Simon Lévelt è un nome affermato nel campo del caffè e del tè dal 1826. Quella che era iniziata come una piccola impresa ad Amsterdam è ora diventata una catena con 40 negozi specializzati nei Paesi Bassi e in Belgio e i cui prodotti sono disponibili anche presso vari rivenditori online e nei negozi di alimenti naturali
La mission è sempre rimasta la stessa: offrire caffè di alta qualità, nel rispetto delle persone e della natura. Mission che si riflette ora nel raggiungimento del 100% biologico della gamma di caffè: l’ultima tipologia convenzionale lascerà gli scaffali a ottobre.
E nei piani dell’azienda poi toccherà ai tè: l’assortimento comprende 150 varietà (attualmente biologiche al 95%): entro il 2025 anche qui Simon Lévelt prevede di raggiungere una gamma completamente biologica.
L’attenzione non è soltanto alla conformità alla normativa biologica: in Colombia l’azienda supporta i coltivatori con prezzi equi, formazione e workshop di aggiornamento sulle tecniche ecologiche per rendere la produzione più sostenibile come l’uso di sistemi naturali di filtrazione dell’acqua, cumuli di compost, piantumazione di alberi autoctoni per migliorare la qualità del suolo e ridurre l’erosione. L’azienda è convinta che ciò non solo riduca l’impronta ecologica, ma aumenti anche la qualità del caffè.
Altro progetto interessante è la collaborazione con Fazendas Dutra in Brasile, dove Simon Lévelt investe nella produzione di caffè a impatto climatico zero. L’investimento ha riguardato l’installazione di impianti per l’energia solare e la drastica riduzione del consumo di acqua è stato drasticamente ridotto, creando un ambiente di lavoro più sostenibile e sicuro per gli agricoltori.
L’esperienza di Massimo Maggio, patron dell’azienda Maggio Vini: attenzione alla natura, al biologico certificato da Suolo e Salute e alla “circolarità” della produzione, nel cuore del territorio assolato del Cerasuolo di Vittoria docg
Un’isola nell’isola. La rivista VVQ dedica un approfondimento a Maggio Vini, una realtà importante per il vino biologico siciliano, certificata da Suolo e Salute. È una delle punte di diamante dell’enologia del Cerasuolo di Vittoria, l’unica docg presente in Sicilia. Un territorio in provincia di Ragusa con caratteristiche ambientali e climatiche uniche, nell’estrema punta meridionale della Trinacria. I rigogliosi grappoli d’uva ghermiti dall’aquila presente nello stemma comunale testimoniano la storica vocazione vitivinicola di questo territorio. Le coordinate geografiche spingono però Vittoria verso latitudini “africane”, posizionandola più a sud di Tunisi. E la scarsa altitudine raggiunta qui dai Monti Iblei mentre degradano verso il Mar Mediterraneo determina temperature medie decisamente elevate, più calde rispetto al resto dell’isola.
Inutile nasconderlo: la viticoltura di Vittoria è una delle più esposte all’impatto del climate change e per continuare a fare grandi vini occorre studiare e sperimentare, coltivare grandi competenze per migliorare continuamente il proprio standard di produzione.
Il legame con il territorio
Una necessità che per Massimo Maggio, terza generazione di questa famiglia di produttori, rappresenta un impegno quotidiano. Assieme alla sorella Barbara ha deciso di non spezzare il legame famigliare che lo lega a questa terra. Ha investito nella modernizzazione della cantina, salvaguardando però la tradizione dell’antico palmento. «Lo abbiamo – dice – restaurato conservando intatte le tracce di chi nei secoli è passato da cui, producendo il vino con la nostra stessa passione».
Il biologico come scelta di vita
Ne ha valorizzato i vigneti puntando sul recupero dei vitigni autoctoni, magari per scoprire il nuovo Frappato (il rosso profumato che assieme al Nero d’Avola costituisce la formula del Cerasuolo). Ha giocato la carta della naturalità di un territorio dove l’alternanza tra gli insediamenti civili, a partire dalle tracce archeologiche risalenti alla Magna Grecia, e le aree naturali protette testimonia una radicata cultura di rispetto ambientale. Per tutelare questa impronta ha puntato decisamente sul biologico assieme a Suolo e Salute, che certifica le tenute di Maggio Vini sin dalle prime conversioni, a cavallo del giro di boa del Millennio.
«Vigna del Pettineo – asserisce –, la tenuta di circa 60 ettari che è il cuore della nostra azienda, è per noi biologica da sempre, ovvero dall’inizio degli anni 2000 quando abbiamo iniziato a gestirla». Si tratta di una tenuta storica cresciuta attorno all’antico borgo omonimo, dove per decenni diverse famiglie hanno vissuto a pochi passi l’una dall’altra, dandosi una mano l’un l’altra nella piccola produzione vinicola e condividendo cantina e bottaia. «Oggi l’abbiamo trasformata in uno dei luoghi della nostra ospitalità, con i vigneti di Frappato, Nero d’Avola e di Grillo allevati ad alberello alternati a siepi, cespugli fioriti, erbe aromatiche, alberi da frutto che danno riparo e nutrimento ad uccelli ed insetti così come i muretti a secco diventano, oltre che testimonianze storiche, rifugio per i rettili. I nostri interventi e studi si spingono oltre sempre rivolti a preservare la bellezza della natura. «È stata la conversione al biologico – riconosce Maggio – ad accendere la miccia: da semplice scelta tecnica, metodo di produzione con disciplinari da seguire, è diventata per noi in breve tempo una filosofia di vita, un modo di vivere lavorare e produrre in armonia con la natura».
Top di gamma e novità trendy
Tra le corsie e gli stand dell’ultima edizione di Vinitaly, nel padiglione 2 siciliano, sempre più costellato di realtà biologiche, i top di gamma pluripremiati delle riserve bio “Vigna di Pettineo Cerasuolo di Vittoria Docg”, e dei monovitigno sempre bio Vigna di Pettineo Frappato, Nero d’Avola e Grillo hanno riscosso un notevole successo per l’intensità e lo spessore. Ma sono le novità trendy e fun come il Luna nascente, uno spumante extra-dry prodotto con metodo Charmat da uve Frappato, a testimoniare la vocazione di questo motivato produttore per la sperimentazione.
Lingue di fuoco tra gli alberelli
«Quest’ultima – si rammarica – è in realtà un punto dolente per questo angolo di Sicilia». Le ricerche in viticoltura vengono infatti eseguite quasi sempre in areali “del Nord”, con altre caratteristiche pedoclimatiche. «Dobbiamo fare tutto in proprio. Ad esempio nell’inerbimento». «Lo adottiamo per difendere i terreni dall’erosione, oltre che favorire lo sviluppo di microrganismi e insetti, ma l’inerbimento totale, 2 mesi all’anno, nasconde pericolose insidie nella nostra zona».
Non per la competizione idrica. «La temevamo, ma con gli opportuni accorgimenti di gestione del suolo si può evitare». «I problemi che si sono manifestati sono invece di tipo, diciamo, “sociale”». «Quando è andato a fuoco – racconta- il terreno vicino lasciato a sterpaglia, le lame di fuoco si sono incuneate nei vigneti ad alberello, alimentate proprio dalle erbe seccate dal sole». «Quindi ora non applichiamo più l’inerbimento perenne, bensì lo rimuoviamo in estate parzialmente, lasciando strisce che coprono circa un quarto della tenuta per garantire la disseminazione delle erbe spontanee».
Biochar “dinamizzato”
Altra sperimentazione in proprio è stata proprio quella per la gestione della fertilità e della capacità idrica dei terreni attraverso il biochar. «È stata un successo: abbiamo carbonizzato il legname delle potature degli alberi da frutto in una carbonaia aziendale e poi lo abbiamo “attivato”, ovvero arricchito con letame e microrganismi per favorire la biodiversità del suolo (e ridurne la polverosità)». Con il clima secco e la forte insolazione il terreno di Vigna del Pettineo tenderebbe infatti a seccarsi, «Invece in questo modo non succede: il suolo rimane in salute e attivo. Sono ormai dieci anni che lo rivitalizziamo in questo modo».
Varietà reliquia
Altre prove sperimentali hanno riguardato il patrimonio ampelografico siciliano. Maggio Vini ha infatti partecipato al progetto di ricerca coordinato dall’Istituto vite e vino (Irvo) sulle varietà reliquia siciliane.
«Non si possono ancora utilizzare per etichette commerciali perché non sono iscritte a registro, ma dalle degustazioni sono emerse tipologie interessanti come il Cutrera (a bacca bianca), caratterizzato da maturazione tardiva, in grado di preservare un’eccellente acidità per basi spumanti anche a questa latitudine». «E un altro vitigno sconosciuto – che spero non rimanga tale – è l’Orisi (a bacca nera), caratterizzato da una decisa impronta fruttata e in grado di donare una “botta” di colore».
Magari potrà un giorno entrare nel disciplinare del Cerasuolo di Vittoria docg. Nella Vigna del Pettineo i vitigni Nero d’Avola e Frappato, autoctono di questa area, caratterizzato da eleganza e aroma floreale e speziato costituiscono ancora oltre il 75% della superficie, scalfita solo recentemente dall’avanzata di Grillo e Catarratto.
Bollicine circolari
«La nostra produzione – testimonia Maggio – è indirizzata per quasi il 95% all’estero, verso mercati sensibili come la Germania e il Nord Europa, dove il tema della sostenibilità e del biologico sono un vero biglietto da visita».
«L’attenzione per il territorio – mette in evidenza- per l’ambiente e la sostenibilità non può però essere il più possibile condivisa». «Per questo abbiamo deciso di non concentrarci solo su linee esclusive per mercati top, ma produrre anche linee più accessibili». L’ampiezza della gamma è così diventata uno dei tratti distintivi di Maggio Vini. «Luna Nascente, il metodo charmat da uve frappato, nasce da esigenze di circolarità». «Ovvero per non disperdere i grappoli che vengono diradati prima della raccolta per preservare questo vitigno caratterizzato da grappoli serrati». La vendemmia parziale anticipata di 15-20 si è infatti rivelata l’ottimo per la produzione delle basi spumante del Luna Nascente, un vero testimonial della filosofia spreco zero.
Presentato a Roma messo a punto da esperti dell’Università Cattolica di Piacenza, dalla scelta delle materie prime ai menù, per abbassare l’impronta di carbonio dell’alimentazione fuori casa
Alimenti da agricoltura sostenibile, locali e stagionali, uso di materiali (ad esempio stoviglie) sostenibili e riciclabili, menù adatti a tutti (veg, senza glutine etc) e anti-spreco (con la family bag per portare a casa ciò che non si è mangiato).
Buone pratiche e sistemi di qualità
Sono alcune delle raccomandazioni al centro di un piano anti-sprechi per la sostenibilità del settore della ristorazione, che abbraccia numerosi esercizi tra cui i ristoranti e le mense pubbliche e private del Paese. Il piano è stato messo a punto da esperti dell’Università Cattolica di Piacenza e si basa su buone pratiche, sistemi di qualità, misure sia negli ambienti in cui si consuma il pasto, sia nelle cucine e lungo l’intera filiera. «È stato anche messo a punto un manifesto – spiega Ettore Capri, direttore del centro di ricerca OPERA dell’ateneo piacentino – con tutte le raccomandazioni».
Innesti sinergici a Roma
Il piano è stato protagonista anche all’evento Innesti Sinergici che, giunto alla sua quinta edizione, ha visto gareggiare chef professionisti e giovani per la migliore ricetta sostenibile. Gli chef hanno presentato sofisticate ricette che coniugano tecnologia, gusto, conoscenze alimentari, paradigmatiche della fattibilità reale del programma in favore della sostenibilità della ristorazione sviluppato insieme all’associazione non governativa “Piacecibosano – Ristorazione Sostenibile 360 (RS 360)”.
Un progetto pilota in 29 ristoranti certificati
I ricercatori hanno anche realizzato un progetto pilota per la sostenibilità che si è svolto nelle province di Parma e Piacenza coinvolgendo 29 ristoranti oggi certificati. «È un vero cambiamento culturale – commenta Lucrezia Lamastra coordinatrice scientifica dell’evento – cinque anni fa le ricette sostenibili si basavano sul mero recupero di bucce, residui vegetali ed animali, composte di ingredienti non validi dal punto di vista nutrizionale».
«Oggi assistiamo ad una cucina di alta qualità dove la sostenibilità si coniuga con alto livello nutrizionale ed innovazione gastronomica».
La pubblicazione scientifica
L’ateneo ha anche pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, una ricerca sulla sostenibilità del settore secondo cui adottando comportamenti sostenibili, il 76% dei ristoranti analizzati raggiunge almeno il 70% degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dettati dalle Nazioni Unite nell’agenda 2030.
«Dalla ricerca è emerso che la ristorazione è caratterizzata da processi che possono creare spreco – spiega Capri. Infatti, il prodotto usato dai ristoratori viene acquistato, immagazzinato, trasformato, servito e consumato, escludendo, nella maggior parte dei casi, qualsiasi soluzione ciclica».
I dati sullo spreco e sulle emissioni di gas serra
In questo contesto, sottolinea, lo spreco alimentare è emblematico, pari a circa il 14% dell’intera filiera agroalimentare in Italia. Questo vale a dire circa 700 mila tonnellate di cibo sprecato all’anno, per un valore di quasi 2 miliardi di euro. Il problema è la difficoltà per il ristoratore di pianificare l’approvvigionamento in modo efficiente. Inoltre la ristorazione non sostenibile contribuisce ai cambiamenti climatici anche producendo anidride carbonica (CO2). L’attività di ristorazione è responsabile di circa 110.201 kg di CO2 l’anno. Questi impatti potrebbero essere ridotti al 30% con adeguati standard di gestione.
L’Ufficio Studi di Fipe Confcommercio rileva che nella ricerca di socializzazione nei canali on-trade piace bere vini di qualità, tipici e biologici
Riparte la ristorazione e crescono i consumi di vino di qualità. E a caratterizzare i brindisi post covid è la ricerca di tipicità ma anche di sostenibilità.
Lo rileva l’Ufficio Studi di Fipe Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, in una relazione sui consumi di vino on-trade (ristoranti, hotel, catering) diffusa in occasione della Milano Wine Week. Con il ritorno delle occasioni di socializzazione dopo la crisi pandemica che si tinge decisamente di “green”.
L’exploit dei brindisi bio
Secondo i ristoratori infatti gli italiani scelgono i vini soprattutto sulla base del territorio di provenienza (68,2%) e fin qui nulla di nuovo, ma ora apprezzano particolarmente anche le etichette certificate bio (42,2%), spingendo i professionisti della ristorazione a cercare nuove professionalità e organizzare nuovi servizi in favore dei consumatori curiosi riguardo alla sostenibilità dei metodi di produzione. Una riorganizzazione che deve però tenere conto anche degli effetti della crisi economica, visto che i consumatori, secondo Fipe, tengono sempre più d’occhio il prezzo della bottiglia (48,9%).
La ricerca di alta qualità
Non solo in termini di propensione al risparmio: entrando nel dettaglio dei numeri, dopo la pesante battuta d’arresto del 2020, con ristoranti e wine bar chiusi per le misure di mitigazione degli effetti della pandemia, il 2021 ha fatto infatti registrare una ripresa del mercato del vino, in particolare delle bottiglie classificate come premium e super premium. E a beneficiare della riapertura dei ristoranti sono stati i prodotti di maggior pregio: l’analisi Mediobanca sulle società vitivinicole evidenzia che le vendite di vini premium sono cresciute del 14,5% in valore assoluto, i super premium addirittura del 24,5%, gli ultra premium del 32,7% e gli icon (bottiglie dal costo per il ristoratore superiore ai 50 euro) del 33,2%.
Prezzi della bottiglia
Così il 98% dei ristoratori ha sostenuto una crescita dei prezzi di acquisto del vino che in media, secondo l’analisi Fipe, è pari a un +12%. Ma oltre ai prezzi anche la crisi pandemica ha suggerito di modificare la gestione della cantina. Il 55,5% dei ristoratori ha ridotto i quantitativi acquistati, mentre il 29,9% ha deciso di limitare il numero di etichette presenti in cantina e dunque nella carta. In generale, si predilige l’acquisto di vini il cui costo varia tra le 5 e le 20 euro, con una spesa media a bottiglia da parte dei gestori di circa 17 euro. Il 73,9% dei ristoratori italiani seleziona le bottiglie da tenere in cantina sulla base delle regioni dei vitigni: Trentino Alto Adige, per i vini bianchi, Toscana per i rossi e Puglia per i rosé.
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