RESIDUO ZERO? UNA TROVATA COMMERCIALE PRIVA DI BASI SCIENTIFICHE
I dati Efsa confermano già l’affidabilità di una produzione ortofrutticola già in larghissima parte priva di residualità. A chi conviene stressare questo tema? Se lo chiede Maria Lodovica Gullino, docente all’Università di Torino
Residuo zero: più che green è green washing. Ne è convinta Maria Lodovica Gullino che sulle pagine del settimanale Terra e Vita propone la sua analisi su una produzione agricola certificata che sta diventando di moda. «Un fenomeno comprensibile sul lato marketing – scrive la docente dell’Università di Torino -, per attrarre consumatori poco informati, molto meno sul lato tecnico e agronomico». Soprattutto alla luce dei riscontri dei dati Efsa. L’agenzia europea per la sicurezza alimentare, nelle sue analisi annuali sull’evoluzione dei residui di agrofarmaci nei prodotti alimentari, fotografa infatti un settore già ampiamente “a residuo zero”.
I dati Efsa
Il Report Efsa 2022, che fa riferimento ai valori del 2020 ed è perfettamente in linea con quello dei due anni precedenti, riporta ad esempio che il 68,5% dei campioni non presenta residui rilevabili, il 29,7% residui di uno o più agrofarmaci a valori uguali o inferiori a quelli ammessi mentre l’1,7 dei campioni sono irregolari. I dati italiani sono perfettamente in linea, con il 67,3% di campioni con residui non rilevabili, 31,7% di campioni con residui inferiori o uguali a quelli ammessi e l’1% di campioni irregolari. Un virtuosismo legato al fatto che la grandissima maggioranza dei nostri agricoltori, grazie a una buona assistenza tecnica, a una lunga tradizione di difesa integrata, e anche ai costi elevati, usa gli agrofarmaci con grande parsimonia.
La sostenibilità non passa da qui
A chi giova dunque stressare su questo tema? Non agli agricoltori e nemmeno ai consumatori, a causa del carico burocratico connesso alla gestione della tracciabilità lungo la catena del valore della filiera a residuo zero. Non converrebbe nemmeno a tecnici e ricercatori che secondo Gullino, invece che inseguire l’onda del marketing, dovrebbero prodigarsi nell’aiutare gli agricoltori in una gestione più sostenibile dei mezzi tecnici, sempre più limitati nel numero.
Non c’è bisogno di inventarsi nulla di nuovo: la sostenibilità si basa sulla conoscenza e sulla fiducia, e ci sono metodi come il bio che hanno saputo conquistarsi già queste medaglie in oltre 30 anni di onorato servizio.