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LA CERTIFICAZIONE È UN VALORE, NON UN COSTO

LA CERTIFICAZIONE È UN VALORE, NON UN COSTO

È uno dei caratteri distintivi del biologico, ne sostiene la reputazione, aumenta il grado di fiducia dei consumatori e il suo costo pesa sul sistema solo per l’1%. Lo mette in evidenza Fabrizio Piva sulle pagine di Greenplanet.net. Allora perché accanirsi a utilizzarla come capro espiatorio, proponendo l’iniqua trasformazione delle tariffe in un credito di imposta che peserebbe sulla fiscalità generale?

Il sistema di certificazione è un asset importante per il nostro biologico, una risorsa che vanta numerosi tentativi di imitazione.

Mette al riparo il settore da tentativi di frode e speculazione, sostiene il livello di reputazione e la fiducia dei consumatori, soprattutto nei momenti di crisi di mercato, e crea occupazione qualificata e valore per le imprese.

Costi contenuti

Il tutto a costi che, a conti fatti, come vedremo, sono decisamente contenuti. Alcune recenti “proposte di rilancio del settore” hanno voluto invece assimilare la certificazione, fornita da organismi terzi, al peso di una burocrazia che in Italia, spesso, può essere eccessiva ed asfissiante per gli imprenditori (non solo) agricoli. Un’assimilazione che non regge. Lo mette in evidenza Fabrizio Piva in un recente intervento su Greenplanet.net.

«C’è chi ha avanzato la proposta – ricorda Piva – di trasformare in credito di imposta i costi di controllo e certificazione sostenuti dagli operatori del settore biologico».

«Si tratta tuttavia di un errore strategico, oltre che tattico: parte da presupposti sbagliati e giunge a conclusioni che rischiano di nuocere all’intero settore».

L’aritmetica non è un’opinione

Una proposta che parte da alcuni abbagli, anche aritmetici.

Non è infatti l’onere della certificazione a penalizzare la competitività del bio, basta fare due conti. Il fatturato complessivo del biologico nazionale è arrivato infatti nel 2022 (fonte Nomisma) a 8,4 miliardi di euro (sommando mercato interno ed export). Il costo di certificazione, stimandolo sugli ultimi fatturati disponibili e depositati dagli organismi di certificazione, incide su tale fatturato per una quota intorno all’1%. Una quota che negli ultimi 20 anni si è via via ridotta e razionalizzata e che non può essere presentata come l’elemento che penalizza la competitività del settore.

Da onore ad onere

L’errore è anche concettuale: «La certificazione – scrive Piva – non è un “costo necessario” per il quale coloro che ne sono obbligati chiedono che lo Stato intervenga a ripianare/riconoscere tale costo». Questo infatti collide, come evidenzia Piva, con quello che rappresenta la certificazione del biologico dal punto di vista commerciale, ovvero uno dei pilastri su cui si reggono le garanzie per i consumatori accrescendo l’affidabilità e la credibilità dell’intero sistema.

La proposta vuole invece che la certificazione passi da valore a semplice costo, pretendendo che sia la collettività a coprirlo a livello fiscale, spalmandone così l’onere su tutti i cittadini e non solo sui consumatori.

Il rischio di concorrenza sleale

«I prodotti – evidenzia Piva – che nel mercato hanno più successo e spuntano maggiori vantaggi competitivi sono quelli spesso caratterizzati da schemi di certificazione ad essi collegati».

Oltre al biologico questo vale infatti per i prodotti tipici (Dop, Igp, Stg), i vini a denominazione, fra breve verranno sviluppati alcuni schemi collegati all’assorbimento del carbonio (carbon farming) ed altri percorsi nell’ambito della sostenibilità dei processi. «In questo modo l’argomento si complica, e non poco, perché anche per questi settori dovrebbe essere riconosciuto il credito di imposta e magari in tutti i Paesi membri per evitare distorsioni di mercato, considerato che si tratta di organizzazioni comuni di mercato (Ocm) in ambito Ue».

Un credito di imposta che, oltre a tutto, altererebbe la correttezza della competizione fra imprese all’interno dello stesso settore biologico. «La stragrande maggioranza delle aziende agricole non potrebbe infatti vederlo riconosciuto in quanto paga le imposte sui redditi catastali e non su quelli effettivi in base alla redazione di un bilancio.

Un ultimo mito da sfatare

«Da ultimo – conclude Piva – non corrisponde al vero che il costo di certificazione viene applicato più volte sullo stesso prodotto lungo la filiera del valore, in quanto la tariffa viene applicata sull’operatore certificato in base alle operazioni che lo stesso esegue sul prodotto e sulla fase di filiera su cui ha competenza».

PRODUZIONE INTEGRATA, LA CERTIFICAZIONE  FA LA DIFFERENZA

PRODUZIONE INTEGRATA, LA CERTIFICAZIONE FA LA DIFFERENZA

Doppia intervista del direttore generale di Suolo e Salute Alessandro D’Elia e a Matteo Grillenzoni, responsabile dello schema di certificazione Sqnpi per Suolo e Salute sui Sistemi di qualità sul settimanale Terra e Vita. «Con il sistema Sqnpi la produzione integrata impara del biologico e si evolve»

Obbligo di adesione al sistema Sqnpi. È la novità più incisiva dell’intervento “Sra01 Aca01” (l’ex misura di produzione integrata) all’interno dei nuovi complementi regionali allo Sviluppo rurale.

Un’evoluzione che secondo Alessandro D’Elia, intervistato dal settimanale Terra e Vita, può garantire un doppio vantaggio alla produzione integrata volontaria. Rivalutata oggi dall’inserimento in un sistema di qualità tutelato e promosso a livello nazionale. Un’esigenza pressante per uno schema di produzione che ha avuto difficoltà a comunicare al mercato i propri plus dopo che il piano d’azione per gli usi sostenibili degli agrofarmaci ha reso obbligatoria la produzione integrata “base”. E finalmente valorizzata e tutelata dall’inserimento in uno schema nazionale di certificazione.

Gli obiettivi del Green deal

È questa l’opzione che fa la differenza?

«La sostenibilità ambientale – risponde D’Elia– è oggi al centro della nuova politica agricola comune perché il ruolo del comparto agroalimentare è decisivo per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica e transizione ecologica fissati dal Green deal». «Si tratta di un elemento diventato decisivo per la valutazione della qualità del nostro cibo, ma non è un attributo evidente».

«Va gestito e comunicato con rigore perché la sostenibilità si basa sulla fiducia dei consumatori e la certificazione da parte di un organismo terzo garantisce la coerenza tra le indicazioni dei disciplinari, le azioni dei produttori e le esigenze dei consumatori».

Due filosofie produttive diverse

In questo modo l’integrato assomiglia sempre di più al biologico?

«L’agricoltura biologica fa parte del nostro DNA. Il nostro ente di certificazione è nato dall’evoluzione dell’associazione Suolo e Salute che, a partire dal 1969, è stata tra i precursori di questo metodo di produzione». «Siamo leader nella certificazione del biologico in Italia ma stiamo crescendo anche nel sistema Sqnpi». «Se l’obiettivo della sostenibilità è comune, le strade per arrivarci sono diverse, ma le due filosofie produttive non sono in competizione. Ma è innegabile che il modello di agricoltura biologica, così come codificato e normato dalla Ue e dagli Stati membri, è quello che presta più attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale e alla qualità dei prodotti alimentari». «Per molte aziende agricole la produzione integrata è poi spesso l’anticamera per passare con maggiore convinzione al metodo biologico».

Come si certifica la produzione integrata?

«Il sistema Sqnpi prevede un doppio livello di controllo per dimostrare l’applicazione dei disciplinari di produzione integrata regionali, che sono il documento tecnico di riferimento, nelle fasi di produzione agricola, trasformazione, confezionamento ed identificazione del prodotto finito attraverso il segno distintivo “Qualità sostenibile”».

«I due livelli sono l’autocontrollo aziendale, che prevede la possibilità di verificare i requisiti di conformità da parte degli operatori inseriti nel Sqnpi per le attività svolte presso i propri siti produttivi. E poi il vero controllo da parte degli organismi di certificazione appositamente autorizzati dal Masaf».

 

I controlli

«I sostegni dell’intervento Sra01 Aca01 – spiega Matteo Grillenzoni, responsabile dello schema di certificazione Sqnpi per Suolo e Salute – sono vincolati all’osservanza di alcuni impegni riguardo alle lavorazioni del terreno, con obbligo in alcuni casi di semina su sodo o minima lavorazione, avvicendamento colturale, irrigazione e fertilizzazione».

«Il controllo viene effettuato sul 100% degli operatori aderenti in forma singola e occorre mettere a disposizione documenti come la registrazioni delle operazioni colturali, i risultati delle analisi del suolo obbligatorie per la gestione delle fertilizzazioni ecc.».

La fase più “calda” è però quella relativa ai trattamenti fitosanitari?

«Certo, è in questo caso occorre essere in grado di giustificare i trattamenti sulla base dei monitoraggi delle fitopatie o delle soglie di intervento vincolanti o dei criteri di prevenzione riportati nei disciplinari in modo da limitare il numero dei trattamenti. Utilizzando solo le sostanze attive ammesse dai DPI per ciascuna coltura».

«Ma anche di dimostrare l’avvenuta taratura delle macchine irroratrici nei centri prova autorizzati e la loro regolazione strumentale in sede aziendale». «Controlli che non sono solo documentali ma basati sulla competenza ed esperienza degli ispettori».

SOSTENIBILITÀ, LA STRADA MAESTRA DELLA CERTIFICAZIONE

SOSTENIBILITÀ, LA STRADA MAESTRA DELLA CERTIFICAZIONE

Per sgombrare il campo da affermazioni false o dubbie, che potrebbero aprire la strada a equivoci e contenziosi, la Commissione europea sta pensando alla necessità di regolamentare le dichiarazioni green in etichetta imponendo la certificazione obbligatoria

La politica agricola comunitaria si tinge di green come non mai. Dal primo gennaio 2023 entra infatti in vigore una nuova Pac fortemente condizionata dalla strategia Farm to Fork dell’European Green deal che mette al centro la sostenibilità come strumento per conciliare sicurezza alimentare e tutela dell’ambiente.

Un concetto poco definito

La sostenibilità è però ancora un concetto poco definito, mancando a livello normativo un chiaro elenco di requisiti minimi e condivisi, utili per poter rivendicare tale condizione in maniera chiara ed inequivocabile come avviene già per il biologico (unico metodo di produzione la cui cornice è pienamente regolamentata a livello europeo).

Il mensile VVQ, Vigne, Vini & Qualità, in un articolo scritto da Stefano Sequino, dà quindi conto delle riflessioni dell’Esecutivo comunitario sulla necessità di riformare il quadro normativo sulle autodichiarazioni green.

Oggi infatti sono applicati numerosi schemi volontari di sostenibilità caratterizzati da indicatori e obiettivi che, con proprie peculiarità, prevedono un sistema di certificazione affidato ad enti terzi per verificare la conformità dei requisiti indicati dagli standard.

Il rischio greenwashing

Una pluralità di interpretazioni che, secondo la Commissione Ue, non mette al riparo il consumatore dal rischio di essere confuso e condizionato dal bombardamento di indicazioni ambientali poste soprattutto sulle etichette dei prodotti agroalimentari che rischiano di costituire un mero greenwashing.

Uno screening recentemente promosso dalla Commissione in tutta Europa ha messo in evidenza la frequenza di affermazioni di sostenibilità dubbie:

  • nel 50% dei casi il venditore non fornisce informazioni sufficienti per valutare la veridicità dell’affermazione;
  • 37% presenza di formulazioni vaghe e generiche come “cosciente”, “rispettoso dell’ambiente”, “sostenibile” finalizzate a suscitare nei consumatori l’impressione, priva di fondamento, di un prodotto senza impatto negativo sull’ambiente;
  • 59% mancanza di elementi facilmente accessibili a sostegno delle affermazioni di sostenibilità;
  • 42% affermazioni giudicate falsa o ingannevoli dalle autorità preposte, potenzialmente in grado di configurare una pratica commerciale sleale

 

Prove attendibili e verificabili

Alla fine dell’anno scorso la comunicazione 2021/C 526/01 della Commissione europea – documento di orientamento che analizza la direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori – aveva dato ampio risalto al rischio greenwashing, fenomeno definito come una indebita appropriazione di “virtù ambientaliste” finalizzata alla creazione di un’immagine verde.

La Commissione pone quindi l’accento sulla necessità che le dichiarazioni ecologiche in etichetta debbano essere basate su prove attendibili e verificabili, che tengano conto dei metodi e dei risultati scientifici, utili per dimostrare alle autorità competenti l’esattezza e la veridicità di quanto dichiarato. In altri termini, le informazioni sono credibili solo se verificabili: l’onere della prova – precisa il documento – è a carico dell’operatore che rivendica in etichetta indicazioni di sostenibilità.

La strada maestra per sgombrare il campo da equivoci e contenzioni è quella della certificazione e una nuova proposta di direttiva europea punta a migliorare il regime di tutela delle pratiche sleali, vietando l’utilizzo di marchi di sostenibilità che non siano basati su un sistema di certificazione o non siano stabiliti da autorità pubbliche.

ACCREDITATA DALL’USDA: SUOLO E SALUTE PUÒ ORA CERTIFICARE IN CONFORMITA’ AL NOP

ACCREDITATA DALL’USDA: SUOLO E SALUTE PUÒ ORA CERTIFICARE IN CONFORMITA’ AL NOP

«Siamo stati tra i primi Organismi di certificazione europei ad operare in conformità al NOP, fin dal lontano 2003, – dichiara Alessandro D’Elia, Direttore generale di Suolo e Salute – e abbiamo deciso di tornare sull’accreditamento per garantire direttamente il servizio alle imprese bio con propensione verso il mercato statunitense»

Suolo e Salute è stata accreditata dall’USDA – United States Department of Agriculture, per la certificazione delle produzioni biologiche esportate negli Stati Uniti in conformità al NOP; la normativa americana per il bio. Oltre quindi, ad operare in regime di equivalenza, può ora anche certificare la conformità delle produzioni.

«E’ un riconoscimento importantecommenta Alessandro D’Elia, Direttore generale di Suolo e Salute – che va ad aggiungersi ad altri. Suolo e Salute è stato tra i primi Organismi di certificazione ad operare in conformità al NOP, fin dal lontano 2003, attività che abbiamo lasciato nel 2012 in virtù della stipula dell’accordo di equivalenza tra UE e USDAAbbiamo deciso, per scelta strategica e per aumentare la gamma dei servizi, di ritornare a certificare direttamente NOP per aumentare le opportunità di sviluppo sia di Suolo e Salute sia delle aziende controllate, con predisposizione verso il mercato degli USA. Un obiettivo importante e senz’altro ampiamente meritato per l’impegno e il grande lavoro svolto.»

Il mercato americano offre una grande prospettiva alle aziende biologiche italiane, e non solo, visto anche i risultati di alcune ricerche sulla crescita dei consumi. Tra gli studi più significativi vi è quello dello scorso anno condotto da Nomisma. Secondo l’analisi, quasi 9 famiglie su 10 (89%) hanno consumato un prodotto alimentare o una bevanda a marchio BIO nel 2020; quota cresciuta rispetto al 2016, quando era pari all’82%.

Tra gli altri fattori che fanno degli Stati Uniti un mercato ad alto potenziale per il biologico ci sono: l’elevato numero di heavy user – coloro che consumano bio almeno una volta a settimana -, che rappresenta il 40% del totale. La forte espansione del consumo di prodotti BIO anche al di fuori del contesto domestico: il 76% degli americani ha infatti consumato prodotti bio o piatti a base di ingredienti biologici, anche nel canale away from home, almeno una volta nell’ultimo anno.

LA CERTIFICAZIONE DELLO SCHEMA SQNPI “Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata”

 

SUOLO E SALUTE, Organismo di Controllo e Certificazione per l’agroalimentare e l’ambiente, alla luce delle Linee Guide Nazionali e del relativo Disciplinare di Produzione Integrata della Regione Basilicata, organizza un incontro tecnico, che si terrà in data 24 febbraio 2017 a Policoro presso l’Hotel Residence Heraclea* di via Lido (ore 9,30 – 13,30), su “LA CERTIFICAZIONE DELLO SCHEMA SQNPI – Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata“.Il SQNPI è uno schema di certificazione per la valorizzazione delle produzioni agricole vegetali ottenute in conformità ai disciplinari regionali di produzione integrata.L’incontro patrocinato della Federazione dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Regione Basilicata, intende fornire gli elementi essenziali sui riferimenti normativi, sulle procedure di adesione, controllo e certificazione, nonché informazioni sui contenuti dello stesso DPI Basilicata. Le relazioni saranno tenute dal Dott. Carmelo Pinzone della Direzione Tecnica di Suolo e Salute Srl.L’O.d.C., leader internazionale del biologico, da tempo ha esteso il proprio campo di attività ad altri schemi di certificazione nel settore agroalimentare e ambientale. Tra i servizi offerti, oltre il biologico, ricordiamo il controllo e la certificazione dei prodotti a Denominazione di Origine (DOP, IGP e STG), dello standard Global Gap, della Rintracciabilità di Filiera, dell’Agricoltura Integrata, della Biocosmesi e dei prodotti per Vegani, inoltre, grazie ad accordi stipulati con partner accreditati, può offrire diversi altri servizi di certificazione (es. GMP, ISO 22000, Halal, Kosher, BRC e IFS), nonché marchi regionali, sulla sicurezza alimentare, sui sistemi di gestione ambientale e della qualità, etc. All’evento tecnico sono invitati a partecipare tutte le aziende aderenti al SQNPI, i tecnici del settore e tutti gli operatori locali fortemente motivati nell’adozione di pratiche e/o di processo e/o di sistemi agrari sostenibili e rispettosi dell’ambiente.Tutto il personale di Suolo e Salute è fortemente impegnato nella promozione e divulgazione di pratiche a sostegno di un’agricoltura efficiente ed efficace, capace di ottimizzare le risorse impiegate, ma soprattutto di recepire, attraverso formazione continua e dinamici confronti, i canoni di un’agricoltura sempre più etica e responsabile.Tutte le politiche agricole future convergono in questa direzione, pertanto, occorre uno sforzo partecipato per rispondere in maniera egregia ai tanti co-produttori sempre più desiderosi di garanzia, di qualità e di trasparenza.Informazioni dettagliate potranno essere richieste a Ferruccio D’Angelo (Direttore Regionale) al numero 3482510430 o all’indirizzo e-mail basilicatacampania@suoloesalute.it

* (www.hotelheraclea.com – Coordinate GPS: long. 16.7119062; latit. 40.1893865)

Psr Trento: in arrivo 301 milioni per agricoltura e sviluppo rurale

La Commissione Europea ha dato il via libera definitivo al Psr 2014-2020 della Provincia autonoma di Trento.

Il nuovo programma di sviluppo rurale, elaborato a partire dal coinvolgimento di oltre 300 stakeholders (filiere produttive, organizzazioni professionali di categoria, lavoratori agricoli e forestali, enti territoriali, portatori di interesse della società civile per temi ambientali e sociali, principali enti di ricerca) e notificato alla Commissione in data 12 giugno per la fase di negoziazione, è stato approvato definitivamente il 3 agosto scorso.

Il programma contiene le misure necessarie per far fronte alle esigenze del sistema produttivo trentino e del territorio, per un valore di 301 milioni di euro messi a disposizione fino al 2020 per ecosistemi, competitività e sviluppo economico nelle aree rurali

La quota è così ripartita: 129,5 milioni di euro provenienti dal bilancio Ue e 171,5 milioni di euro di cofinanziamento nazionale.

Le tre priorità evidenziate nel piano d’interventi della Provincia di Trento sono: la valorizzazione degli ecosistemi, la competitività del settore agricolo-forestale, la promozione dell’inclusione sociale e sviluppo economico nelle aree rurali.

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Come spiegato dall’assessore all’agricoltura Michele Dallapiccola: “Nel complesso il piano prevede investimenti per oltre 301 milioni di euro prevalentemente dedicati al settore agricolo ma con un’importante ruolo sia del settore forestale che di quello spiccatamente ambientale. Particolare rilevanza viene inoltre riservata agli interventi trasversali relativi alle misure per la conoscenza e l’innovazione“.

E già si snocciolano numeri: per raggiungere gli obiettivi, è stata proposta l’attivazione di 11 Misure; quasi il 41% della superficie agricola provinciale sarà interessata da interventi per una migliore gestione del suolo e alla prevenzione dell’erosione, mentre per il 38% per il sostegno alla biodiversità.

Le aziende che otterranno un sostegno per interventi di ristrutturazione e ammodernamento saranno 1100, mentre 300 giovani agricoltori riceveranno il contributo per il primo insediamento e quindi l’avviamento di una nuova attività.

Un buon inizio, volto a potenziare la redditività e la competitività del settore agricolo, preservando e valorizzando gli ecosistemi.

Fonti:

http://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2015/09/01/provincia-di-trento-ok-dall-ue-al-nuovo-psr/45245

http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Economia/sviluppo-rurale-2014-provincia-Trento-301-mln/03-08-2015/1-A_018876805.shtml

http://www.trentinoagricoltura.it/Trentino-Agricoltura/Sviluppo-Rurale-2014-2020/Programma