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CARNE SINTETICA, CE N’ERA PROPRIO BISOGNO?

CARNE SINTETICA, CE N’ERA PROPRIO BISOGNO?

Alcuni rischi per la salute e per l’ambiente connessi alla produzione di alimenti a base cellulare. Un’alternativa alla stretta interazione tra allevamento e agricoltura che, come evidenzia la Fao, non è futuribile ma è già realtà

Carne sintetica, ce n’era proprio bisogno? Mentre non si spegne l’eco delle critiche di alcuni esponenti del mondo della ricerca nei confronti del decreto che inibisce, con pesanti sanzioni, la produzione sul suolo nazionale di  bevande e mangimi costituiti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati, altri avanzano le prime obiezioni scientifiche su un modello produttivo che vuole svincolare la produzione di cibo dal legame con la natura e con il suolo.

Il rapporto della Fao

Dalle allergie ai tumori sono infatti 53 i pericoli potenziali per la salute individuati nel primo rapporto Fao-Oms sul “cibo a base cellulare”.

L’agenzia per la sicurezza alimentare delle Nazioni Unite mette in evidenza che non si può parlare di cibo “futuribile” ma già oggi di una concreta realtà. Sono infatti più di 100 le aziende o start-up che «stanno sviluppando, in tutto il mondo, prodotti alimentari a base cellulare pronti per la commercializzazione e in attesa di approvazione». «È quindi fondamentale valutare obiettivamente i benefici che potrebbero apportare, nonché gli eventuali rischi ad essi associati, compresi i problemi di sicurezza e qualità degli alimenti».

Quattro fasi a rischio

Una consultazione di 138 esperti condotta dalla Fao e tenutasi a Singapore nel novembre dello scorso anno ha elencato i pericoli per la sicurezza alimentare che riguardano quattro fasi del processo di produzione:

  • l’approvvigionamento delle cellule;
  • la crescita e la produzione delle cellule;
  • la raccolta delle cellule;
  • la lavorazione degli alimenti.

L’intervento di Vincenzo Gerbi

I dubbi non riguardano però solo l’impatto sulla salute, ma anche sull’ambiente. In un post sulla sua pagina facebook Vincenzo Gerbi, docente di enologie e scienze e tecnologie alimentari all’Università di Torino, mette in evidenza la differenza tra il processo di trasformazione di materie prime agricole in bioreattori (ad esempio per la produzione, attraverso fermentazione microbica, di yogurt, vino o birra) e la moltiplicazione cellulare. Nel primo caso i batteri o lieviti presenti in natura, addirittura già presenti nelle derrate da trasformare, «operano la trasformazione nutrendosi di una piccola parte degli zuccheri che trasformano, ma il loro numero non cresce illimitatamente, anzi al termine della trasformazione si riduce drasticamente». Vale il principio che nella trasformazione nulla si crea, tutto si trasforma.

Un modello per nulla circolare

Nel caso della produzione di carne sintetica occorre invece partire da cellule di un animale vivente e farle moltiplicare fino a formare una massa sufficiente, ma le sostanze nutritive devono essere tutte fornite come substrato, non derivano dalla materia prima da trasformare. «Occorre quindi mettere a disposizione almeno carboidrati, proteine, grassi, vitamine e tutto quello che serve a far crescere cellule animali». Un sistema di produzione molto lontano dalla sostenibilità di un modello di economia circolare basato dalla stretta relazione tra allevamento estensivo e agricoltura. La qualità del prodotto che si forma dipenderà dalla qualità e dall’origine dei nutrienti che mettiamo nel bioreattore. «Ognuno – conclude il professore – sceglierà al proposito liberamente e secondo i suoi principi etici, ma almeno facciamo chiarezza perché le fermentazioni naturali esistono da quando l’uomo trasforma gli alimenti, mentre la carne non si mai riprodotta spontaneamente».