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FUORI CASA E TIPICITÀ, DUE LEVE PER IL MERCATO DEL BIO

FUORI CASA E TIPICITÀ, DUE LEVE PER IL MERCATO DEL BIO

Offerta locale, comunicazione e “away from home” sono le leve per mantenere il posizionamento del bio sul mercato interno e salvaguardare l’equilibrio con un’offerta destinata a crescere per l’effetto del Green deal. I riscontri dell’analisi di Nomisma

L’Italia, con oltre 2,3 milioni di ettari e la più alta percentuale di superficie bio sul totale (19% contro una media europea ferma al 12%), è ormai vicina all’obiettivo previsto dalla Strategia Farm to Fork per il 2030, cioè il 25% di superfici dedicate alle coltivazioni biologiche. Il mercato interno è cresciuto ancora nel corso del 2022 soprattutto in valore, mentre i volumi molto meno. Un fenomeno legato all’effetto inflazione che ha sollevato alcuni timori sulla possibilità di mantenere l’equilibrio tra domanda e offerta.

Sul fronte commerciale il bio ha però alcuni assi da giocare. Li ha individuati Silvia Zucconi, Chief Operating Officer di Nomisma, nella sua analisi per l’Osservatorio sana 2023 presentata in occasione di Rivoluzione Bio 2023, gli stati generali del biologico organizzati a Bologna Fiere in collaborazione con FederBio e AssoBio nel quadro del progetto Being Organic In Eu (ne abbiamo parlato qui).

Nomisma ha di recente pubblicato i risultati di quello studio (leggi qui).

Le dinamiche del primo semestre 2023

Emerge che sulle dinamiche del mercato interno sta incidendo soprattutto il traino dei consumi fuori casa (ristorazione commerciale e collettiva segnano un +18% rispetto al 2022), che risulta più vivace rispetto all’andamento dei consumi domestici (+7% in valore nell’anno terminante luglio 2023 rispetto all’anno precedente in cui si era registrata una leggera flessione).

Le vendite alimentari bio nel mercato interno (consumi domestici e fuori casa) hanno superato così i 5 miliardi di euro all’anno. «A trainare – spiega Zucconi- la crescita sono i consumi fuori casa che sfiorano 1,3 miliardi di euro». Una crescita da collegare soprattutto alla spinta inflazionistica dell’ultimo anno.

La Distribuzione Moderna rimane però il primo canale per gli acquisti di biologico e pesa per il 58% sul totale delle vendite legate ai consumi domestici.  Iper e supermercati sono i canali che, all’interno di questo canale, veicolano la maggior parte delle vendite bio: hanno infatti superato 1,5 miliardi di euro nell’anno Terminante a luglio 2023 (Fonte: NielsenIQ). Seguono per valori delle vendite i Discount e i Liberi Servizi.

Le preferenze dei consumatori: chi acquista sceglie in base all’origine

I risultati della consumer survey Nomisma, sviluppata su un campione rappresentativo di responsabili degli acquisti alimentari italiani, hanno mostrato come la consumer base di prodotti bio sia rimasta costante rispetto allo scorso anno: l’89% della popolazione di età compresa tra i 18 e i 65 anni ha acquistato consapevolmente almeno un prodotto alimentare bio nell’ultimo anno.

Chi compra bio sceglie principalmente in base all’origine, con preferenza verso prodotti bio 100% italiani,  per quelli di origine locale/km 0 e quelli a marchio Dop/Igp.

Anche la marca gioca da sempre un ruolo fondamentale nella scelta dei prodotti bio da mettere nel carrello, con orientamento verso la marca industriale e per quella del supermercato.

Bio e sostenibilità: il collegamento è sempre più stretto, ma attenzione al greenwashing

Ma perché il consumatore acquista prodotti bio? Innanzitutto perché li ritiene più sicuri per la salute rispetto a un prodotto convenzionale, ma anche perché sono sostenibili: quasi 1/4 degli intervistati li considera più rispettosi dell’ambiente; il 10% del benessere animale e un ulteriore 10% fa riferimento alla sostenibilità sociale e intende aiutare i piccoli produttori.

Il framework delle scelte di consumo -commenta Zucconi – conferma l’interesse nei confronti della sostenibilità per i prodotti agroalimentari: il consumatore da un lato è preoccupato per l’emergenza ambientale e i cambiamenti climatici, dall’altro valuta la sostenibilità di un prodotto attraverso la provenienza, ricercando prodotti italiani e locali o le caratteristiche del packaging.

A questi fattori si affiancano anche valutazioni collegate alla presenza di certificazioni bio/equo solidali che consentono l’identificazione della sostenibilità di un prodotto. A questo proposito, Nomisma rileva che una quota significativa degli acquirenti risulta confuso dalla presenza di molti green claim in etichetta, che non permettono di decifrare l’effettivo profilo di sostenibilità di un prodotto alimentare. Sono tutti dati a conferma dell’importanza della proposta di Direttiva Green Claims della Commissione Europea volta a combattere le pratiche di greenwashing e a regolare in modo chiaro tutte le auto dichiarazioni volontarie riguardanti gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali di un prodotto». «Alle aziende si chiede di fornire prove scientifiche sulla veridicità delle dichiarazioni green, prendendo in esame l’intero ciclo di vita del prodotto»”.

La conquista del “fuori casa”

Offerta, comunicazione e “away from home” sono le leve per mantenere il posizionamento del bio sul mercato interno. Se si analizza il livello di soddisfazione per l’offerta di prodotti bio, emergono infatti aree di miglioramento soprattutto per quanto riguarda la categoria dei prodotti BIO gourmet / premium (linee di prodotti di alta qualità con prezzi più alti), quella dei prodotti BIO pronti da mangiare /ready to eat e, in generale, la presenza di offerte/promozioni.

Migliorabile è considerata anche l’offerta nel canale fuori casa: ad oggi circa 7 italiani su 10 hanno consumato pasti con alimenti/bevande biologiche o ingredienti biologici fuori casa, ma più della metà delle famiglie vorrebbe trovare più piatti/ricette bio nelle mense ospedaliere, aziendali e scolastiche, ma anche bar e ristoranti.

«La promozione di efficaci azioni di informazione verso i consumatori con l’obiettivo di rafforzare conoscenze e consapevolezza sui valori del biologico e sulle garanzie sottostanti la certificazione è un aspetto determinante per l’affermazione ulteriore del settore. Così come il consolidamento del posizionamento distintivo del bio come modello agricolo in grado di rafforzare la transizione ecologica e contrastare il progressivo cambiamento climatico».

Dal sondaggio di Nomisma emerge che ben 9 consumatori su 10 non hanno sufficienti informazioni o vorrebbero saperne di più riguardo le innovazioni e le tecnologie impiegate nel bio, sui controlli a cui sono sottoposti i prodotti biologici e sul contributo del metodo biologico alla sostenibilità. Gli italiani mostrano di avere le idee molto chiare sulle indicazioni che vorrebbero ricevere, in particolare relativamente alla distintività del biologico rispetto al convenzionale, ai benefici apportati dal bio a dieta e salute e alla tracciabilità dei prodotti bio.

Un ulteriore punto fermo per mantenere il posizionamento del bio sul mercato interno ed estero è rappresentato dalla garanzia della provenienza italiana delle materie prime. Per la maggioranza degli italiani è importante trovare prodotti alimentari biologici realizzati con materie prime 100% Made in Italy, ma vorrebbe anche che i prodotti BIO avessero un logo che certifichi la provenienza italiana degli ingredienti. «L’interesse del consumatore per il biologico – sostiene Zucconi – è confermato, ma l’attuale contesto economico, i consumi in forte revisione per lo scenario inflattivo e gli stili di vita e alimentari in continuo mutamento rappresentano fattori di condizionamento del mercato, dove la crescita a valore è confermata ma a fronte di un rallentamento dei volumi venduti. È dunque fondamentale promuovere efficaci azioni di informazione verso i consumatori».

IL BIO CRESCE NEI CONSUMI FUORI CASA

IL BIO CRESCE NEI CONSUMI FUORI CASA

Secondo le indagini Ismea il 50% dei bar e il 70% dei ristoranti propone prodotti certificati

Bio meglio fuori casa che in casa. Mentre i consumi domestici dei prodotti bio segnano per la prima volta una leggera flessione, si scopre, a sorpresa, che nell’ultimo anno oltre il 50% dei bar italiani e quasi il 70% dei ristoranti hanno proposto o impiegato nelle proprie preparazioni culinarie cibi, bevande e materie prime biologiche.

Questo al fine di garantire ai propri clienti una scelta più ampia, servire cibo più salutare e qualificare la propria offerta.

I dati emergono da un’indagine Ismea realizzata in collaborazione con Fipe e Assobio e presentata lo scorso 26 maggio in occasione del convegno “Il biologico nella ristorazione commerciale”.

L’analisi, condotta nei mesi di settembre e ottobre 2022 su un campione rappresentativo di bar e ristoranti nazionali, ha raccolto oltre 2.000 interviste telefoniche ed è – come spiega Fabio Del Bravo, responsabile della direzione servizi per lo sviluppo rurale di Ismea – «La prima di questo genere, che ci ha dato però l’opportunità di allargare il nostro sguardo anche al fuori casa».

«Si tratta di un filone di indagine estremamente interessante, da approfondire periodicamente, perché’ il monitoraggio dell’horeca, anche su aspetti di natura prettamente qualitativa, può fornire, preziosi elementi per orientare le scelte della politica e della filiera».

I dati emersi

Entrando nel dettaglio dell’indagine – presentata da Antonella Giuliano dell’ismea -, dei circa 111 mila bar attivi sul territorio italiano, uno su due ha in parte orientato la propria offerta verso referenze ottenute con metodo biologico, con un’incidenza più elevata nei punti vendita delle città del Centro e Nord Italia e con un numero di addetti superiore a 6.

Mediamente quasi il 20% di alimenti e bevande proposti da questi esercizi è costituito da prodotti bio, con una rappresentatività maggiore per quanto riguarda la frutta, il latte e il vino.

La colazione e l’aperitivo sono stati indicati dagli operatori come le occasioni di consumo più adatte all’inserimento di proposte bio, mentre sul fronte di prezzi, il prodotto biologico viene venduto a quasi il 15% in più rispetto all’omologo convenzionale, a causa dei più alti costi per l’approvvigionamento. dal lato ristorazione.

I dati mostrano un’elevata penetrazione dei prodotti biologici che trovano impiego nei due terzi degli oltre 157 mila ristoranti attivi in Italia.

Percentuali ancora superiori si rilevano al Centro Italia (oltre il 76%) e nel Nord-Ovest (69%), con un progressivo aumento dell’incidenza al crescere del numero degli addetti (dal 60% nei ristoranti con un solo addetto all’81% di quelli con un numero superiore a 49 addetti).

All’interno di questi esercizi, il bio rappresenta oltre il 30% del valore degli acquisti, con punte del 42% nel caso delle verdure e del 34% dell’olio extravergine di oliva.

Differenziale di prezzo al 17%

Anche in questo caso il prodotto bio genera un sovrapprezzo di quasi il 17%, giustificato sempre da un surplus nei costi. contorni e antipasti sono i piatti in cui la presenza di prodotti biologici riesce ad essere più significativa, ma in linea generale, rivelano i ristoratori intervistati, in quasi tutte le portate il biologico riesce ad essere impiegato nel migliore dei modi.

Riguardo alle prospettive dei prossimi due anni, oltre l’80% di ristoranti e quasi la totalità dei bar intervistati dichiara di essere intenzionato a confermare l’attuale politica di acquisto di prodotti bio in termini quantitativi.

Tra i primi il 13,5% potrebbe anche prendere in considerazione, nel lungo periodo, la scelta di diventare un locale esclusivamente biologico, quota che nel caso dei bar si riduce al 6%.

La presentazione dell’indagine è stata l’occasione per dibattere sulle potenzialità e le opportunità offerte dalla ristorazione per lo sviluppo dell’agricoltura biologica, obiettivo fissato dalle politiche europee e nazionali, e della necessaria crescita dei consumi per dare sbocco alle produzioni.

L’agenzia Agrapress ha riportato gli interventi di Pietro Gasparri (masaf), Roberto Zanoni (assobio), Michele Manelli (Salcheto srl), Massimo Lorenzoni (Biotobio srl), Daniela Gazzini (Vivi Bistrot), Luciano Sbraga (Fipe-Confcommercio), Maria Grazia Mammuccini (Federbio).

Un marketing più creativo

È emersa l’esigenza di comunicare al pubblico in modo nuovo il mondo biologico, con idee più creative e veicolate utilizzando molto i social.

Canali di comunicazione devono essere creati anche per informare e formare il mondo della ristorazione, oltre che per ricevere informazioni su gusti e tendenze dei consumatori. inoltre, occorre potenziare la distribuzione per rendere disponibili con continuità i prodotti bio, al fine di migliorare l’offerta della ristorazione, specie per quanto riguarda le carni, ma anche creare alleanze e un’interprofessione che dibatta i temi e presenti le istanze dell’intera filiera ai decisori.

Da parte sua, la ristorazione può svolgere un ruolo attivo nella creazione di tendenze di consumo fuori casa che possono poi trasferirsi nelle abitudini di consumo domestiche.

La presentazione dell’indagine ismea è stato uno dei numerosi appuntamenti del calendario de “La settimana del bio”, prima edizione di un’iniziativa annuale promossa da Assobio che, con finalità di valorizzazione e informazione sul biologico, coinvolge produttori, gdo e le altre associazioni del comparto.

SUL MERCATO DEL BIOLOGICO IL NODO DELLA STRETTA INFLATTIVA

SUL MERCATO DEL BIOLOGICO IL NODO DELLA STRETTA INFLATTIVA

Gli acquisti alimentari bio segnano il passo registrando solo un +0,5% nel 2022. Lo rileva il Report annuale di Ismea. Così cala a 3,6 la quota bio ogni 100 euro di spesa degli italiani (era il 3,9 nel 2021 ). Referenze zootecniche in controtendenza

Gli acquisti dei prodotti alimentari biologici segnano il passo nel 2022, spuntando una crescita dello 0,5%, inferiore alle aspettative soprattutto in un contesto fortemente inflattivo dove la crescita dei prezzi è stata del 9,1%. È quanto rileva Ismea nel report “Biologico: gli acquisti alimentari delle famiglie(clicca per scaricare il rapporto), dopo aver ceduto il 4,6% nel 2021.

«È la prima volta – evidenzia Ismea – che il biologico diverge in negativo dall’andamento complessivo del settore, con la spesa complessiva dell’agroalimentare salita del 6,4%». Per effetto di queste dinamiche, segnala il report, si riduce l’incidenza del biologico sul totale della spesa agroalimentare: con 3,66 miliardi di fatturato nel canale domestico nel 2022, il peso del bio scende al 3,6% contro il 3,9% del 2021.

Dieta vegana addio

L’analisi per categorie evidenzia ancora una crescita delle vendite nei comparti zootecnici, con carni (+3,7%), salumi (+3,6%), latte e derivati (+5,3%), ittico (+3,1%). Al contrario, cedono i comparti più rappresentativi come frutta (-2%), ortaggi (-0,8%) pasta e derivati dei cereali (-3,4%), in controtendenza rispetto all’andamento delle omologhe categorie convenzionali.

Cala anche il vino

Frena del 3,7% anche il vino bio, in un contesto di generale contrazione della Gdo (-1,6%). Quanto alla distribuzione geografica degli acquisti, oltre il 60% delle vendite bio sono concentrate nel Nord, anche se i segnali più incoraggianti si registrano nell’Italia centrale (+2,8%). In riferimento ai canali di acquisto, il supermercato resta sul podio anche se con fatturati in leggero calo (-0,2%); cresce il discount con vendite pari a 300 milioni di euro (+16%). Continuano a perdere i negozi specializzati con vendite di 55 milioni e uno share in calo dal 25 % del 2021 al 23% del 2022.

L’ANELLO DEBOLE DEI CONSUMI FUORI CASA PENALIZZA IL BIO

L’ANELLO DEBOLE DEI CONSUMI FUORI CASA PENALIZZA IL BIO

Al Convegno di apertura di B/Open emerge il ruolo marginale di ristoranti, bar e hotel nella crescita del bio. Un sondaggio dell’app The Fork mostra però la forte sensibilità del canale on trade nei confronti della sostenibilità. Il sottosegretario D’Eramo «Il Governo è favorevole ad azioni di promozione che valorizzino questo canale di consumo del bio»

«Sono qui per confermare la grande attenzione del Governo nei confronti del biologico, un comparto che vogliamo sostenere all’interno di un Piano d’azione che stiamo elaborando con il contributo di tutte le associazioni che rappresentano le diverse espressioni di questo settore».

Lo ha chiarito il sottosegretario Luigi D’Eramo in occasione del talk show di apertura di B/Open, la manifestazione dedicata al biologico certificato. L’edizione 2023 si è tenuta alla Fiera di Verona all’interno dei padiglioni dedicati a Sol&Agrifood, in concomitanza con la 55a edizione di Vinitaly.

Sinergie per la sostenibilità a VeronaFiere

Il workshop era dedicato al tema de “La crescita del biologico e i consumi fuori casa: sinergie per la sostenibilità”, con gli interventi di Riccardo Cozzo, presidente di Assocertbio (Associazione degli Organismi di Certificazione del Biologico); Valentina Quattro, Industry Relations Director Italia e Spagna di “TheFork”, la più affermata app di prenotazione di ristoranti; Riccardo Uleri,  amministratore delegato di Longino & Cardenal, affermata società di distribuzione di prodotti agroalimentari  nel canale Ho.RE.Ca.

Nel corso dell’evento hanno portato i loro saluti Sergio Rossi, Chief Executive Officer di Fierecom & Events e Antonella Capriotti, project manager di Veronafiere. Presente anche Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute.

L’impegno del 25% entro il 2027

D’Eramo ha confermato che il Governo intende rispettare l’ambizioso obiettivo di portare il biologico europeo al 25% di superficie agricola entro il 2027, anticipando così di tre anni la Farm to Fork europea. Ma anche di favorire l’equilibrio tra domanda e offerta, per una crescita armoniosa del mercato del bio, e per questo sta collezionando, con una serie di incontri ufficiali vis a vis, le diverse proposte delle organizzazioni del settore. Tra le quali quella di promuovere i consumi attraverso azioni di promozione nel canale dei consumi fuori casa (ristoranti, bar, hotel).

Lo scarso apporto dell’Horeca

Veniamo infatti da un periodo particolare, che ha messo in evidenza una tendenza contrastante per il bio: quando siamo stati costretti a incrementare i consumi casalinghi a causa del lockdown pandemico, il bio ha manifestato un deciso trend di crescita. Quando è tornato forte il canale on-trade, il bio ha iniziato a rallentare. Come mai? Emerge con tutta evidenza il basso utilizzo di ingredienti biologici nel settore Horeca, eppure il ruolo e la responsabilità di bar e ristoranti riguardo alla diffusione di uno stile di consumo più sostenibile è fondamentale. Con quali strumenti possono essere stimolati?

Secondo Riccardo Uleri la ristorazione è attenta alla sostenibilità ma fatica a trovare ingredienti bio e soprattutto a indicarli nei menù «per non screditare gli altri piatti». Anche la certificazione, secondo Uleri, rappresenterebbe un vincolo a cui la ristorazione preferisce slegarsi per contenere i costi in un periodo di forte crisi inflattiva.

Gli ingredienti bio siano evidenziati nei menù

Argomenti a cui si è fortemente opposto Riccardo Cozzo, che ha ricordato che il settore della ristorazione non è sottoposto al vincolo della certificazione e che l’indicazione nei menù di ingredienti biologici potrebbe costituire un forte elemento di valorizzazione per gli esercizi che facessero uso. Una chance da promuovere e stimolare.

Dello stesso avviso Sergio Rossi, organizzatore di B/Open, che ha ricordato che le stesse obiezioni erano state avanzate, agli esordi del biologico, dal settore della produzione e trasformazione, superati poi dall’evoluzione del mercato.

Ristoratori sensibili alla sostenibilità

In realtà il rapporto tra ristoratori, biologico e sostenibilità è più complesso ed è stato messo in luce dalla survey presentata a Verona da Valentina Quattro di The Fork. Si tratta della piattaforma leader nella prenotazione online dei ristoranti, nata nel 2007 ed entrata nel 2014 nell’orbita di Tripadvisors detiene l’esclusività delle prenotazioni dei ristoranti stellati Michelin e oggi è presente in 12 paesi.

Dal sondaggio “Dalla terra alla forchetta” su un campione di 2.465 ristoratori e utenti in tutta Italia, realizzato nel mese di marzo, è emerso il forte approccio alla sostenibilità sia sul lato B2B che B2C.

In particolare:

  • l’86% dei ristoranti ha fatto scelte attente alla sostenibilità negli ultimi 2 anni;
  • l’85% dei ristoranti utilizza più del 25% di materie prime di provenienza locale,
  • il 65% propone almeno un pasto vegetariano;
  • il 22% a km zero;
  • solo il 2% mette in evidenza il bio;
  • anche se la maggior parte (46%) dichiara di acquistare più del 20% di prodotti con certificazione biologica (il  67% lo fa per la qualità; il 44% per la filosofia del ristorante);
  • Per il 61% dei ristoratori inflazione e aumento dei costi non hanno contribuito positivamente alla sostenibilità;
  • il 37% dichiara invece di spende il 10% in meno nei costi di gestione del ristorante dopo esser diventato più ecosostenibile.

Le richieste dei clienti

Sul lato degli utenti:

  • il 56% è propenso a scegliere ristoranti che adottano pratiche sostenibili;
  • l’83% ritiene che la sostenibilità dipenda dalle materie prime utilizzate nei piatti (83%);
  • il 44% dal recupero e riutilizzo del cibo avanzato;
  • il 39% è disposto a premiare i ristoratori attenti all’ambiente;
  • I ristoranti che utilizzano prodotti a km zero sono di gran lunga i più prenotati (64%) seguiti dai ristoranti bio (12%)

 

CRESCONO SUPERFICI E OPERATORI, FRENA IL CONSUMO

CRESCONO SUPERFICI E OPERATORI, FRENA IL CONSUMO

I dati Sinab relativi al 2021 presentati al Sana mostrano un aumento del 4,4% delle superfici e del 5,4 degli operatori. La crisi inflattiva innesca però la frenata dei consumi soprattutto nei negozi specializzati. In crescita mercatini e hard discount

Escono i dati ufficiali del bio aggiornati al 31 dicembre 2021 elaborati dal Sinab. Li ha presentati Pietro Gasparri, dirigente Mipaaf dell’Ufficio per l’Agricoltura biologica e sistemi di qualità alimentare nazionale e affari generali, in occasione della 34a edizione del Sana di Bologna.

Arrivano così a 86mila gli operatori e a 2.186.570 gli ettari del biologico italiano (17,4% della Sau italiana). Pari a una crescita annuale del +4,4% (+96,3% in 11 anni) per le superfici e +5,4% (+80,7) per gli operatori.

Il confronto europeo

Un ritmo che non tiene però il passo della crescita registrata in Germania e Francia dove le superfici crescono rispettivamente del 9 e 5,9%. Riguardo al numero di operatori fa meglio solo la Francia (+9,7). I dati strutturali premiano il biologico, visto che la superficie media di un’azienda biologica italiana è di 28,8 ha (poco più di 11 ha nel convenzionale). Ancora più estese le realtà bio europee: (Spagna 54,8 ha; Germania 49,6; Francia 47,5).

Le regioni più biologiche sono Sicilia, Puglia, Toscana, Calabria ed Emilia-Romagna che nel loro insieme contano per il 55,3% delle superfici bio nazionali.

Mandrie bio

Riguardo alla zootecnia bio l’aggiornamento Sinab registra una crescita del 20,6% del settore avicolo; +13% per l’apicoltura, +3% per i bovini; mentre gli ovicaprini scendono del 6% circa. L’incidenza degli animali bio sul totale della zootecnia vede in testa i caprini (9,4%) seguiti da ovini (8,6%), bovini (7%), pollame (4,8%) e suini (0,7%).

Produzione ed import

Il valore alla produzione complessivo del biologico nazionale è di 3,96 miliardi di euro, in crescita dell’11% rispetto al 2020 e del, 7,3% rispetto al 2019. Vite e seminativi biologici crescono in maniera continuativa da oltre un triennio. Le colture permanenti perdono invece valore nonostante l’aumento delle superfici in conseguenza delle basse rese produttive del 2020 e 2021. A fronte di questi dati le importazioni di biologico in Italia si sono concentrate su cereali (54.113 tonnellate), frutta fresca e secca (40.940) e colture industriali (35.518).

Consumi in frenata

Le note più negative, e si sapeva, vengono dal mercato interno. La crisi inflattiva colpisce infatti anche la domanda agroalimentare e i prodotti più colpiti sono quelli di alta qualità. Per questo il consumo di biologico  si attesta nel 2021 di 3,38 miliardi di euro, in flessione del 4,6% rispetto al 2020 (ma la crescita è del 4,5% se facciamo il confronto col 2019, anno prepandemico). Purtroppo nel periodo gennaio-maggio di quest’anno si è assistito a un ulteriore calo dei consumi dell’1,9% mentre da giugno si registra una ripresa.

Il carrello della spesa

La composizione del carrello della spesa è rimasta inalterata rispetto al 2020. L’ortofrutta bio si attesta sul 9,3% del totale. Nel carrello la spesa dell’ortofrutta è quella merceologicamente più rappresentata  (46,1% nel bio contro il 20% del convenzionale). Crescono i vini (+5,7%) e le carni (+13%) che però hanno una bassa incidenza rispetto alle corrispettive categorie dell’agroalimentare convenzionale.

La crescita dell’hard discount

Per quanto riguarda i canali di vendita la grande distribuzione, anche se in leggera flessione, si conferma il canale più importante di vendita per il bio, mentre i negozi specializzati subiscono un importante rallentamento pur mantenendo un peso fondamentale per il settore. Una frenata equilibrata dalle performance positive dei mercatini e dell’hard discount che rappresentano l’unico canale di vendita che cresce a doppia cifra anche nel 2021. Mancano le rilevazioni della vendita diretta e del canale Horeca.

LA SFIDA DELLA RIVITALIZZAZIONE DEL BIO

LA SFIDA DELLA RIVITALIZZAZIONE DEL BIO

Biologico a due velocità: crescono le superfici ma calano i consumi. Sono le tendenze emerse a Roma nell’evento promosso da Mipaaf, Ismea e Ciheam. Ma secondo l’economista Alberto Mattiacci non c’è da temere: il bio rappresenta ancora la risposta più solida e convincente per la richiesta di “identità” del cittadino consumatore

Biologico a due velocità in Italia. Prosegue la crescita delle superfici coltivate (2,2 milioni di ettari a fine 2021) e del numero di operatori coinvolti (oltre il 5% rispetto al 2020), ma calano – per la prima volta – i consumi, come probabile riflesso alla perdita di potere d’acquisto delle famiglie aggravata dalla spinta inflazionistica degli ultimi mesi.

L’evento romano

Questa l’istantanea scattata durante il convegno sulle prospettive del settore organizzato lo scorso 6 luglio da Ismea a Roma. Un evento organizzato da Mipaaf, Ismea e Ciheam Bari (vedi QUI il programma) con la presenza di Angelo Frascarelli e Fabio Del Bravo di Ismea; Francesco Battistoni, sottosegretario alle Politiche agricole con delega al biologico, le relazioni di Del Bravo sulla struttura produttiva e il mercato del biologico in Italia (il documento si può scaricare QUI); il punto sull’evoluzione normativa del settore fatto da Pietro Gasparri del Mipaaf; l’interessante analisi di Alberto Mattiacci, Ordinario di economia e gestione d’impresa alla Sapienza di Roma. La tavola rotonda con i rappresentanti delle associazioni di categoria è stato moderato dal giornalista Gianni Convertini.

La flessione della domanda

Affrontiamo subito le note dolenti, ovvero la flessione sul fronte della domanda. Dopo l’ottima performance del 2020 (+9,5%), sostenuta da una maggiore propensione delle famiglie italiane all’acquisto di alimenti genuini e salutari nel periodo del primo confinamento domiciliare indotto dal lockdown, lo scorso anno il valore della spesa si è infatti contratto del 4,6%, portandosi a 3,38 miliardi di euro, anche se è rimasta invariata l’incidenza del bio sul totale degli acquisti agroalimentari (3,9%).

Le evidenze sui primi 5 mesi del 2022, limitate ai soli acquisti presso la Gdo, evidenziano un’ulteriore riduzione dell’1,9% su base annua, peraltro in un contesto di generalizzata crescita dei prezzi. A preoccupare, in questo caso, è il confronto con l’agroalimentare convenzionale che segna nello stesso periodo un incoraggiante +1,8%.

Un nuovo livello di consapevolezza

C’è da preoccuparsi? Non secondo l’analisi di Alberto Mattiacci che, nella relazione “il bio fra vecchi atteggiamenti e nuove sensibilità”, ha messo in evidenza il progresso irreversibile del passaggio dalla società post-industriale a quella digitale che ha trasmesso un nuovo livello di consapevolezza al cittadino- consumatore non più disposto a rinunciare alla propria affermazione come persona anche nelle scelte d’acquisto.

Una nicchia affollata

Scelte che convergono sul messaggio portato avanti dal bio, che continua a rappresentare una “nicchia contesa”, con un messaggio e un’identità chiara, una promessa di valore a cui viene riconosciuto un prezzo premium. Una nicchia un po’ affollata a dire il vero a causa dell’affiancamento di una pletora di marchi e definizioni (km0, sostenibile, naturale, vegano, senza-qualcosa, equo e solidale, ecc) che insistono sullo stesso segmento distraendo l’attenzione del consumatore.

Il ritorno alla semplicità

La soluzione è, secondo il docente di marketing, il ritorno alla semplicità e alla trasparenza del messaggio, rappresentando la solidità senza uguali dei vantaggi assicurati da questa categoria di prodotti per vincere la sfida della “rivitalizzazione” del bio.

Una sfida da vincere innanzitutto nel nome della coerenza di scelte politiche come il “green deal”, un pacchetto di iniziative che vedono nello sviluppo dell’agricoltura biologica uno dei cardini della transizione green in agricoltura. Indirizzi che sono stati richiesti, anzi pretesi, solo pochi anni fa proprio dai cittadini-consumatori europei.