi alimentari più sostenibili quindi, che facciano un uso più efficiente delle risorse e portino a un taglio drastico delle emissioni, puntando al tempo stesso a preservare la biodiversità e a ridurre gli sprechi.

Quali le sfide per i governi

Il rapporto individua 15 tendenze e 10 sfide che interessano già nell’immediato i sistemi alimentari del mondo. Ecco quali sfide affrontare per garantire la sicurezza alimentare mondiale:

  • Migliorare in modo sostenibile la produttività agricola per soddisfare l’accresciuta domanda.
  • Garantire una base sostenibile delle risorse naturali.
  • Far fronte al cambiamento climatico e all’intensificazione delle calamità naturali.
  • Eliminare la povertà estrema e ridurre le disuguaglianze.
  • Porre fine alla fame e a tutte le forme di malnutrizione.
  • Rendere i sistemi alimentari più efficienti, inclusivi e resistenti.
  • Migliorare le opportunità di reddito nelle zone rurali e affrontare le cause all’origine della migrazione.
  • Rafforzare la capacità di risposta alle crisi prolungate, alle catastrofi e ai conflitti.
  • Prevenire le emergenti minacce transfrontaliere per l’agricoltura e per i sistemi alimentari.
  • Affrontare l’esigenza di una governance nazionale e internazionale coerente ed efficace.

Fonti:

http://www.freshplaza.it/article/88851/Rapporto-FAO-sicurezza-alimentare-in-pericolo

http://www.fao.org/news/story/it/item/471641/icode/

Festuca: la soluzione che salverà le colture da freddo e siccità?

Secondo i ricercatori, la festuca arundinacea, pianta con un’incredibile resistenza a freddo e siccità, potrebbe racchiudere la soluzione che salverà le colture dai cambiamenti climatici.

La Festuca arundinacea è una pianta erbacea con una spiccata resistenza al freddo e agli stress idrici. È molto utilizzata nella realizzazione dei tappeti erbosi, proprio per le sue caratteristiche che le consentono di tollerare bene caldo, siccità, malattie e scarsa manutenzione. È una delle specie che meglio si adatta al clima italiano.

I ricercatori dell’Università di Pisa hanno esaminato la pianta per carpire il segreto della sua longevità e applicarlo alle colture agrarie, sempre più minacciate dai cambiamenti climatici.

Lo studio

Lo studio, condotto dal professor Lorenzo Guglielminetti ha portato a degli sviluppi interessanti.

In un’intervista rilasciata ad “Agronotizie”, Guglielminetti spiega il comportamento della Festuca e le sue possibili applicazioni in campo agrario.

Questa pianta, afferma, “è in grado di sopravvivere per più di un anno in completa assenza di risorse energetiche, ma con i tessuti idratati”.

La Festuca unirebbe in sé il comportamento delle piante che vivono in ambienti desertici, e che trascorrono lunghi periodi di inattività, a quello delle piante erboree che, per affrontare l’arrivo dell’autunno, conservano il nutrimento in steli e radici sotto forma di zuccheri.

Durante i test, i ricercatori hanno fatto germinare la Festuca al buio. La pianta è cresciuta per circa 200 giorni. Dopo aver esaurito il nutrimento presente nel seme è entrata in letargo, per poi riprendere la propria attività una volta esposta nuovamente alla luce. Tutto il processo è durato 650 giorni.

Cosa determina la sua resistenza

All’interno della Festuca sono presenti dei geni incredibilmente forti che le consentono di resistere agli stress esterni. La pianta utilizza la fase di letargo per evitare di esaurire tutte le riserve accumulate e morire in assenza di fotosintesi.

Secondo Guglielminetti la scoperta ha un valore rilevante anche per le altre colture. “Se noi riuscissimo a trasferire questi meccanismi, che ancora non sono chiari, nelle colture agrarie saremmo in grado di rendere le piante più resistenti”, spiega il professore. Si potrebbero ottenere specie che consumano meno risorse idriche e che non temono le gelate primaverili.

Nuovi Ogm quindi?

Alla domanda se trasferire i geni della Festuca alle altre colture possa determinare la creazione di Ogm, l’esperto risponde che non è detto. L’ingegneria genetica è una soluzione, ma esistono altre vie: una volta individuato esattamente il gene di resistenza di questa pianta, è possibile ricercarlo in altre varietà presenti tra le colture agrarie non ancora valorizzate commercialmente. Poi, le proprietà potrebbero essere trasferite attraverso incroci tradizionali alle altre varietà più commercializzate ma meno resistenti.
Fonti:

http://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2017/01/19/freddo-e-siccita-non-fanno-piu-paura-grazie-ad-un-erba/52500

https://it.wikipedia.org/wiki/Festuca_arundinacea

Cambiamenti climatici e agricoltura in Emilia-Romagna

Lunedì 30 gennaio 2017 si terrà un incontro a Bologna che avrà come argomento i cambiamenti cliamtici e l’agricoltura in Emilia Romagna, ecco il programma:

Dalle ore 10-13 in Viale Antonio Silvani 6, Bologna, piano terra, sala 5

10.00 Introduzione, Giuseppe Bortone, direttore generale Arpae

10.10 Il Servizio idrometeoclima per l’agricoltura regionale, Carlo Cacciamani, direttore Arpae Simc

10.30 Siccità e Clima, il ruolo degli osservatori, Lucio Botarelli, Arpae Simc

10.50 Il nuovo atlante climatico regionale, Gabriele Antolini, Arpae Simc

11.10 Il futuro del clima regionale, Rodica Tomozeiu, Arpae Simc

11.30 Da iColt a Moses: servizi climatici per l’agricoltura, Vittorio Marletto, Arpae Simc

11.50 La strategia climatica regionale, Patrizia Bianconi, Regione Emilia-Romagna

12.10 Mitigazione agricola: il progetto Climate changE-R, Mario Montanari, Regione Emilia-Romagna

12.30 Conclusioni, Simona Caselli, assessore Agricoltura Caccia e Pesca, Regione Emilia-Romagna

13.00 Rinfresco

Incontro a Roma sul sistema agroalimentare del Mediterraneo e il climate change

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Se il clima cambia, cambieranno inevitabilmente anche il sistema agricolo e l’offerta alimentare. È da questo presupposto che parte l’idea alla base dell’incontro “Il sistema agricolo e alimentare del Mediterraneo di fronte ai cambiamenti climatici”. Appuntamento a Roma, presso le Scuderie Vecchie di Villa Torlonia, per il prossimo 7 novembre.

A partire dalle 14: 30, esperti, accademici e ricercatori si incontreranno nella sede della Biblioteca dell’Accademia nazionale delle scienze, per l’evento organizzato, tra gli altri, dal dipartimento di Scienze bioagrolimentari del Cnr.

Nel recente Committee on World Food Security, la FAO ha prodotto il suo report annuale sullo Stato dell’Agricoltura e del Food nel 2016. La parola chiave è stata cambiamento.

Se il clima cambia, allora anche l’agricoltura cambia”, ha dichiarato Rob Voss direttore della divisione Agricultural Development Economics della FAO. L’impatto del climate change, i cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale, saranno maggiori nelle aree dell’Africa sub-sahariana e del sudest Asiatico. Ciò non vuol dire che le nazioni europee, e in particolare quelle che affacciano sul Mediterraneo, ne saranno esenti.

Ecco allora spiegata l’importanza di eventi come quello di Roma.

Di seguito l’elenco completo degli argomenti in discussione.

Il clima del Mediterraneo e la sua evoluzione, relaziona Marina Baldi di Ibimet-CNR

Il Mediterraneo e la sua agricoltura, a cura di Amedeo Alpi dell’Accademia Nazionale delle Scienze

Evoluzione della domanda alimentare e dell’agricoltura nei paesi del Mediterraneo, su cui interviene Cosimo Lacirignola, Segretario Generale CIHEAM

Cambiamenti climatici e possibili implicazioni per il sistema agro-alimentare dei paesi del Mediterraneo, di Mauro Centritto, IVALSA-CNR

Soluzioni agro-ecologiche per l’adattamento ai cambiamenti climatici, sui cui relazionerà Paolo Bàrberi della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

La FAO: il settore agricolo fondamentale per contrastare fame e climate change

Il CFS, il Committee on World Food Security (Comitato sulla Sicurezza Alimentare Mondiale), si è riunito dal 17 al 21 Ottobre a Roma, nel Quartier Generale della FAO. Durante il primo giorno del meeting internazionale, la FAO (Food and Agriculture Organization), organizzazione delle Nazioni Unite, ha annunciato la pubblicazione del report “The State of Food and Agriculture 2016”. Il report, quest’anno è stato incentrato sul climate change, i cambiamenti climatici che stanno interessando il nostro pianeta.

Secondo il rapporto, se l’umanità vuole sradicare fame e povertà deve mettere immediatamente in campo una trasformazione rapida dell’agricoltura, degli allevamenti e dei sistemi di produzione e distribuzione degli alimenti. Non c’è dubbio, ritengono gli esperti FAO, che il climate change avrà effetti anche sull’alimentazione.

Se il sistema produttivo dovesse continuare “business as usual”, cioè come ha sempre fatto, milioni di persone sarebbero a rischio fame, soprattutto nell’Africa sub-sahariana e nel Sud-Est Asiatico.

Il clima sta cambiando e quindi deve cambiare anche l’agricoltura”, ha dichiarato Rob Voss, direttore della divisione Agricultural Development Economics della FAO. “Affermiamo questo perché l’agricoltura sta già subendo l’impatto del climate change, in particolare nelle aree tropicali. L’agricoltura sta inoltre contribuendo, per circa un quinto del totale, alle emissioni globali di anidride carbonica e altri gas serra”.

Occorre quindi cambiare passo, per affrontare le sfide climatiche e sostenere le necessità alimentari globali.

Secondo Voss, sono 4 i principali cambiamenti che devono essere messi in campo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Innanzitutto, bisogna convertire i campi a pratiche agricole più sostenibili, anche dal punto di vista economico, scegliendo varietà di raccolti che siano più tolleranti alle elevate temperature e alla siccità.

In secondo luogo, “dobbiamo lavorare per incrementare la capacità del suolo e delle foreste di sequestrare il carbone. La deforestazione per creare nuovi terreni agricoli è una delle principali fonti fonti di emissioni nel settore agricolo”, spiega Voss.

La terza parte del piano FAO riguarda lo spreco alimentare: circa un terzo di tutto il cibo prodotto dall’agricoltura viene perso durante il processo di lavorazione o buttato via dai consumatori.

La quarta azione, che è anche la più impegnativa, è quella di cambiare la dieta delle persone. Stiamo assistendo a un chiaro cambiamento nella domanda alimentare: sempre più spesso osserviamo un aumento nella richiesta di prodotti che interferiscono con le risorse naturali”. La sfida in questo caso è di spingere le persone a selezione alternative alimentari vegetali, piuttosto che animali: questo darebbe un forte contributo a un settore alimentare più sostenibile. E in più, “avrebbe benefici anche sulla salute umana”, conclude Voss.

Durante il meeting del Comitato, sono stati presentati altri documenti che hanno messo al centro del dibattito il ruolo dell’agricoltura biologica come modalità di coltivazione sostenibile. In una dichiarazione, inoltre, la FAO ha detto di “promuovere il biologico, il commercio equo e lo slow food come strade concrete per creare un’agricoltura sostenibile”.

FONTI:

https://www.ifoam.bio/en/news/2016/10/24/committee-world-food-security

http://www.fao.org/3/a-i6030e.pdf

http://www.bbc.com/news/science-environment-37671825