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RIPRISTINO DELLA NATURA, IL CONSIGLIO UE APPROVA DOPO MESI DI STALLO

RIPRISTINO DELLA NATURA, IL CONSIGLIO UE APPROVA DOPO MESI DI STALLO

Contro ogni pronostico post-elettorale, la nuova legislazione europea passa a maggioranza. Ogni Stato membro dovrà elaborare piani nazionali per il ristoro del 20% degli ecosistemi terrestri e marini degradati entro il 2030 por poi passare al 90% entro il 2050

Ripristino della natura: dopo il voto positivo dell’EuroParlamento dello scorso febbraio (leggi qui) arriva anche l’inatteso via libera del Consiglio Ue. Nella riunione che si è tenuta in Lussemburgo lo scorso 17 giugno il cambio di posizione dell’ultimo minuto da parte dell’Austria, annunciato dal ministro dell’ambiente di Vienna Leonore Gewessler, ha ribaltato l’esito della votazione segnando l’ultimo passo per uno dei dossier più dibattuti del Green Deal.

Anche la Slovacchia, che in precedenza aveva espresso pubblicamente dubbi sulla proposta, ha sostenuto il testo durante il voto cruciale, consentendo alla legge di passare con una maggioranza risicata di 20 paesi che rappresentano il 66% della popolazione dell’Ue (la soglia per l’approvazione a maggioranza qualificata in seno al Consiglio è del 65%).

L’opposizione dell’Italia

L’Italia si è opposta a lungo al testo e l’ex ministro Gian Marco Centinaio ha commentato, all’indomani del voto, che il Consiglio non ha voluto tenere conto della chiara indicazione emersa dalle elezioni europee.

In Parlamento, la legislazione ha infatti incontrato una significativa opposizione da parte del Partito popolare europeo (PPE) di centro-destra, che ha sollevato preoccupazioni per l’impatto sul settore agricolo dell’UE, un’opposizione successivamente alimentata dalle proteste agricole di inizio anno.

Il regolamento pionieristico fissa obiettivi giuridicamente vincolanti per ripristinare il 20% degli ecosistemi terrestri e marini degradati dell’UE entro il 2030 e tutti gli ecosistemi entro il 2050.

Per raggiungere questi obiettivi, i paesi dell’UE devono sottoporre alla Commissione appositi progetti di piani nazionali per ripristinare almeno il 30% degli habitat naturali in situazione di degrado entro il 2030, come foreste, praterie, zone umide, fiumi e laghi, e il 90% entro il 2050. Gli Stati membri devono inoltre garantire che tali aree non si deteriorino una volta ripristinate.

Vincoli annacquati per l’agricoltura

Tuttavia, il testo finale ha annacquato molti dei requisiti per il settore agricolo, in particolare introducendo un “freno di emergenza” in modo che gli obiettivi che interessano l’agricoltura possano essere sospesi “in circostanze eccezionali” che minacciano la sicurezza alimentare.

La legge entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE.

UNA PROPOSTA DI LEGGE CONTRO GLI ALLEVAMENTI INTENSIVI

UNA PROPOSTA DI LEGGE CONTRO GLI ALLEVAMENTI INTENSIVI

L’iniziativa presentata a Roma da Greenpeace, Wwf, Lipu e altre Ong

Una proposta di legge contro gli allevamenti intensivi è stata presentata il 20 febbraio in una conferenza stampa alla Camera dalle associazioni ambientaliste Greenpeace Italia, Isde – Medici per l’ambiente, Lipu, Terra! e Wwf Italia.

Abbassare la pressione ecologica della zootecnia

Le associazioni hanno illustrato il testo della proposta di legge dal titolo “Oltre gli allevamenti intensivi. Per una transizione agro-ecologica della zootecnia”. La proposta di legge intende favorire le piccole aziende agricole zootecniche, incoraggiando la transizione ecologica di quelle grandi e medie attraverso un piano di riconversione del sistema zootecnico italiano finanziato con un fondo dedicato e prevedendo nell’immediato una moratoria all’apertura di nuovi allevamenti intensivi e all’aumento del numero di animali allevati in quelli già esistenti.

Un freno ai mai-allevamenti

L’obiettivo, spiegano le associazioni proponenti, è promuovere la transizione ecologica del settore zootecnico, riconoscendo il giusto prezzo ai piccoli produttori e garantendo ai consumatori l’accesso a cibi sani e di qualità, secondo i valori positivi del “Made in Italy”. Una transizione che richiede una riduzione dei consumi di carne e di prodotti di origine animale provenienti da allevamenti intensivi, considerando che il consumo medio di carne in Italia è superiore a quello consigliato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il cambiamento, sottolineano, non può che partire da un freno all’ulteriore espansione dei maxi-allevamenti intensivi, specie nelle zone che già subiscono le conseguenze ambientali e sanitarie di un eccessivo carico zootecnico.

DIGESTATO, NUOVE LINEE GUIDA PER IL BIO

DIGESTATO, NUOVE LINEE GUIDA PER IL BIO

Da sottoprodotto della produzione di biogas a elemento decisivo per l’economia circolare

Sono state presentate da Cib (Consorzio italiano biogas) e da Federbio in occasione della 116a edizione di Fieragricola a Verona le nuove linee guida per l’uso del digestato agricolo in agricoltura biologica. L’obiettivo è quello di arricchire il terreno di nutrienti e di sostanza organica stabile attraverso la fertilizzazione organica, sostituendo i concimi di sintesi per ottenere benefici ambientali. Le linee guida sono il risultato di un lavoro tecnico che ha richiesto sei anni di elaborazione dopo la prima edizione del documento.

Vantaggi ecologici ed economici

A favore dell’uso del digestato agricolo giocano anche considerazioni economiche. Secondo il Cib le aziende agricole che lo usano hanno infatti ridotto i costi colturali di circa il 10-15% e hanno accresciuto la sostenibilità delle loro produzioni, con un beneficio ambientale tutt’altro che trascurabile.

Economia circolare

Secondo Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio: «L’utilizzo di un efficace biofertilizzante come il digestato agricolo, che restituisce sostanza organica al terreno, rappresenta una valida alternativa per una gestione agronomica sostenibile all’interno di un approccio di economia circolare».

L’AGRICOLTURA SOSTENIBILE CREA VALORE: UN LIBRO LO RACCONTA

L’AGRICOLTURA SOSTENIBILE CREA VALORE: UN LIBRO LO RACCONTA

L’agroecologia è ormai un’esperienza diffusa, capace di creare reddito, legami e collaborazioni. Per questa ragione Legambiente ha scelto di dedicare all’argomento il rapporto “Ambiente Italia 2021”: all’interno, dati e alcune storie, approfondite poi in un libro.

Se esisteva un’epoca in cui l’agricoltura sostenibile, rispettosa dell’ambiente circostante, era un sogno di alcuni, ben poco raggiungibile; nella contemporaneità la situazione è cambiata. Si tratta di una realtà diffusa, di un settore in crescita e funzionante.

Le testimonianze di chi è andato fino in fondo a questo tipo di progetto, raccontano come, chi investe  in agricoltura sostenibile, riesce a mangiarci e a trasformare la qualità dei prodotti, avendo cura della natura dalla quale provengono.

L’iniziativa di Legambiente

Per questa ragione, Legambiente, ha deciso di dedicare il rapporto “Ambiente Italia 2021” proprio al tema dell’agroecologia; trasformandolo in una pubblicazione intitolata: “Agroecologia circolare – Dal campo alla tavola. Coltivare biodiversità e innovazione.

Il testo, a cura di Angelo Gentili e Giorgio Zampetti, esamina l’urgenza di una normativa che stabilizzi, a livello nazionale ed europeo, un modo di praticare l’agricoltura generatore di valore.

L’agricoltura sostenibile crea lavoro, attira giovani appassionati e qualificati e li riunisce perché accomunati da valori simili. Lo stesso vale per le aziende, i comuni, le reti e i consorzi. Si aggregano, diventando così più efficaci e potendo rivendicare un maggiore potere contrattuale. È il caso dei bio-distretti.

I contenuti del testo

Il libro analizza la realtà attuale e propone percorsi possibili. Passa in rassegna le politiche attualmente in atto nel settore e il ruolo dell’agricoltura, nell’affrontare e determinare soluzioni, nei confronti della crisi climatica.

Scorrendo le pagine inoltre, scopriamo il susseguirsi di storie: di chi ha investito e continua a farlocon aziende piccole o grandi -, nell’agricoltura biologica e sostenibile.

Vi è la vicenda di Valentina Capone, apicultrice originaria di Amatrice. Quella dell’azienda Canetti, nella provincia di Ferrara, dove crescono rigogliose le barbabietole. Vi è il racconto dell’olio dei fratelli Franci, in Val d’Orcia e quello dei melograni della Kore, in Sicilia, unito a tantissimi altri.

Numerose e differenti sono le realtà che hanno dato fiducia a questa modalità di produzione e che, a parer nostro, hanno fatto bene.

 

Fonte: Repubblica

CONVERSIONE ECOLOGICA: L’IMPATTO DEL PACKAGING SOSTENIBILE

CONVERSIONE ECOLOGICA: L’IMPATTO DEL PACKAGING SOSTENIBILE

Tra le scelte che le aziende produttrici di beni stanno affrontando, vi è senz’altro quella riguardante i rivestimenti di protezione dei loro prodotti, ovvero gli imballaggi.

Questo cambio di paradigma nasce dall’accentuarsi di minacce come il cambiamento climatico, l’inquinamento da plastica e lo smaltimento rifiuti, che non solo ha destato la sensibilità di consumatori e industrie, ma ha generato una vera e propria conversione ecologica, tale da condizionare nelle imprese, le scelte legate al packaging dei prodotti e favorire un direzionamento verso quelli ecologici o riciclabili.

Se dal punto di vista pratico, l’imballaggio è l’involucro che protegge e riveste il prodotto fino al suo utilizzo, dal punto di vista estetico questo è un’arma di marketing convincente nell’orientare il consumatore nella sua scelta.

Una nuova frontiera si è aperta: quella del packaging sostenibile. Un imballaggio composto da materie prime riciclate, minimale nel processo di produzione che comporta e in grado, attraverso il suo riutilizzo, di attivare un’economia di tipo circolare.

Ad oggi questo tipo di imballaggi è ancora poco diffuso, il 60% dei prodotti infatti, non presenta alcun riferimento rispetto al riutilizzo delle confezioni. Tuttavia è una direzione che si sta facendo spazio e che vedrà materiali di origine vegetale sempre più diffusi, con la possibilità di essere interamente riciclabili.

Sin Life in collaborazione con l’Osservatorio Packaging del largo consumo di Nomisma, ha rilevato all’interno di una ricerca conseguita, che la sostenibilità nei prodotti confezionati vale 6,5 miliardi di euro e che il rispetto per l’ambiente da parte di un’impresa, risulta essere un valore aggiunto a favore dell’acquisto, per il 36% degli italiani.

Secondo questo studio: nel 2019 solo il 21,5% delle aziende ha previsto di investire in tecnologie di tipo sostenibile, anche se il 13% ha investito in sistemi di economia circolare e il 56% delle imprese ha adottato comportamenti per ridurre l’impatto ambientale. Sempre nel 2019 l’utilizzo di imballaggi compostabili è arrivato a 101.000 tonnellate, comparate alle 39.250 dell’anno 2012.

Nell’anno 2020: gli italiani hanno investito in prodotti bio circa 3,3 miliardi di euro per un aumento del 4,4% rispetto all’anno precedente.

L’approccio verso una conversione ecologica si identifica sempre più come un perno centrale determinante nel mondo degli affari.

Una ricerca condotta da Nielsen rileva che il 48% dei consumatori è disposto a modificare le proprio abitudini di consumo al fine di produrre un impatto positivo sull’ambiente. E che le vendite di prodotti sostenibili negli Stati Uniti sono aumentate quasi del 20%, con un trand in costante ascesa.

Investire sull’utilizzo di packaging sostenibili e sulla stessa produzione di prodotti biologici, risulta ad oggi, la chiave di volta e successo per le imprese e l’ambiente che le circonda.

Fonte: B/Open Trade

LA SPESA PER L’AMBIENTE

LA SPESA PER L’AMBIENTE

Comprare del cibo è un atto ecologico!

Uno studio “Enhancing NDCS for food systems”, pubblicato dal Wwf, dall’Unep e da Climate Focus ha evidenziato come alcune semplici pratiche potrebbero portare ad una drastica riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera.

Il settore alimentare è tra le prime cause d’inquinamento, il 24% del totale. Proprio per questo va studiato e migliorato.

Secondo lo studio in esame il comparto, che insieme agli sprechi alimentari, al trasporto dei prodotti e alla gestione dei rifiuti, raggiunge il 37% del totale della CO2 immessa nell’atmosfera ha un ruolo fondamentale per il clima mondiale.

“I sistemi alimentari rappresentano un’opportunità di mitigazione trascurata ma con molti vantaggi. Eliminare il consumo eccessivo di carne, migliorare le strutture di stoccaggio e ridurre gli sprechi alimentari fa bene alla nostra salute e migliora la sicurezza alimentare. Con esempi concreti di attività e obiettivi, questo rapporto fornisce una guida ai responsabili politici per integrare i sistemi alimentari nelle loro strategie nazionali sul clima”, ha affermato Charlotte Streck, cofondatrice e direttrice di Climate Focus.

Da queste parole si evince il ruolo fondamentale dell’agricoltura, che vede nel modello biologico, la migliore delle proposte per abbattere le emissioni, grazie a minore energia utilizzata per le produzioni e metodi di coltivazioni con minori emissioni di CO2. I suoli coltivati con questa tecnica sono anche in grado di catturare molto più carbonio, riducendo così la concentrazione di anidride carbonica.

Altro punto da tenere in considerazione è la riduzione degli sprechi alimentari e l’inizio di diete più sostenibili che prediligono alimenti d’origine vegetale rispetto a quelli animali che porterebbero a un taglio di 4,5 Gt CO2 all’anno,.
A fronte di tutti questi numeri vi poniamo un semplice dato: se l’Europa raggiungesse la quota del 20% di terreni d’agricoltura biologica  avremmo un abbattimento di 92 milioni di tonnellate di CO2 (più delle totali emissioni annue dell’Austria).

 

Fonte: cambialaterra.it

Foto di Anonimo da Pixabay